Per le nuove generazioni il lavoro è ovviamente fonte di reddito, ma cresce il valore della flessibilità e del tempo libero, così come la disponibilità alla fuga all’estero per inseguire stipendi più alti e opportunità di carriera.
Le trasformazioni che attraversano il mondo del lavoro sono di lungo periodo, ma la pandemia ha accelerato tutti i processi e ha segnato un punto di svolta.
I segnali emersi nell’ultimo biennio, non sono episodi ma tendenze; basti pensare alle “grandi dimissioni” che sono, sì, legate alla forte mobilità intersettoriale dovuta alla rapida ripresa economica postpandemica, ma sono, pure e forse soprattutto, un riflesso di qualcosa di più ampio: le persone in questa epoca maturano il bisogno di riequilibrare esigenze, aspettative, speranze, tempi e risorse; e, quando possono, adeguano le scelte di vita.
È per questo che il lavoro sta cambiando ben più che nelle sue forme e strutture: ne sta mutando il senso.
Questa complessa situazione produce un groviglio di segnali deboli che è necessario intuire e interpretare per seguire non da spettatori tali cambiamenti. E il segmento dei più giovani, la categoria intitolata “generazione Z”, è un osservatorio molto suggestivo per intravvedere il futuro imminente.
I giovani della “generazione Z” considerano il lavoro soprattutto una fonte di reddito, ritengono che unire lo studio con esperienze pratiche sia il modo migliore per ottenere un lavoro soddisfacente, preferiscono uno stipendio con una base fissa e una componente variabile legata ai risultati raggiunti, attribuiscono più valore alla flessibilità di orario e alla disponibilità di tempo libero, pensano che all’estero ci siano maggiori opportunità di ottenere una retribuzione più elevata.
Sono alcuni dei tratti essenziali che caratterizzano il rapporto tra i giovani della fascia 18-24 anni e il lavoro, che emergono dal Report FragilItalia “I giovani generazione Z e il lavoro”, elaborato da AreaStudi Legacoop e Ipsos.
In generale, l’analisi delinea un approccio dei giovani al lavoro definito da motivazioni valoriali e valutazioni pragmatiche. Nella scala dei valori che gli italiani considerano più importanti, la generazione Z indica al primo posto la famiglia (il 60%, risultato ben più basso rispetto ad una media nazionale del 78%), seguita dall’amicizia (54%, media nazionale 59%) e dall’amore (50%, media nazionale 63%). Il lavoro occupa solo la sesta posizione con il 38% (rispetto alla media nazionale del 49%), preceduto da divertimento (46%) e cultura (44%).
Riguardo al senso del lavoro, per quasi 6 giovani su 10 esso rappresenta una fonte di reddito (percentuale inferiore alla media nazionale, 71%), per la metà un’opportunità di crescita (43% la media nazionale) e per il 45% un modo per affermare la propria indipendenza. Da sottolineare i dati relativi all’importanza dei fattori che possono consentire di ottenere un posto di lavoro soddisfacente. La metà degli intervistati indica l’opportunità di unire lo studio con esperienze di lavoro (3 punti in più rispetto alla media nazionale), il 34% la necessità di fare molta esperienza sul campo, mentre solo il 19% (media nazionale 23%) indica un’adeguata preparazione scolastica.
L’analisi si è poi concentrata su quelli che vengono considerati i cinque aspetti più importanti per definire il lavoro ideale.
Un tema sul quale emergono differenze di rilievo tra le considerazioni dei giovani e quelle del totale degli intervistati. Se il trattamento economico si colloca al primo posto sia per i giovani (44%) sia per il totale del campione (43%), per la generazione Z al secondo posto viene la disponibilità di tempo libero e la flessibilità dell’orario (33% contro il 28% del totale del campione), seguita dall’autonomia (31% contro 41%). Solo al quarto posto la stabilità del lavoro, indicata dal 25% dei giovani, contro il 42% del totale degli intervistati. Riguardo al trattamento economico, 4 giovani su 10 preferiscono uno stipendio con una base fissa ed una componente variabile legata ai risultati raggiunti, mentre il 28% esprime la preferenza per lo stipendio fisso (40% la media nazionale).
Agli intervistati è stato poi chiesto di esprimersi sui fattori repulsivi e su quelli attrattivi del lavoro. Riguardo ai fattori repulsivi, per i giovani, in linea con il totale del campione, al primo posto viene il timore di essere sfruttati (48%), seguito da quello di non avere tutele (34%) e di non essere apprezzato (29%).
I giovani appaiono più preoccupati della media complessiva per gli orari di lavoro (26% contro il 22% del totale); mentre lo sono di meno riguardo al non trovarsi bene con i colleghi (24% contro 32%) e all’avere sopra di sé qualcuno che comanda, magari con competenze inferiori (14% contro il 25%). Tra i fattori attrattivi, al primo posto per i giovani c’è l’adeguata remunerazione, anche se con un’intensità minore rispetto alla media complessiva (39% contro il 46%), seguita dall’opportunità di fare esperienza (31%) e dall’avere un capo che ascolta e riconosce i meriti dei dipendenti (29%). Minore interesse suscitano invece l’essere apprezzato (25% contro il 36% del totale del campione), il lavorare in un ambiente ben strutturato e organizzato (24% rispetto al 33%), il poter esprimere liberamente il proprio potenziale (23% rispetto al 29% totale).
L’indagine si è poi soffermata sul tema della disponibilità ad accettare un lavoro lontano da casa. Tra i giovani, il 76% ha espresso la disponibilità ad accettare una proposta di lavoro in altre provincie della propria regione, il 73% in un’altra regione del Centro Italia, il 70% in un’altra regione del Nord, il 69% in un altro Paese europeo, il 54% in un’altra regione del Sud.
Infine, riguardo alle motivazioni che spingono a cercare un lavoro all’estero, il 53% indica gli stipendi più alti, il 29% le migliori opportunità di fare carriera, il 26% la maggiore valorizzazione di competenze ed esperienze, e il 23% il fatto che in Italia vengono offerti solo contratti di stage e che vige il sistema della raccomandazione.
In conclusione, il mondo del lavoro sta cambiando sotto i nostri occhi proprio mentre lo stiamo osservando e le conseguenze economiche e sociali sono profonde.
Di fronte ai grandi cambiamenti di questi anni stiamo tutti cercando un nuovo modo di vivere, più umano e migliore. Il lavoro è la cartina di tornasole di tutto ciò. Servono politiche e nuovi assetti normativi che assecondino questo cambiamento ma garantiscano sicurezza, stabilità e benessere alle persone e alle comunità. Che sia un Primo Maggio di studio, oltrechè di lotta (e di governo).
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