Palermo

Il Pinocchio senza retorica di Livia Gionfrida e la poesia di Scaldati

19 Luglio 2021

CATANIA. Era inevitabile che accadesse e sta accadendo: a poco a poco iniziamo a fare i conti seriamente con l’arte di Franco Scaldati che ci ha lasciati qualche anno fa e a confrontarci con il suo lascito teatrale. Guida in questa vicenda teatrale non sarà più (soprattutto) l’autorevolezza di Franco Quadri ma per chi ha lavorato con quest’artista sarà il ricordo vivido del suo magistero (primi tra tutti Melino Imparato e Rory Quattrocchi), per chi lo ha conosciuto sarà il ricordo dei suoi occhi profondi, intelligenti, carichi di ironia senza veleno e della sua voce impastata nel dialetto di Palermo, sarà l’acume critico di alcuni studiosi che non lo hanno mai perso di vista (Valentina Valentini) e, forse non per ultimo, sarà il lavoro di sistemazione del patrimonio documentale (ben sessanta faldoni) esplicato dalla Fondazione Cini di Venezia che lo ha acquisito definitivamente. Non ci avventuriamo qui in giudizi critici complessivi sul lavoro di questo artista ma di una cosa si può esser certi e su di essa basare la possibilità di capire uno spettacolo scaldatiano: questo teatrante a tutto tondo, in ogni aspetto del suo lavoro (la scrittura, la traduzione, la regia, la drammaturgia, la recitazione), ricercava una dimensione di semplice, essenziale autenticità. Una dimensione che è difficile replicare, ricostruire o anche solo descrivere con l’aggettivazione con cui si è soliti raccontare e/o giudicare il teatro nel suo farsi concretezza di spettacolo. Parliamo di un artista vero insomma e all’arte si rende omaggio soltanto con l’arte e con lo studio, sicché bene ha fatto Laura Sicignano, direttrice artistica dello Stabile di Catania, a commissionare a Livia Gionfrida, giovane e talentuosa regista toscana (seppure di vive origini siciliane) un lavoro basato su un inedito di Scaldati: una traduzione, incompiuta e incompleta, resa nel suo palermitano, del Pinocchio di Collodi. Una bella scommessa da parte della produzione e un bell’azzardo della regista nell’accettarla: trasformare in teatro un testo narrativo, incompiuto e per giunta tradotto in quel dialetto difficilissimo, per quanto affascinante, che è il dialetto di Scaldati.

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Gionfrida affronta la sfida con la giusta serietà: studia gli spettacoli manifesto di Scaldati (“Il pozzo dei pazzi”, “Assassina”, Totò e Vicè”), legge il testo scaldatiano, lo studia, lo mette in prospettiva e prova a misurarne la distanza con l’originale di Collodi, se ne va a Palermo e ascolta con umiltà e orecchio partecipe i suoni di questa città, le sue “voci di dentro”, intervista e ascolta coloro che con Scaldati hanno vissuto e lavorato, prova a scoprire i colori, i sapori, gli odori, le asprezze e le concretissime dolcezze di quel mondo e di quanto di esso si è trasformato in poetica. Ha ben chiaro che non si costruisce – davvero non si può – uno spettacolo soltanto ripetendo sulla scena i dialoghi presenti in un testo narrativo e lavora con intelligenza e sensibilità: ne vien fuori un allestimento che, pur nel contesto di un omaggio affettuoso al drammaturgo palermitano, è totalmente suo. Lo spettacolo si dispiega su due piani: da una parte si prova a restituire il mondo poetico di Scaldati in alcuni brevi segmenti di questo Pinocchio ruvidamente siciliano e antiretorico (la fata Turchina di Rory quattrocchi è straordinaria), dall’altro dà forma d’evento e un ritmo percepibile al flusso di immagini, frammenti, racconti e personaggi che, diversamente, non avrebbe potuto avere alcun esito d’arte. Pinocchio appunto e poi la Fata Turchina, Geppetto, Mangiafuoco e il suo carro, il Carabiniere, Lucignolo, il Grillo parlante: emergono dall’oscurità e si autorappresentano come in un respiro che è azione teatrale, memoria e liberazione dell’autentico dalle trappole retoriche della memoria. Sono tutti personaggi che fanno parte dell’immaginario di moltissimi di noi, ma che qui sembrano riemergere dall’oscurità come nuovi e portatori di nuovi e meno rassicuranti significati, sembrano emergere nella libertà del mondo poetico di un secondo demiurgo che non li manipola, anzi li lascia liberi nelle loro mancanze e sembra contemplarli affettuoso e divertito. L’aggancio col pubblico avviene su questi due piani d’arte ed è un aggancio che convince ed emoziona con delicatezza e intelligenza, fino alle battute finali in cui ritorna la voce registrata del drammaturgo palermitano che gioca sornione con la sua stessa poesia: «….trasparenti fa rima ….con senza denti….». Ecco tutto: il sublime e delicato della tradizione letteraria che si fonde al basso corporale della cultura materiale dei quartieri popolari di Palermo e una regista che sa cogliere il miracolo di questa fusione e le concede ritmo e grazia. In scena, complici divertiti e solidi della regista, ci sono Aurora Quattrocchi (davvero grande), Alessandra Fazzino, Manuela Ventura, Cosimo Coltraro, Serena Barone, Domenico Ciaramitaro; le luci sono di Gaetano la Mela i suoni e l’audio sono curati da Giuseppe Alì. In scena dall’8 al 18 luglio a Catania, nello spazio del Cortile Platamone e nel contesto della stagione estiva (Evasioni 2021) del Teatro Stabile Etneo.

Pinocchio. Di Franco Scaldati, adattamento, regia, scene e costumi di Livia Gionfrida, con Aurora Quattrocchi, Alessandra Fazzino, Manuela Ventura, Cosimo Coltraro, Serena Barone, Domenico Ciaramitaro. Luci di Gaetano La Mela, audio curato da Giuseppe Alì. Produzione Teatro Stabile di Catania in collaborazione con Teatro Metropopolare.  Crediti fotografici Antonio Parrinello.

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