Nata a New York da famiglia ebreo-tedesca, morto prematuramente il padre, ricco imprenditore, Alice nel 1888 si sposta ad Amburgo con la madre. Di lá, avendo sempre nel frattempo continuato a viaggiare, la nostra arriva a Roma dove partecipa come benefattrice al recupero umano e sociale del disagiato quartiere di San Lorenzo. Lì conosce il barone Leopoldo Franchetti (1847-1917) – meridionalista, con Sidney Sonnino autore de La Sicilia nel 1876 – anch’egli filantropo, col quale si sposerà a ventisei anni, nel 1900. Da allora trasferitasi nella villa La Montesca già fatta costruire dal marito sulle colline altotiberine, Alice si dedica intensamente all’educazione, mettendo in piedi le due scuole rurali di Montesca e Rovigliano attraverso cui esplica una innovativa attività di formazione rivolta ai figli dei propri mezzadri. In quei due lustri grazie a lei e al manipolo di intelligenze femminili che sa mettere in campo sia localmente sia internazionalmente, la villa diviene una sorta di hub per intellettuali ed educatori da tutto il mondo – inclusa Maria Montessori (1870-1952) che i baroni stessi spingono a scrivere il Metodo, supportandone poi la pubblicazione presso l’editore tifernate Scipione Lapi.
Ora, in occasione del 150mo di Alice, il Centro Studi Villa Montesca – Fondazione Hallgarten Franchetti ha prodotto la mostra “Alice a Bruxelles. Le scuole rurali della Montesca e Rovigliano all’Esposizione Universale del 1910. Dalle origini a Maria Montessori” presso la Pinacoteca di Città di Castello (fino al 23 giugno); curata da Cristina Caracchini (Western University, Ontario, con il determinante contributo del Social Sciences and Humanities Research Council of Canada) ed allestita dal sottoscritto come Dipartimento di Architettura, Università di Firenze, di questa mostra abbiamo fatto occasione tra ricerca e didattica, avendo Cristina curato il catalogo edito da FUP-Firenze University Press (scaricabile qui: https://media.fupress.com/files/pdf/24/14131/40870) nonché i due (preziosi) video in mostra, ed io stesso guidato la tesi di laurea di Gaia Bartoli (correlatrici Barbara Aterini e Cristina Caracchini) per la ricostruzione dello stand realizzato dalla Hallgarten alla Esposizione di Bruxelles nel 1910, dove riuscí appunto a presentare al mondo le sue due scuole di “area interna”.
Tra le questioni che questa microstoria evoca, contingentemente anche per il film su Maria Montessori con Jasmine Trinca (in uscita settembre 2024) é quella della reciproca influenza tra Hallgarten e Montessori. Di certo oggi la pedagogia di Alice – volata via nel 1911, a trentasette anni – é di fatto quasi sconosciuta rispetto al Metodo Montessori, la cui autrice ha invece avuto una vita lunga ed operosa. Con questa mostra “analogicamente immersiva” – perché nelle aree interne i budget non somigliano a quelli delle aree “avanzate” del Paese – grazie alle sagome delle amiche di Alice che accorciano le distanze tra i visitatori e l’eterna e sapiente noia dei documenti si scopre ad esempio che nel Metodo nel 1926 scompare per misteriose ragioni la dedica ai Franchetti-Hallgarten. Ancora, dopo oltre un secolo si celebra tecnicamente la museificazione degli elaborati didattici – nel 1910 sfogliabili direttamente nello stand della Expo, oggi parzialmente consultabili con un touch-screen, e presto interamente online grazie ad un progetto di digitalizzazione in corso. A ben guardare anche lo stand viene ricostruito come fosse un monumento, con precisione fotogrammetrica ed in base a quattro ipotesi diverse, data la scarsa leggibilità delle foto che ce lo hanno tramandato. Base di misura della ricostruzione é uno dei “quadretti” degli esercizi dei piccoli allievi, giunto fino a noi in quanto conservato nel museo della Tela Umbra – altra innovativa mossa di Alice, che dà lavoro ed indipendenza economica alle mogli dei mezzadri, organizzando per loro un laboratorio di tessitura (ancor oggi attivo) con annesso asilo d’infanzia.
Per una applicazione di sostenibilità, l’allestimento della mostra é realizzato con materiale riciclato, legno OSB nobilitato con una velatura sottile recuperata dalla tradizione degli artigiani mobilieri tifernati, i pannelli giuntati a 45gradi e sollevati da terra con una sottile linea d’ombra – tutto tributo al magistero di Alberto Burri che trasformava materiali poverissimi in opere d’arte. Calibrato per misura sulla sala a navata unica che lo trasforma percettivamente in altare con retablo, il ricostruito stand nella visione frontale innalza a site-specific – attraverso l’unica lunetta del portico mantenuta trasparente – la visione dei graffiti bianco/nero disegnati da Giorgio Vasari per la facciata di Palazzo Vitelli alla Cannoniera, sede della Pinacoteca.
Percorrendo la mostra in un senso si apprezzano in bianco/nero le foto e le sagome delle amiche e collaboratrici di Alice; dall’altro lato vi si leggono frasi illuminanti della stessa Hallgarten, e le biografie delle amiche, sempre nero su bianco.
Laboratorio per le scuole durante la settimana e propriamente mostra nel week-end, questo allestimento é stato realizzato sostenibilmente per essere smontato e rimontato come esposizione permanente nella villa Montesca.
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