La musica bisestile. Giorno 118. Françoise Hardy
La grande idea, dal punto di vista musicale, fu quella di sostenere la voce esile con la tromba, che prima di allora non era mai stata usata con la voce, per evitare che la schiacciasse. Ma con Françoise Hardy tutto sembrava bello e gentile, anche la contravvenzione delle regole
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Fulminato. Lei cantava in un italiano strascinato, aveva l’aspetto malinconico ed impacciato, quasi immobile. Ed io, che non avevo dieci anni, ero fulminato. Bang. Come un daino colto di notte dai fari mentre attraversa la strada. Non innamorato, perché avevo avuto immediatamente, fortissima, l’impressione che lei non avesse bisogno di uno come me, che i due mondi non avessero alcun punto in comune. Ma il solo sapere che esistesse, già a quella età, mi dava la misura dell’ingiustizia profonda di cui anch’io ero vittima. Lei esisteva, e non l’avrei incontrata mai.
Françoise Hardy, sicuramente, ha fatto carriera per la propria bellezza (all’inizio) e poi il fatto che fosse completamente inarrivabile. In diverse interviste che ho visto lei sembra assente, annoiata, cortese, quasi infastidita dalla propria presenza fisica – che, credo, specie dopo che era divenuta la compagna di Jacqus Dutronc, le diede le chiavi per entrare a far parte di una comunità estremamente snob ed esclusiva insieme a Gainsbourg, Halliday, Moustaki, Berger.
Negli anni ho anche capito che cantava malvolentieri dal vivo, e che i suoi tour in Sudafrica ed in Congo l’avevano talmente stremata da convincerla a restare per oltre 20 anni lontana dal palco. Ma allora perché selezionare proprio Françoise Hardy per la mia lista? Perché, come France Gall, ha impersonato un modo di essere, all’interno della storia della musica, che oggi, a distanza di anni, possiamo apprezzare in modo diverso da allora. Esistevano infatti, a quei tempi, Burt Bacharach in America e Bert Kaempfert in Europa, ed entrambi portavano avanti un discorso, iniziato negli anni 40, che poi si era evoluto ed era divenuto altro: formale, ma sbarazzino, ricercato ma melodioso, e di cui oggi si è completamente persa la memoria, anche se Bacharach gira ancora il mondo con la sua orchestra.
Ma io amo Bert Kaempfert, così come ho amato Gorny Kramer, e Françoise Hardy canta su quel genere di musica (e per questo aveva successo in tutto il mondo), a cavallo tra la canzone d’autore francese ed il brano jazz delle grandi orchestre. Naturalmente, questo disco l’ho scoperto tanti anni dopo, perché nel brano più famoso si usa la tromba insieme alla voce umana, come proponeva Gorny Kramer, mentre il resto della musica ufficiale lo considerava impossibile – due frequenze che si annullano a vicenda.
Insieme a queste canzoni jazz-pop, ci sono anche un poema di Louis Aragon sugli amori infelici, musicato da Brassens. Quanto a lei, l’ho vista in rete, ha più di 70 anni, è sempre bellissima, molto più presente di prima nel contraddittorio, ma purtuttavia distante, aristocratica, sempre con un guizzo di divetita superiorità. Ecco. Adesso credo che potrei amare una donna così, ma questi sono gli stupidi pensieri di un bambino di 60 anni che non cresce mai.
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