Musica
Janis Joplin, la tigre del palcoscenico che mostrava le sue fragilità
Texas 1943 in un ambiente conservatore e bigotto, in una città attraversata in pieno dell’onda di violenza razzista del Ku Klux Klan, in una famiglia di ceto medio, nasce Janis Joplin. Estranea al contesto reazionario in cui vive, inizia prestissimo a manifestare idee diverse da quelle dominanti nel suo ambiente familiare e scolastico. L’antirazzismo è il femminismo certo non erano in voga in una città come la sua, a sud del profondo Sud degli Stati Uniti.
Ma le idee per Janis erano più importanti dei bulli, quella per cui diventa un target durante tutti gli anni della scuola. Viene sistematicamente insultata e messa all’angolo tanto per i suoi ideali, quanto per il suo aspetto, leggermente distante dallo standard di femminilità comunemente accettato. L’acne e i capelli crespi a quanto pare le precludono la possibilità di appartenere al clan di compagni e compagne durante l’adolescenza. La sofferenza derivante dell’esclusione sociale porta Janis ad esplorare la sua parte artistica, prima attraverso le arti visive poi con la musica. Entra nel coro cittadino con l’intento di approfondire il legame con la musica ma non riesce a sottostare alle direttive del gruppo e presto viene cacciata in quanto è elemento di disturbo.
Il fatto è che Janis è inquieta. Tutto del contesto in cui vive le va stretto, dal coro alla famiglia, alle convenzioni sociali della sua città. Per questo motivo, una volta completati gli studi superiori decide di spostarsi a Austin per frequentare l’università, dove spera di poter trovare persone con una mentalità un pò più vicina alla sua e aspirazioni più compatibili. L’università non la finisce, ma nella grande città ha modo di avvicinarsi ancora di più al mondo musicale, che di lì a pochissimo le sarebbe appartenuto.
All’inizio, però, la sua carriera musicale non decolla. Decide di trasferirsi in California, a San Francisco. Lì registra tra i suoi primi pezzi tra cui “What Good Can Drinkin’ Do”, che segnano l’avvio vero e proprio della sua carriera. Accetta poi l’offerta di un gruppo californiano alla ricerca di una voce femminile. La nuova formazione musicale, i Big Brother and Holding Company viene consacrata sulla scena nazionale durante il festival di Monterey, nel 1967, e la successiva Summer of Love.
La sua famiglia rimasta alla modesta e più prevedibile vita in Texas, non mostra un concreto supporto nei confronti della carriera di Janis. I genitori avrebbero preferito avere una figlia tradizionale, più in linea coi loro principi e desideri, una ragazza assennata, che diventasse insegnante e mettesse su famiglia. Che avesse, in definitiva, un’esistenza simile alla loro, modesta e decorosa. Da dopo Monterey, il pubblico rimane folgorato dalla sua musica e dalla sua voce struggente e il successo aumenta a dismisura in pochissimo tempo, rendendo difficile per la Janis ventiquattrenne elaborare un cambiamento di vita così radicale.
In un Paese che come unico modello di femminilità ammette Audrey Hepburn e Julie Andrews, Janis rivendicava il diritto di esistere alle sue regole. Salire sui palchi senza trucco nonostante l’acne, non sottostare alla pressione della perfezione, è senza dubbio un atto politico e rivoluzionario. Per comprendere questa scelta basterebbe accettare che esistono diversi tipi di femminilità, talmente tanti che non ha neppure senso parlare di femminilità in generale. Nonostante la vicinanza al movimento femminista, Janis lavora con un entourage esclusivamente maschile. Sono poche le figure femminili che orbitano intorno alla vita dell’artista, la maggior parte delle quali sono legate a lei da brevi relazioni sentimentali.
Janis ha espresso la sua personale ribellione agli anni del bullismo subito, quando i ragazzi le dicevano che era goffa e brutta, riempiendo tutti gli spazi che si è conquistata di piume e capelli spettinati, di vestiti larghi e colori. Ma In bilico tra il desiderio di essere amata e quello di essere temuta, le sue ferite erano più profonde di quello che si poteva pensare guardandola dall’esterno, e cantare sfacciatamente la ritrovata libertà per lei è stato un modo di suturarle solo per un pò.
