Milano
Proprietari e inquilini a Milano: ora la battaglia è sull’affitto da pagare
L’universitario che «non pago». Umberto vuole «andare per avvocati». Chissà quando, con i tribunali sigillati. Walter, proprietario di seconda casa assieme al fratello, che con l’affitto incassato da studenti e lavoratori ci versa «la retta nella Rsa per mia madre che ha più di novant’anni». Case di riposo e affitti. Per lui un mix di preoccupazioni in un colpo solo. Sara, studentessa fuori sede di 23 anni, la cui coinquilina ha dato disdetta del contratto e che ora si ritrova «a pagare anche la sua parte a meno di non trovare un’altra persona». Impresa al momento impossibile. Roberto, revisore contabile in smartworking dal suo appartamento in circonvallazione, convive con la fidanzata, studentessa in Statale e babysitter senza bambini da accudire al momento. Una stanza vuota lasciata a marzo dal loro coinquilino. Anche questa a carico loro.
Mille sfaccettature diverse, mille punti di vista, dello stesso fenomeno: basta mettere tre righe di appello nei principali gruppi social che si occupano di affitti a Milano per essere sommersi di storie. Tutte uguali, tutte diverse. È il prossimo problema, sociale ed economico, del capoluogo lombardo: chi paga gli affitti nella città dove meno di due mesi fa si faceva a gara per visitare gli appartamenti, le stanze, i “buchi”, come dicono i più critici? 121.281 immobili locati soltanto quelli di proprietà di persone fisiche. Un giro d’affari che per il solo mercato ordinario di lungo periodo, il più stabile costituito dai classici contratti 4+4, secondo l’Agenzia delle Entrate nel 2018 vale 357,7 milioni di euro. Per un costo medio di 152 euro annui al metro quadrato. Altri 90 milioni il mercato transitorio, da 12 a 36 mesi. Più gli affitti brevi, il canone concordato, le case di enti, società, fondazioni, cooperative. Le case popolari. Il “nero”, annoso problema mai risolto, nemmeno con l’introduzione della tassazione agevolata a cedolare secca nel 2011. «Il nero è stato utilizzato come ammortizzatore sociale mascherato – dice Enrico Puccini, architetto e urbanista studioso della “questione abitativa” in Italia – con la conseguenza che quando c’è bisogno dei dati per intervenire nessuno ha un quadro nitido della realtà». Già, i dati. Quanti universitari fuori sede sono “scappati” da Milano e non pagheranno perché non possono con le famiglie in difficoltà? O non vorranno per stanze e monolocali di cui non fruiscono magari fino a settembre? Difficile dirlo. Perché non sappiamo quanti sono nemmeno in tempi normali: solo 587 contratti registrati risultano nella tabella “Mercato agevolato per studenti”, per un canone complessivo annuo di 4,6 milioni di euro. Briciole. Mercato agevolato perché i fuori sede hanno per legge diritto a un canone d’affitto concordato in quasi 800 comuni d’Italia considerati ad “alta tensione abitativa”. A Milano è figlio dell’ultimo accordo locale siglato due anni fa fra sindacati inquilini – non tutti – e associazioni dei proprietari. Più basso fino al 30 cento del mercato ordinario. Gli studenti, gli unici a poterlo richiedere, non conoscono la norma. I proprietari in tempi di “vacche grasse” non ritengono opportuno “perderci” dei soldi. Il risultato è che quando le cose si mettono male mancano i numeri per guardare in faccia la realtà e attuare politiche di sostegno. “A Milano è boom di affitti: ecco perché sono i più cari d’Italia” (Corriere della Sera, 1 luglio 2019). “Affitti a Milano: boom della domanda e canoni in rialzo” (Il Sole 24 Ore, 14 giugno 2018). Questa la narrativa dedicata al “mattone” e al mercato delle locazioni meneghino che ha dominato le cronache negli ultimi anni. E che diventa un ricordo sbiadito di fronte alle conseguenze economiche del Coronavirus sulla “locomotiva d’Italia”.
