Milano

Milano come piattaforma estrattiva

20 Giugno 2019

Intanto bisogna ringraziare (?) l’Alta Velocità. Se riduco i tempi di percorrenza e semplifico gli spostamenti, aumento la diretta competizione tra città e territori, chi ha un leggero vantaggio finisce, nel medio periodo, con l’aumentarlo, così prima ci siamo succhiati Roma e i romani (però adesso abbiamo finalmente AlicePizza in viale Tunisia e i supplì al cacio e pepe in Biblioteca degli alberi), poi è stata la volta di Torino (vedasi le Olimpiadi, mentre, almeno per ora, l’attacco al Salone del Libro è stato rintuzzato, ma a quale costo?), non parliamo del Sud e del Centro Italia, con la differenza che prima per i cinque anni di Bocconi poteva andar bene l’affitto, adesso anche se vai alla Marangoni compri già casa, così l’investimento della famiglia di provenienza si mantiene o addirittura cresce, che tanto a Napoli, Bari, Palermo che futuro vuoi che ci sia e il mercato immobiliare è a pezzi ovunque tranne che qui.

E allora ci si porta a casa nuovi residenti, che certo male non fanno, che facile si formino, lavorino, investano, producano, molto probabilmente votino in linea con l’attuale modello, mentre il resto del Paese si svuota, restano i vecchi, gli inoccupati, gli impoveriti, soprattutto gli esclusi e arrabbiati  , più si cresce come metropoli (o presunta tale) più si produce provincia nel resto del Paese, wildlings e white walkers sono ormai alle porte, Sesto, Cinisello, tutto saltato, non ci resta che una strenua difesa alla Bovisa, in Fondazione Prada, e non è chiaro chi possiamo chiamare in nostro aiuto, non è certo con i Draghi che ci si salva (tutta la storia di Salvini è quella di un ragazzo che, dal concerto al Leonka all’aperitivo al Diana, cerca di farsi accettare da una città che continuamente lo espelle, lo rigetta, ovvio che sia arrabbiato, che sarebbe spietato).

Non ci si limita a estrarre risorse umane, ma si drena ogni tipo di flusso: finanziario, creativo, turistico. Negli ultimi anni la principale dinamica di crescita è stata quella di allestire e riempire scatole vuote, vuoi che siano le Poste Starbucks in Cordusio, gli appartamenti nei boschi verticali, gli infiniti spazi e luoghi di cultura dove regna la sproporzione tra fruizione / acquisizione e produzione (non è che non si crei nulla, ma l’elefantismo allestitivo di questi anni sta partorendo un po’ dei topolini culturali, diciamocelo). Alle scatole si dà dei nomi, quasi sempre quelli di chi ci ha messo i soldi, ovvio che le aziende lo richiedano, un po’ meno ovvio come questo influisca sulla percezione di una città, intanto Allianz ringrazia.

Come allo spazio cittadino, così si inventano vocazioni al tempo. Le quaranta e passa settimane dell’anno solare ricevono ciascuna una destinazione d’uso, un destino, un nome possibilmente inglese a cui segue l’immancabile week. L’ossessione tutta cittadina per dedicare il proprio tempo libero a ciò che vale davvero la pena vivere (il Forte, Santa, il cocktail nel rame, l’installazione nei navigli di Leonardo) si combina perfettamente e cresce a dismisura con la FOMO tipica dell’era social: non sei più tu o i tuoi amici, ma un’intera comunità, un’intera città che vive di likes, ha bisogno di costanti rinforzi e dopamina, da cui la necessità di un Modello che tutti gli altri invidino, vengano estasiati ad ammirare.

Peccato che quel modello oggi assomigli un po’ troppo a quello delle piattaforme californiane. E così, mentre Amsterdam e Barcellona si pongono il serio problema di mettere fuori gioco Airbnb e un certo tipo di turismo, noi in Airbnb ci trasformiamo e di quel turismo ci vantiamo (e ci attiviamo per attirare i surfisti). Mentre Berlino affronta il caro affitti teorizzando addirittura forme di esproprio, noi, e per primo lui, ci siamo dimenticati della proposta Pisapia che ipotizzava una penalizzazione fiscale per gli appartamenti sfitti. Mentre New York e Parigi immaginano una messa al bando dei monopattini elettrici, noi festeggiamo l’arrivo dell’ennesimo provider privato di mobilità, senza sapere o fingendo di non sapere quali siano, nel medio periodo, gli impatti di queste non-scelte per il trasporto pubblico.

Scatta immediata l’obiezione: ma qui si vive meglio che nel resto d’Italia. Certo, nessuno lo nega, verrebbe anche da dire: ci mancherebbe pure. Anche a San Francisco c’è oggi un sacco di gente che se la spassa, probabile oggi che con un po’ di azioni di Uber tu possa smettere di lavorare a 40 anni, girare il mondo e tanti saluti. Solo che a San Francisco c’è anche un sacco di gente che a San Francisco viveva e oggi non ci può vivere più, si è dovuta spostare di chilometri e chilometri, il caro affitti, il costo della vita, peccato che a San Francisco sei anche fortunato se una casa ce l’hai, la popolazione di homeless ha raggiunto cifre che nemmeno nelle peggiori distopie. Allargando lo sguardo, tutta la California è oggi un posto dove si vive mediamente bene, molto meglio che da altre parti nel mondo, solo che queste due dimensioni sono tra loro collegate, estrazione di valore da una parte, esternalità negative dall’altra, è la disuguaglianza, bellezza, e ci conviene cambiare rotta. Se modello vogliamo essere, non è di questo modello che abbiamo bisogno, non noi (a forza di inseguire week e fuorisaloni siamo sempre più esausti, depotenziati, soli, non a caso è monopattino :-), non il resto d’Italia, altrimenti non basterà nemmeno rifugiarsi nella Cerchia dei Navigli, i wildlings arriveranno, e in fondo avranno ragione loro.

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