Gran parte della vita dell’artista, infatti, rimane influenzata dal bullismo subito durante i primi anni di scuola in Texas. Come racconta in una lettera rivolta ai genitori, l’unica cosa che riusciva a rendere sopportabile l’enorme carico fisico e mentale e le aspettative dell’industria musicale nei suoi confronti era la possibilità di sentirsi amata. E se é vero che fare arte può lenire il dolore ed essere persino terapeutico, a volte é anche un mezzo subdolo per riviverli, quei traumi, infinite volte, mettendo costantemente a nudo la propria interiorità per darla in pasto alle folle urlanti.
La controcultura e la ribellione al sistema entrano, in tutte le loro declinazioni possibili, nelle case di moltissime persone. In opposizione al concetto di immobilità sociale, nasce una vera e propria sottocultura che celebra l’amore e la comunità, la sperimentazione artistica ed esperienziale, la pace, la calma, attraverso l’abbandono di ogni schema preesistente.
Il consumo di alcol e droghe, così come l’abbandono scolastico diventano fenomeni diffusi su larga scala in quegli anni di completo stravolgimento delle regole. In questo contesto ha luogo uno degli eventi simbolo del decennio, il festival di Woodstock del 1969, a cui partecipa- come una delle artiste di punta del palinsesto- anche Janis Joplin, all’apice del successo globale. È la più attesa di tutto il festival, insieme a Jimi Hendrix, e lo sa bene. Le aspettative però la consumano. Dopo ore di attesa nel backstage, arriva il suo momento, si esibisce completamente e visibilmente fatta. Ma si racconta che, anche nelle peggiori condizioni possibili, Janis sul palco fosse sempre la migliore. Ebbe un complicatissimo rapporto con le dipendenze dalle droghe e dall’alcol, durato tutta la sua breve vita.
Chissà se la società era pronta ad accogliere il dolore di un’anima fragile come la sua. La controcultura restava in netta minoranza rispetto al pensiero comune. La gran parte della gente ha continuato a vivere la vita di sempre. La tendenza a capitalizzare, accumulare a qualunque costo, non è mai stata davvero contestata dal mondo occidentale, passando sopra tutto, passando anche sopra le persone. Una società che probabilmente aveva paura persino di pronunciare la parola depressione avrebbe mai realmente compreso la sofferenza che spinge una giovane artista di ventisette anni a rifugiarsi nella droga?
Janis Joplin viene trovata senza vita in un hotel di Los Angeles il 4 ottobre 1970.
Janis è la terza artista rock, dopo Brian Jones e Jimi Hendrix, a entrare a far parte di quello che, dopo la morte di Kurt Cobain, viene chiamato il Club dei 27, lo sfortunato team che vede raggruppate le varie personalità del mondo della musica che hanno perso la vita proprio a ventisette anni. Sintomo forse che c’era un problema diffuso tra le persone di quell’età sottoposte a un certo tipo di pressione poco sostenibile. Problematica che, ovviamente il tritacarne del mercato musicale ha messo sotto il tappeto per troppo tempo. Janis ha abbandonato il mondo a soli ventisette anni avendo vissute molte vite. Tutte distrutte, una piccola pugnalata alla volta, perlopiù da persone da cui non desiderava altro che appoggio e validazione. In diverse interviste racconta di come uno dei pochi scambi sinceri che riusciva ad avere era con il pubblico, durante i concerti.
Nel periodo precedente la sua morte era molto sola, dopo ogni concerto ritornava nella sua stanza d’albergo e affrontava, come poteva, i suoi demoni. A rendere la solitudine ancora più insopportabile, la partenza del suo compagno in viaggio per il continente africano, che Janis aveva patito moltissimo ma avrebbe sicuramente perdonato “da bravo capricorno” come canta anche in “Cry Baby”. Perdonare tutto pur di ricevere amore.
La mattina dopo il ritrovamento del suo corpo senza vita, compare alla reception dell’hotel un telegramma per lei. È la tanto attesa risposta del compagno alle sue lettere d’amore. Chissà, Janis, se avessi letto quel telegramma. Magari avresti avuto un motivo per uscire, quella sera, per raggiungere un amico in un pub. Immagino che non lo sapremo mai.
“Pearl” è l’album pubblicato postumo che riassume tutta l’interiorità di una donna ribelle, forte, fragile, testarda, romantica, sola. Più di cinquant’anni dopo la sua morte, il segno che Janis ha lasciato al mondo é ancora intatto, le infinite possibilità di esistere sono quanto di più prezioso un veicolo come la musica possa dare al pubblico. Oggi blues, domani folk, dopodomani, se mi va, rock. Se oggi ci é concesso di essere e provare tutte queste cose insieme senza per forza scegliere, forse è anche un pò merito suo.
Devi fare login per commentare
Accedi