Scienze
La didattica dell’umiltà e quella dell’umiliazione
Torno sulla gaffe del Ministro dell’Istruzione e del Merito consapevole delle precisazioni che hanno chiarito il suo punto di vista per riflettere su quanto la “didattica dell’umiliazione” sia incardinata di fatto nelle prassi comuni che abbiamo così fortemente introiettato da non farci più neppure caso. Pleonastico, quindi, l’invito originale del Ministro che non avrebbe neppure avuto bisogno di precisare, se osserviamo le dinamiche didattiche diffuse con la dovuta attenzione pedagogica.
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Osserviamo una lezione scolastica. Questa si basa sulla trasmissione delle conoscenze che ho sintetizzato con la sigla SSID: spiego, studi, interrogo, dimentichi. Tutti noi genitori siamo testimoni di questa modalità allorquando i nostri figli e le nostre figlie ci chiedono di “ripetere la lezione”. Beninteso l’interrogazione non si traduce sempre solo nella riesposizione della lezione precedente, ci sono anche interlocuzioni e dialogo colto, ma questa parte consente semplicemente di accedere a valutazioni più alte. Il risultato tuttavia è lo stesso: l’oblio. Questo perché anche le capacità analitiche messe in campo in questa rappresentazione pervasiva della rendicontazione scolastica appartengono al singolo e vengono quindi rilevate, più raramente costruite attraverso una didattica sistematicamente orientata a questo scopo. Spiego e tu ascolti (e considerati i vincoli nei tempi di attenzione noti dallo studio delle neuroscienze, ti distrai, fingi di ascoltare, non sei coinvolto, ti annoi, pensi di essere inadatto o, peggio, di essere inadeguato). Studi e quindi introietti (invero solo superficialmente e temporaneamente, per non parlare della fascia di utenza che non dà valore allo studio, quale che sia l’origine di questa convinzione, che proprio non studia ed è preda della dispersione esplicita o implicita; a questo tipo di utenza promettiamo premi futuri troppo poco credibili). Interrogo, quindi ti do un voto che certifica legalmente il fatto che tu abbia imparato anche se si tratta di una semplice rappresentazione orale di scarsa gittata (e per soddisfare questo balletto valutativo assistiamo alle tre paginette studiate a maggio “per rimediare”). Dimentichi. Il lettore laureato provi a riflettere sugli esami che ha dato. Quanti sarebbero in grado di dare oggi, magari dopo un mesetto di ripasso, questo o quell’esame? In un precedente articolo ho chiamato questo tipo di didattica “imperativa” (vedi nota n. 1). È infatti monodirezionale, governata dall’insegnante, subita dal discente che non ha voce in capitolo e risultano del tutto patetiche le evocazioni di un’ “erotica dell’insegnamento” giacché bisogna ricordare che a scuola (secondaria di primo grado, già “scuola media”) si sta per trenta ore alla settimana e tutti noi siamo affascinati dalla Divina Commedia spiegata da Roberto Benigni perché vi assistiamo consenzienti per un’oretta alla settimana, interrompendo quando ci pare.
Le neuroscienze ci spiegano molto di come funziona l’apprendimento e le conseguenze sulla didattica sono autoevidenti e ci inducono ad esperire forme entro le quali, a titolo di esempio, i vituperati “banchi a rotelle”, invero “sedute innovative”, hanno largo spazio: consentono di configurare la classe in maniera dinamica passando dalla fase frontale a quella della rielaborazione del piccolo gruppo entro il quale è possibile lavorare per livelli (coltivando i talenti) o per gruppi disomogenei (dove si fanno largo le dinamiche peer to peer). In questo paese si sono fatti passi avanti nell’inserimento del loro studio nel curricolo degli insegnanti quando si è creata la facoltà di “Scienze della Formazione” dove le insegnanti (vedi nota n. 2) della scuola dell’infanzia e della scuola primaria sono formate dall’inizio del secolo, mentre per quel che riguarda il settore secondario, dopo nove cicli biennali di Scuola di Specializzazione per l’insegnamento secondario (SSIS) e qualche ciclo annuale di TFA e PAS (tirocinio formativo attivo e percorsi abilitanti speciali) si sono costruite le condizioni perché la preparazione pedagogica dei futuri insegnanti di scuola secondaria fosse solo formalmente acquisita, attraverso l’acquisizione di CFU spesso erogati a distanza e rilevati in maniera vergognosa entro un quadro di competizione al ribasso degli enti erogatori: le università.
Perché abbiamo dispersione scolastica? Ebbene, uno dei motivi è proprio legato all’umiliazione che subiscono, sin da bambini, le studentesse e gli studenti esposti al pubblico ludibrio di un’interrogazione che, quindi, rifuggono. Esistono tuttavia delle alternative dove l’apprendimento si rileva in itinere attraverso il colloquio colto che si svolge tra l’insegnate e l’isola di lavoro entro la quale le studentesse e gli studenti sono chiamati a “produrre cultura” facendo uso del libro di testo e della rete. Questa modalità ha un aspetto da troppi ritenuto pericoloso: la curiosità del piccolo gruppo può divergere oltre il cerchio delle conoscenze del docente. Questo fa molta paura!
La didattica dell’umiltà è quindi quella dell’insegnante che non si pensa più quale cattedratico scimmiottante una lezione universitaria (mentre si rivolge ad infanti, bambini/e, alunni/e, studenti/esse di età che va da tre a diciannove anni), ma quale “esperto di servizio” che si mette a disposizione dei piccoli gruppi operosi, che li orienta, corregge, ma soprattutto incoraggia rilevandone i progressi. In questo tipo di didattica è incardinata l’autovalutazione, peraltro richiesta dalla normativa vigente, e supera quell’oppositività che nasce dal senso di inadeguatezza e frustrazione rispetto allo standard previsto, e dalle conseguenti ricerche di vie d’uscita, mentre nel piccolo gruppo solidale si cresce assieme. In altri termini, la lezione frontale pervasiva è causa di reattività (vedi nota n. 3) che vediamo ormai diffusa in modo evidente in tutta la nostra società. Per forza! L’abbiamo coltivata con scienza e coscienza per tredici anni di scuola! Eppure, anche senza il supporto delle neuroscienze, una pedagogia empirica ci ha già regalato una preziosa massima da seguire: “Ci vuole un intero villaggio per educare un ragazzo”.
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1″La didattica imperativa” blog “Sottobanco”, sito de Il Secolo XIX, 18/09/2021, https://www.ilsecoloxix.it/blog/2021/09/18/news/la-didattica-imperativa-1.40716234
2Vale la pena, in questo caso, di utilizzare il femminile sovraesteso per l’evidente sproporzione che vede il genere maschile quasi o del tutto assente nel settore.
3″L’errore di reazione: refrattari al pensiero scientifico”, rubrica “Blog” su Educazione Aperta, n. 1, 2017, https://www.educazioneaperta.it/g.html
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