Rimangono le storie. C’è Annalisa, madre siciliana preoccupata, che vuole liberare la stanza della figlia «scesa in tempi non sospetti a febbraio perché non aveva lezione tutto il mese». «Io e mio marito siamo partite iva, abbiamo chiamato il proprietario dicendogli di non avere introiti e di venirci incontro. Ce lo ha negato. Paghiamo 600 euro una stanza che non potremo liberare perché impossibilitati a muoverci, è una situazione disastrosa». Le fa eco Serena, pugliese, una figlia stagista rimasta al nord «nonostante fosse saltato completamente il suo progetto lavorativo per evitare di poter contagiare i suoi cari» dice provando anche una sorta di orgoglio: «Si è parlato tanto dei ragazzi che sono scappati verso il sud mettendo tutti noi in pericolo. Nessuno ha parlato invece di chi è rimasto e certo non in una casa confortevole». E ancora: «Domani chiamerò i proprietari perché non ha senso rimanere senza lavoro, quindi lascerà la sua casa a fine maggio. Tutto questo con grande dispiacere e con la sensazione di aver sprecato energie e risorse per due anni. C’è da capire come organizzare il trasloco». C’è chi paga ma vuole andare per tribunali, una volta riaperti. Come Umberto, studente di economia in Cattolica, a Milano dal 2017 in affitto in zona Bicocca. «Sono rientrato in Puglia quando ancora non erano all’orizzonte le restrizioni odierne. Avevo terminato la sessione d’esame e le lezioni. Sono impossibilitato, non per mia causa, ad usufruire dell’immobile preso in affitto. Ho cercato di accordarmi con la proprietaria su un’eventuale riduzione del canone d’affitto ma non ho avuto risposta positiva». Per ora paga ma ha sentito il suo avvocato e «passata l’emergenza procederò a norma di legge» perché secondo il suo legale vari articoli del codice civile potrebbero tutelarlo. La carrellata di vicende personali continua: Vanessa, 23 anni, dal lunedì al giovedì studentessa in un’accademia di musica, venerdì e week end barista a Verona per pagarsi gli studi. «Da marzo non lavoro più e avendo un contratto a chiamata le mie entrate sono pari a zero. Chi paga l’affitto?». Valeria, studentessa di Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Milano. Il fine settimana cameriera in un bar-pasticceria a Bergamo di dove originaria. Una stanza in zona Famagosta e ora che è bloccata nel cuore del focolaio l’unica soluzione è la disdetta del contratto, concordata con il proprietario.
Il mondo degli studenti e quello dei lavoratori, immigrati interni, a bassi salari, che tengono in piedi interi pezzi di terziario, servizi e commercio. Grazia, cameriera sarda, 22 anni, ultimo lavoro in Darsena, monolocale di 30 metri quadrati e il 10 del mese già non ha pagato 650 euro di affitto. «Ho paura che il proprietario si ritrovi a chiedermi tutte le mensilità insieme o mi porti via la caparra che per me è importantissima. È l’unica base che ho». Pierangelo, ristorante chiuso, tornerà a fare il rider per Glovo per pagarsi la stanza. Brigida, marchigiana con laurea più master, aspirante giornalista. Mentre coltiva passioni e speranze lavora come centralinista in una concessionaria d’auto a 700 euro al mese. Infine una storia che le racchiude tutte, simbolo del triplo “ricatto” che si può subire in questi tempi sui fronti lavoro, casa e salute. Quella di Giulia, emigrata dal sud Italia, lavoratrice in un’azienda dell’hinterland nord est milanese che non ha fermato i motori di fronte all’emergenza. Vive in affitto in nero a casa di una signora anziana, che non vuole più condividere lo spazio con una persona che si muove per lavoro e rischiare a sua volta il contagio. Il “capo” le è venuto incontro mettendola in cassa integrazione fino al 18 aprile. Ma deve trovare una soluzione abitativa diversa e con il lockdown è complicato. Nelle sue parole l’allegoria della paura: «La mia padrona di casa ha paura del Coronavirus. Il mio capo ha paura di perdere l’azienda che ha costruito in 30 anni di sacrifici. La mia famiglia ha paura perché sono qui sola. Io ho paura di andare a lavoro, di restare senza un tetto sulla testa e di perdere tutto. Questa epidemia ci sta uccidendo».
Paure che qualcuno prova a convogliare in rivendicazioni sociali. C’è chi lancia “Rent Strike”, “sciopero degli affitti”, in protesta contro un Paese che per vent’anni ha spiegato ai lavoratori di essere mobili sul territorio e flessibili sul lavoro, senza pensare a politiche mirate alla loro forma abitativa per antonomasia: la locazione. Nel decreto “Cura Italia” il capitolo è mancante, in attesa delle misure di aprile: solo il blocco degli sfratti fino al 30 giugno. Le prefetture non concedono la forza pubblica per eseguirli. Il Prefetto di Milano, Renato Saccone, aveva già implementato questa misura in proprio a fine febbraio. Nessuno sembra accorgersi che lo stop agli sfratti riguarda chi già aveva una procedura di rilascio immobile in corso – tempo medio 18 mesi solo per ottenere la sentenza dai tribunali – e non riguarda chi entra in difficoltà ora. Il governo a tutti i suoi livelli – centrale, regionale e locale – prova a vendere interventi legati all’emergenza, con scarso successo: la ministra alle Infrastrutture Paola De Micheli annuncia lo stanziamento di 46 milioni di euro sul contributo affitto per far fronte al Covid-19. In realtà sono fondi previsti dalla Finanziaria e spalmati sulle 20 regioni già a dicembre. Regione Lombardia annuncia 30 milioni fra sostegno affitto e morosità incolpevole, di cui circa 3,5 milioni destinati al Comune di Milano che li gestisce attraverso l’agenzia sociale per la locazione “Milano Abitare”. Più della metà sono le risorse “avanzate” nel quadriennio 2014-2018. Mai spese nonostante 2.845 sfratti eseguiti a Milano nel 2018 e 19mila richieste di esecuzione, perché accedervi è necessario avere già la procedura di sfratto in corso e la proprietà deve accettare di rinegoziare i contratti a canoni più bassi. Il tutto condito da bandi, graduatorie, verifica dei requisiti. Tempi non compatibili con le esigenze del presente.
