Partiti e politici
Ballottaggi 2023: una forza sola al comando, per molto tempo ancora
Se, all’indomani del primo turno di voto, ancora erano possibili tutti i tipi di dichiarazioni di vittoria (la Repubblica, addirittura, titolava: “il vento di destra si è fermato”, non si sa bene sulla base di quali dati), dopo i ballottaggi – e dopo il voto anche nelle isole maggiori – la situazione appare piuttosto evidente. E, da un certo punto di vista, anche parecchio significativa dello stato attuale del rapporto tra elettorato e offerta politico/partitica.
Quattro sono i punti salienti che è opportuno sottolineare, e che gettano una luce importante anche sui prossimi sviluppi del rapporto tra governo, opposizione e giudizio degli italiani.
Primo elemento: la pressoché definitiva ridefinizione della tradizionale territorialità del voto. Ancora fino ad un decennio fa, era possibile coniugare i risultati del voto rapportandoli alla storia elettorale del nostro paese, con mappe che producevano rimandi alle cosiddette aree subculturali bianche (democristiane, poi leghiste) o rosse (social-comuniste) e alle loro tradizioni di voto. La recente consultazione amministrativa ha evidenziato e ribadito una sostanziale rivoluzione: il centro-destra vince (o ri-vince) in tutte le antiche zone rosse, portando a compimento il cambiamento già in corso negli anni passati. Piccole e grandi città toscane, umbre, marchigiane, romagnole ed emiliane, salvo alcune sporadiche eccezioni (Bologna, Firenze, Modena) sono oggi tutte totalmente contendibili. Così come, in Veneto e Friuli, quelle anticamente appannaggio del centro-destra (oggi, Udine e Vicenza, dopo Verona e dopo Padova) passano al centro-sinistra, mentre Venezia – antica roccaforte di sinistra – è da anni in mano alla destra. Un mondo quasi all’incontrario.
Secondo elemento: l’astensionismo che, fino a 3-4 anni orsono, favoriva chiaramente la sinistra, ora pare aver mutato direzione, dando maggiori chance di vittoria alla destra. Una situazione che appariva un tempo ben chiara; se l’elettorato di sinistra era più informato, più interessato alla politica, la defezione incrementale alle urne tendeva a favorire le vittorie dei suoi candidati. Oggi non è più così. Con qualche importante ma rara eccezione, a cominciare dal 2019 (le Europee che videro stravincere Salvini) in quasi tutte le occasioni successive, demarcate da una costante progressiva riduzione del turnout, le vittorie sono andate nella direzione opposta. Perfino i ballottaggi – che alcuni esponenti della destra volevano ridimensionare perché vedevano troppo favoriti i candidati di sinistra – hanno sortito l’effetto esattamente contrario: il divario tra le due aree politiche tende a crescere in favore appunto della destra tra il primo e il secondo turno.
Terzo elemento: il personale politico-amministrativo. Da sempre si è portati a pensare, della seconda repubblica in poi, che i candidati e gli eletti di centro-sinistra avessero capacità migliori di quelli di centro-destra, ed era pertanto difficile “strappare” loro i comuni in cui avevano svolto il loro primo mandato. Oggi, con rare eccezioni, la situazione pare capovolta: molti sindaci di destra in città da sempre governate dalla sinistra vengono ri-eletti abbastanza facilmente. Un segno tangibile che le loro capacità amministrative non hanno più nulla da invidiare a quelle della loro controparte politica. Semmai, in questa occasione è accaduto più spesso il contrario, come nel caso di Latina e soprattutto di Brindisi.
Quarto elemento: la mancanza di una forza unitaria di opposizione. I partiti del centro-destra, benché sottolineino a volte istanze non del tutto omogenee, riescono ad avere una elevata compattezza al momento di presentarsi alle urne, laddove le forze facenti capo genericamente all’area progressista paiono sempre più litigiose e incapaci di trovare accordi su molte delle questioni. In tal modo sia al primo turno che, molto spesso, anche nei ballottaggi, riescono a soccombere anche in presenza di una maggiore quota assoluta di elettorato che starebbe dalla loro parte. Il recente esempio di Siena è forse il più eclatante: il candidato di sinistra e quello di centro-sinistra, separati al primo turno, se si fossero uniti avrebbero avuto nettamente più voti di quello del centro-destra. Ma hanno deciso altrimenti, ri-consegnando la città alle forze avversarie.
Infine: la nuova leadership di Elly Schlein non ha lasciato ancora alcun segno? pare non funzionare, come affermano alcuni suoi avversari? È a mio parere troppo presto per affermarlo: 2-3 mesi di vita non possono improvvisamente cambiare la percezione che gli elettori hanno del Partito Democratico e di tutta l’area progressista. Quel che è certo è che segnali di cambiamento si sono soltanto parzialmente intravisti, e le parole d’ordine che possano mobilitare l’elettorato sempre più astensionista di sinistra stentano a sentirsi. E un polo alternativo a quello di governo ancora non sembra nascere. Certo, c’è tempo, da qui a importanti appuntamenti elettorali. Ma anche l’assimilazione di nuove proposte ha bisogno di tempo per risultare alla fine vincente, per far cambiare idea agli elettori. Prima o poi, bisogna pur incominciare.
Università degli Studi di Milano
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