Per le professioni manifatturiere di domani serve creatività, duttilità, tecnica

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13 Marzo 2017

Qualche tempo fa ho partecipato a un interessante dibattito sulle professioni di domani. Tema non facile, perché come diceva Niels Bohr, fare previsioni è sempre difficile, soprattutto quando riguardano il futuro. E questo è ancora più vero oggi, in questi tempi segnati da una profonda accelerazione tecnologica, la cui portata sfugge persino agli esperti. L’innovazione, del resto, non si ferma mai: trent’anni fa chi, a parte gli sceneggiatori di Hollywood e i futurologi, avrebbe mai pensato a un mondo dove si dialoga con gli oggetti della propria casa, tutti hanno uno smartphone, e si può modificare il DNA?

In ogni caso, il poderoso sviluppo dell’intelligenza artificiale, dei robot di nuova generazione, delle auto che si guidano da sole, delle tecnologie additive, della genetica e via discorrendo, porterà di sicuro alla distruzione di molti posti di lavoro tradizionali… ma anche alla nascita di nuove professioni. E questo fatto riguarda tutti: i politici, gli educatori, noi imprenditori, i cittadini giovani e vecchi, la società nel suo complesso.

Molti dei posti di lavoro di domani saranno legati a competenze tecno-scientifiche di altissimo livello, ad esempio nel settore dei big data. Un economista ha definito la professione dello “scienziato dei dati” come la professione più sexy del mondo. E in effetti anche in un territorio piccolo e relativamente periferico come il Trentino, dove ha sede la mia azienda, esistono startup dei big data capaci di creare occupazione. Figuriamoci cosa accade in luoghi dell’innovazione come la Baviera, Londra, Parigi, New York, Tokyo, la Silicon Valley!

E del resto, non serve essere degli analisti finanziari per sapere che molte delle aziende più capitalizzate sulla Terra, come Apple, Amazon, Alphabet e Facebook, hanno nell’utilizzo e nella valorizzazione dei dati un pilastro del loro business. Ecco perché, da un capo all’altro del mondo, c’è la corsa ai migliori talenti delle scienze informatiche, e in particolare proprio agli scienziati dei dati.

Ricordo un’intervista di due anni fa a Erik Brynjolfsson, illustre scienziato del MIT e co-autore di un libro intitolato “La nuova rivoluzione delle macchine”, in cui diceva chiaro e tondo che a essere penalizzati dal boom dell’intelligenza artificiale saranno proprio i mestieri intellettuali di tipo intermedio.

In America, ad esempio, sempre più persone usano dei software per fare la dichiarazione dei redditi, preferendoli ai servizi dei commercialisti in carne e ossa. Ancora, sono tantissimi coloro che prenotano hotel e acquistano biglietti aerei e ferroviari su internet, senza rivolgersi alle agenzie di viaggio. E che dire di quei software capaci di scrivere notizie finanziarie o sportive molto dettagliate e aggiornate al minuto? I giornalisti non ne saranno certo felici…

Chi sarà meno colpito dai nuovi sviluppi tecnologici? Oltre ai già citati scienziati dei dati, saranno al riparo, con tutta probabilità altri professionisti tecno-scientifici come gli ingegneri specializzati, i manager di alto livello, i medici… Ma anche coloro che svolgano lavori dove la manualità, la creatività e il saper fare giocano un ruolo importante. Quelle professioni, cioè, dove l’Italia, grazie al suo background storico e produttivo, ha un tesoro da valorizzare (ce lo insegna l’economista Stefano Micelli nel suo saggio “Futuro artigiano”).

La sfida è diventare una “fabbrica duttile”, ossia un’azienda polivalente, dotata di un’intelligenza multiforme e rapida ad apprendere, multi-specializzata, in grado di adattarsi ai ritmi dei mercati globali. Per essere duttili, ovviamente, è fondamentale avere un personale multidisciplinare e incline all’innovazione, in grado di pensare criticamente e di imparare di continuo.

Questa è una necessità tanto nostra quanto di molte altre aziende, specialmente nel settore manifatturiero, che resta uno dei pilastri della nostra economia. Ecco perché le professioni di domani rappresentano una sfida in primis per la scuola. Che dovrà, sempre di più, insegnare a essere multidisciplinari, creativi e innovativi, e a risolvere i problemi fuori dai soliti schemi. Insomma, i ragazzi dovranno ricevere un metodo e un equipaggiamento cognitivo di nuovo tipo, imprescindibile sia per diventare operai specializzati, che scienziati dei dati o psicologi.

Ma poi ci sono competenze di natura più concreta, che variano a seconda del settore dove si opera. Nel manifatturiero, per esempio, sempre più aziende hanno una doppia anima: digitale e analogica. L’anima digitale implica un crescente utilizzo di strumenti del digital manufacturing, come le tecnologie additive (chiamate dai media “stampa 3D”) e le frese a controllo numerico. Per operare con questo tipo di macchine, naturalmente, occorrono forti competenze tecnologiche, e in particolare digitali.

Ecco allora che la scuola deve insegnare ai ragazzi come usare queste tecnologie. È una cosa che già avviene in altre parti dell’Occidente: ad esempio, nell’inverno 2014 il governo britannico, allora guidato da David Cameron, ha lanciato un grosso progetto per promuovere l’insegnamento dell’informatica nelle scuole; negli USA, sia a livello federale che locale, sono state varate molto iniziative per promuovere le cosiddette discipline STEM (un acronimo in lingua inglese che indica Science, Technology, Engineering, and Mathematics); e in Nord Europa si è fatto molto per promuovere l’accesso ai Fab Lab…

Non c’è però solo la dimensione del digitale. Tra il prodotto che si disegna e si desidera, e quello che esce dalla macchina, c’è uno scarto che spesso possono colmare solo loro, i maestri-artigiani, che armati di strumenti più tradizionali e di un’eccellente padronanza dei materiali, perfezionano, aggiustano e adattano.

Ecco perché molte aziende manifatturiere, in Italia, hanno anche un’anima profondamente artigiana, e necessitano di un personale dalle forti competenze tecniche e manuali. E ovviamente questo tipo di saperi (meglio: di saper fare) non si acquisisce tanto sul banco di scuola, quanto sul banco… da lavoro. Da qui la necessità di una scuola capace di coinvolgere di più il mondo delle aziende nella formazione dei giovani, specie (ma non solo) di coloro che frequentano istituti tecnici e professionali.

TAG: occupazione, professioni, scuola, tecnologia
CAT: Occupazione, università

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