Lavoro

La pedagogia delle casse di frutta del padre-ministro Poletti

24 Marzo 2015

“Un mese di vacanza va bene. Ma non c’è un obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione. Serve un più stretto rapporto tra scuola e mondo del lavoro e questa è una discussione che va affrontata, anche dal punto di vista educativo”. Così il ministro Poletti al convegno sui fondi europei e il futuro dei giovani promosso dalla Regione Toscana. Un’affermazione provocatoria, che ha subito scatenato levate di scudi e, contemporaneamente, il plauso di molti opinionisti. Dal mio punto di vista però non è chiaro a quale mondo del lavoro il Ministro si riferisca: a quello dei tirocini formativi senza compenso? Quello dei contratti di apprendistato? Quello del lavoro a pagamento, ma a pagamento del lavoratore, costretto a sobbarcarsi i costi di un percorso di formazione al termine del quale viene offerto – miraggio nel deserto delle offerte di lavoro – un periodo di stage?

Viene da domandarsi quale possa essere l’offerta di formazione “di base” possibile per dei ragazzi di 16/17 anni quando il mercato degli stagisti appare saturo anche per i colleghi più “attempati”, ma farsi domande sembra passato di moda. È invece assai di moda parlare di rilancio dell’economia italiana grazie alle startup, di menti creative, d’imprenditoria giovanile: idee, progetti, fermento che può rivitalizzare quest’Italia soffocata da anni di stagnazione.

Da cosa nasce però la creatività? Da cosa nascono le idee?

Non dal nozionismo, non dal tecnicismo, non solo dall’efficenza rispetto al mercato del lavoro. Il Ministro Poletti ha provocato e quindi rilancio: tutto questo nasce dalla noia, dal tempo trascorso a non fare nulla, dalle letture gratuite, dalle attività apparentemente senza scopo. Suonare uno strumento senza finalizzare l’esercizio alla performance, praticare uno sport per il benessere che si prova e non per vincere una sfida, “smanettare” con il computer semplicemente per vedere “che cosa succede se…”, camminare senza meta per la città: pratiche che permettono alla mente di spaziare. Affinché le idee si facciano strada occorrono solide basi, occorre la conoscenza, ma occorre anche e soprattutto il vuoto, lo spazio necessario all’espansione del pensiero. Le idee davvero innovative non possono nascere con il continuo rumore di fondo, non possono nascere nella costante preoccupazione per il risultato. Un risultato che – in ultima istanza – a cosa conduce? Il mercato del lavoro – Job’s act o non Job’s act – è in stagnazione. Gli annunci di lavoro non “parlano” ai laureati (l’indice di occupazione post laurea potrà anche subire un mutamento positivo, ma andiamo ad analizzare la qualità dell’impiego dei neo assunti), parlano alle professionalità flessibili e disposte a lavorare molto in cambio di poco, parlano ad operai specializzati che non vedranno mai una stabile assunzione, parlano ai “bella presenza, max 30 anni, voglia di mettersi alla prova”. A 18 anni può andare bene, ma poi?

In un mercato del lavoro di questo tipo, che cosa significa l’immissione estiva di giovani studenti in contratto di formazione/stage/tirocinio?

Significa manodopera a basso o nullo costo. Significa un’ulteriore riduzione della già magra torta delle possibili occupazioni dei “fratelli maggiori”. Significa una guerra fra poveri priva di qualsiasi scopo. Fare le fotocopie per quattro ore al giorno non ti prepara al mondo del lavoro, perché quando arriverai a cercare il tuo primo impiego ci sarà un altro diciassettenne pronto a fare fotocopie gratis in quanto obbligato dal percorso scolastico. Spostare casse di frutta nemmeno, a meno che tu poi non vada a fare il facchino ai mercati generali. Cosa prepara dunque i giovani di oggi al mercato del lavoro? Avanzo un’ulteriore provocazione: il nulla, la noia, il vuoto. Finiti gli studi infatti saranno rarissimi i giovani che troveranno con facilità il loro primo impiego. Passeranno settimane, mesi forse, prima che compaia il primo “spiraglio” per un contratto.

Imparate il valore della pazienza, imparate a vivere serenamente anche in mezzo al nulla, all’assenza di scadenze, alla mancanza di prospettive di breve periodo. Coltivate nell’ozio estivo gli interessi che vi salveranno dalla depressione nel momento in cui vi verrà detto che per voi non c’è spazio, che siete troppo qualificati, che ci sarebbe bisogno del vostro lavoro, ma “coi tagli, sa, dobbiamo rivedere il piano delle assunzioni”. Questo dovrebbe insegnare la scuola, almeno fino a quando l’ordine naturale delle cose – quello per cui ad un percorso di studi ricco e articolato, condotto secondo i tempi giusti e con maturità – corrispondeva il premio di un impiego e di una possibile carriera, non sarà ristabilito. Il Ministro Poletti manca forse da troppo tempo dalle agenzie per l’impiego o di rado si confronta con le persone e non con i dati.

Al suo piano di lavoro estivo contrappongo quindi la pedagogia della noia, l’otium alla latina, non padre dei vizi, ma propulsore per le energie di rinnovamento.

Una noia “preparata” dai mesi sui banchi di scuola, condotta per mano dalla curiosità e dal desiderio di fare qualcosa per sé stessi e solo per sé stessi. Senza un voto, senza un giudizio. Una formazione che non incardini in un sistema che, lo abbiamo visto, può sgretolarsi da un momento all’altro, ma che renda capaci di affrontare il cambiamento. Non cresciamo ulteriori generazioni convinte che “basta la volontà e l’impegno”, non costringiamo i ragazzi a fare i conti con un sistema fatica > compenso in cui il compenso non arriva quasi mai. Viva i tre mesi di vacanze estive! Non importa come verranno spesi: i ragazzi sapranno comunque investirli meglio di qualunque politico che crede di poterli “salvare” dai pericoli dell’ozio e li condanna ad un futuro senza certezze.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.