Avvocati e centri studi fanno a gara a chiarire come, in punto di diritto, nessuno sconto o sospensione dell’affitto sia dovuta perché “la pandemia non incide sulla prestazione principale del locatore, vale a dire la messa a disposizione di locali” come scrive su Monitorimmobiliare.it Andrea Nocera, responsabile del centro studi di Confedelizia, la storica associazione dei proprietari, richiamandosi a numerosi articoli del codice civile. Chiacchiere. Interessanti, ma per addetti ai lavori . Lo “sciopero degli affitti” ci sarà, come mostrano gli aneddoti e i dati sulla flessione dei consumi elettrici giornalieri e della raccolta rifiuti porta a porta che fotografano una Milano progressivamente svuotata nelle settimane di marzo. Ma nessun sindacato di base o collettivo che lo ha lanciato potrà realmente intestarselo. È economia, non (ancora) lotta politica.
Economia che affonda la propria lama nella psiche e nei rapporti interpersonali, come raccontano vari agenti immobiliari ipotizzando un indurimento dei rapporti fra inquilini e locatori e un aumento del contenzioso in futuro. Vanno esacerbandosi antichi conflitti mai sopiti. «Io non lavoro, non ho altri redditi, non ho diritto a nessun contributo» dice Stefania, proprietaria milanese di due appartamenti per otto inquilini, di cui quattro sono tornati a casa propria chiedendo la sospensione dei pagamenti. «Il capofila della richiesta, il papà di un’inquilina – racconta definendolo “l’infame” – è un dipendente pubblico che non ha perso un euro dalla situazione. La permanenza della figlia era di cinque mesi. Per gli altri, sono stata più comprensiva. A uno ho scontato 50 euro su 520. All’altro, ho scontato un po’ di più perché mi faceva tenerezza». E aggiunge: «Ho cancellato la registrazione del contratto, così da non dover pagare la cedolare secca per questi mesi» anche se da pochi giorni è possibile integrare il contratto d’affitto con una scrittura privata da depositare all’Agenzia delle Entrate per certificare le mancate entrate e ridurre il carico fiscale.
Maurizio per lavoro affitta appartamenti per studenti a Pavia: «Un appartamento si è svuotato, quattro studenti su quattro che hanno fatto la famosa ‘fuga’ di ritorno al Sud. In un altro è rimasta solo una persona su quattro». Ossigeno? «Subendo una perdita imprevista posso far fronte agli impegni fino a settembre, confidando sul fatto che in autunno torni tutto alla normalità e riprenda come prima, con l’Università che riapre e gli studenti che hanno necessità delle camere per poter frequentare». «Stavo per fare un investimento a fine febbraio, acquistando un altro appartamento da mettere a reddito in affitto, ma la crisi ha bloccato tutto. Quindi io non compro, chi doveva vendere non riuscirà a vendere, l’agenzia immobiliare non prenderà la percentuale, io non spenderò soldi per ristrutturare e arredare, insomma tutto l’indotto ne risentirà». I suoi mutui per seconde e terze case non sono coperti dalla sospensione delle rate prevista dagli interventi del Governo Conte bis. E anche la misura sui debiti contratti per acquistare casa, all’altro vertice del mercato immobiliare, quello delle compravendite, offre il fianco a critiche: è stato allargata la platea alle partite iva che hanno persone il 33 per cento del fatturato rispetto all’ultimo trimestre 2019 e ai lavoratori a tempo determinato, eliminando il requisito di reddito a 30mila euro annui. Del resto, l’Italia è piena di banche che hanno prestato 250mila euro per acquistare la prima casa a un lavoratore con contratto di lavoro da sei mesi. Ma all’Unieuro di piazza San Babila, un contratto così non è ritenuto garanzia sufficiente nemmeno per acquistare un telefono a rate.
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