Ambiente
Passo Rolle, ovvero quando la politica blocca l’innovazione in montagna
Articolo di Fabrizio Goria, tratto da Alpinismi.
È desolante leggere l’intervista che Lorenzo Delladio, numero uno di La Sportiva, ha rilasciato a Gian Luca Gasca su Montagna.tv pochi giorni fa. Il tema della discussione è stato La Sportiva Outdoor Paradise, il massiccio – per intenti e sforzo economico – progetto di riqualificazione dell’area di Passo Rolle, in Trentino-Alto Adige. Un investimento che non sarà mai fatto, per un’area che resterà indietro rispetto alle altre compagini estere. E non sono poche le riflessioni da fare.
Alcune premesse sono doverose. Passo Rolle non è una comunità montana qualunque. È la patria di una delle montagne più fotografate, e iconiche, delle Dolomiti: il Cimon della Pala, la vetta più celebre delle Pale di San Martino. E dato che, come abbiamo scritto più volte, la necessità odierna è quella di ripensare l’attuale modello di sviluppo economico delle aree montane, basato su una netta divisione fra turismo invernale ed estivo, l’idea di fondo era quella corretta. E cioè, ripensare la montagna in grado di viverla tutto l’anno, perché negli ultimi inverni la neve si è fatta più rara (anche se le premesse per quest’inverno sono positive) ed è nata una nuova consapevolezza sulla wilderness e sulla preservazione della montagna. Non solo. Si poteva dimostrare che ambiente, turismo e ricerca dell’emozione sportiva possono andare d’accordo.
Il progetto di Delladio era ambizioso. Da un lato si sarebbe smantellata una parte degli impianti funiviari esistenti e si sarebbe proceduto all’abbattimento dell’Albergo Rolle, dall’altro il patron de La Sportiva avrebbe finanziato l’istituzione di un area per le attività all’aria aperta, dall’arrampicata al trekking, per arrivare allo scialpinismo. Le cifre complessive dell’iniziativa sarebbero state di poco sotto i 4 milioni di euro, che il team di Delladio era ben disposto a investire. La Sportiva Outdoor Paradise avrebbe previsto anche la riqualificazione delle strutture abbattute perché inutilizzate e la realizzazione di un ristorante con suite sostenibili per favorire il turismo di fascia medio-alta. In pratica, ciò che avviene da eoni nel resto del mondo, come gli Stati Uniti. Un privato decide di sopperire alle mancanze dello Stato, e decide di rendere migliore una determinata area geografica. Nel caso di Passo Rolle, con un ritorno economico dell’investimento, perché La Sportiva non è un ente di beneficenza né una società non-profit. Eppure… eppure il progetto non è andato in porto.
Delladio ha detto la sua, e lo ha fatto in modo netto. La risposta che ha fornito a Montagna.tv non lascia troppe interpretazioni, infatti. «Le persone contrarie sono veramente poche, ma di grande importanza sul territorio. Prima tra tutte Valeria Ghezzi, presidente dell’ANEF (Associazione Nazionale Esercenti Funiviari, nda), che io scuso perché come presidente non poteva essere a favore della rimozione degli impianti ma, da lì a cercare di ostacolare qualunque iniziativa ci sono molti step intermedi. Con lei ci sono poi stati altri personaggi che non nomino e che non so cosa vorranno realizzare sul territorio. Molto probabilmente rimarranno sulle posizioni di trent’anni fa. Hanno paura di innovare e non riesco assolutamente a capire la loro posizione», ha detto Delladio. E sono parole pesantissime per un’area in cui non si è riuscito ancora a ripensare un modello di business che è stato fallimentare, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista della sostenibilità.
E ora ci sono alcune riflessioni che possono essere fatte. La prima è di stampo economico. È vero che, come ricordò la Ghezzi nello scorso luglio, ci sarebbe stato un impatto occupazionale per via dello smantellamento di parte delle funivie del Rolle, ed è anche vero che vocazione sciistica e vocazione all’outdoor a 360° possono convivere, ma è altrettanto vero che in tutto il mondo si sta pensando a trasformare l’antropizzazione esistente nelle aree montane in qualcosa di più sostenibile. E in questo caso la sostenibilità non è solo quella ambientale, ma anche quella economica. Riconvertire una funivia è vero che riduce l’area sciabile, quindi facendo ridurre una parte degli incassi complessivi, ma si possono compensare i mancati introiti con le altre attività, dalle ciaspole al nordic walking. Secondo il presidente della Provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, «la crescita quest’anno di San Martino di Castrozza è stata del 34 percento». Questo è ciò che ha detto alla comunità trentina, come riportato da L’Adige lo scorso 10 ottobre. Vero che i numeri sono dalla sua parte, e da quella del turismo invernale. Ma anche in questo caso bisogna guardare l’altro lato della medaglia, e cioè che questo risultato è frutto della nascita del bacino di innevamento a Ces, che ha fornito – non senza costi, economici ed ecologici – la neve che l’anno scorso non si è vista sulle piste del Trentino-Alto Adige. Riconvertire un’attività imprenditoriale è possibile? Certo, a patto che ci sia un progetto. E questo c’era.
La seconda considerazione riguarda l’antitesi dell’atteggiamento Nimby (Not in my back yard, cioè “Non nel mio cortile”, ndr). Il Nimby è quell’approccio che i cittadini di una data area geografica hanno nei confronti delle opere di interesse pubblico o privato che possono avere, o si ha paura che possano avere, un impatto negativo sulla comunità stessa. Un esempio? Il progetto del Treno ad alta velocità (Tav) in Val Susa, in Piemonte. Nel caso di Passo Rolle, invece, c’è l’opposto. Una piccola parte, ma influente, della cittadinanza che decide di interferire con un processo che avrebbe portato benefici diffusi in tutta la comunità. E perché? Per non perdere la posizione di privilegio di cui gode. In pratica, il sempiterno scontro fra conservazione degli interessi particolari e riforma delle posizioni esistenti. In questo caso, si è privilegiato il primo aspetto. È proprio lo stesso immobilismo che da oltre 20 anni impedisce al Paese di essere sullo stesso piano di nazioni a vocazione alpina come Francia, Svizzera e Austria, dove sostenibilità ambientale ed economica riescono a convivere.
Ma c’è, nel nostro modesto parere, ancora un’altra riflessione che vale la pena evidenziare. Osservando quella che gli americani chiamano “The big picture”, ovvero il quadro generale della situazione, emerge con amarezza e desolazione la scarsa lungimiranza che sempre di più investe l’Italia. Rossi non usò parole di miele per il progetto de La Sportiva. Sempre da L’Adige dello scorso 10 ottobre, le parole di Rossi: «Sul Rolle non c’è niente a livello progettuale, c’è un’idea di fare un investimento in una determinata zona, ma proprio per il fatto che un progetto deve prendere in considerazione l’attuabilità di quell’idea, il progetto ancora non c’è. C’è invece in Primiero una comunità locale che assieme alla Provincia ha impostato un suo piano di sviluppo». Vale a dire, la Provincia la governiamo noi politici e decidiamo noi cosa fare. Sono parole che lasciano l’amaro in bocca, perché da sempre il processo decisionale è il frutto di compromessi, ma soprattutto interazione, fra attori pubblici e attori privati. Quando questa viene a mancare, è come se si rompesse quel patto sociale teorizzato da Jean-Jacques Rousseau. E a pochi giorni dalla rinuncia di Delladio, ora proprio la politica ha deciso di riaprire la discussione, sull’onda del polverone che lei stessa ha contribuito a causare. Quindi oltre al danno, la beffa.
Infine, un’ultimo aspetto. In principio Rossi ha dato per scontato che non ci fosse nulla a livello progettuale. E una domanda, una sola, pare legittima. Perché un imprenditore che ha saputo imporre la sua impresa al primo posto al mondo in tre segmenti merceologici – alpinismo, arrampicata, scialpinismo – dovrebbe pensare a un investimento così significativo, capace di impattare non solo sui bilanci ma anche sull’immagine della società, se non ha una ragionevole possibilità di riuscita? Da che mondo è mondo gli imprenditori gestiscono le imprese e i politici governano i territori dove agiscono gli attori economici, e non viceversa. Esiste il rischio imprenditoriale, e Delladio ha dimostrato di saperlo gestire meglio di altri. Era pronto a farlo anche questa volta, mentre in questo caso forse la politica ha dimostrato di non essere in grado di mitigare il rischio politico, e cioè quello di una mancata rielezione. Il risultato? Come al solito lo stesso. Si è persa una rilevante occasione per innovare. E, onestamente, non era questo di cui c’era bisogno.
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