Un romantico a Milano: ho perso le elezioni ma ho ancora voglia di stupirmi
Io ho perso le elezioni. Non ho proprio nulla da festeggiare, perché ho perso le elezioni. Solo che non le ho perse il 19 giugno. […]
Era chiaro a tutti che, dal momento in cui Giuseppe Sala fosse sceso in campo per le primarie comunali di Milano, il confronto all’interno del PD e del centrosinistra milanese avrebbe assunto toni e caratteristiche nuove. La candidatura di Sala, infatti, introduceva una nuova idea di continuità rispetto al passato. Non più una continuità con l’esperienza amministrativa della Giunta Pisapia e il modello della Milano “arancione”, frutto di un’alleanza fra una coalizione di partiti di centrosinistra e alcune forze della società civile (Movimento Civica Milano, Lista Milly Moratti e, più in generale, il cosiddetto “popolo arancione”, per l’appunto). Ma una continuità di tutt’altro segno, con l’esperienza di EXPO 2015, una manifestazione che da principio sembrava destinata al fallimento, mentre poi ha rappresentato uno dei momenti di maggiore visibilità internazionale del sistema paese, oltre che la finestra di opportunità per rilanciare la città di Milano in una prospettiva di global city.
Preferire la continuità con la Milano di EXPO 2015 invece di quella con l’amministrazione Pisapia permetteva anche di cogliere al volo l’opportunità fornita dallo stesso Pisapia di non volersi ricandidare, facilitando l’obiettivo di superare dunque definitivamente il modello Milano e della Giunta arancione: una soluzione politica che, rispetto alla nuova “vocazione maggioritaria” del PD di Renzi, sembrava ormai appartenere al passato. Ed è anche per questo motivo che Giuliano Pisapia, insieme ad alcuni esponenti di spicco del PD e del centro-sinistra milanese, ha deciso di andare alla ricerca di una candidatura alternativa a quella di Sala. Individuando in Francesca Balzani, la sua “ultima” vice-Sindaco nonché assessore al Bilancio, una figura capace di interpretare i tratti specifici di quella Milano del “popolo arancione” che non sembravano riconoscibili nella candidatura di Sala. Una mossa che tuttavia non trovava il sostegno di molti assessori della Giunta uscente, in larga maggioranza (ben sette!) favorevoli alla candidatura di Sala, accreditando così l’idea che la continuità amministrativa rispetto all’amministrazione Pisapia non potesse considerarsi un’irrinunciabile priorità per tutti.
Restava, peraltro, in campo la candidatura di Pierfrancesco Majorino, in campagna elettorale da prima dell’estate 2014, a partire da un’idea di Milano come città accogliente e solidale, attenta agli ultimi e rawlsianamente impegnata a migliorare le condizioni di vita di chi sta peggio. Majorino che fin dai primi passi come candidato ha sostenuto con coraggio, coerenza e determinazione la via delle primarie. Un merito che chiunque vinca il 7 febbraio dovrà certamente riconoscergli, dato che le primarie – per l’attenzione che stanno registrando e la partecipazione che è attesa – già si prefigurano come il miglior trampolino di lancio nella corsa verso Palazzo Marino.
Ora, da più parti Sala è ormai considerato il front-runner della competizione, cioè il candidato da battere che fin dai blocchi di partenza si trova nella condizione di favorito. E se Majorino esprime coerentemente il profilo di un candidato molto connotato sui temi sociali, la Balzani ancora oggi – a pochi giorni ormai dal voto – fatica a ritagliarsi uno spazio che non sia quello che gli deriva esclusivamente dall’endorsement di eccellenza del Sindaco uscente. Estremo difensore della Milano arancione, quando anche parte della società civile che si era riconosciuta in quell’esperienza se n’è andata con Sala (a partire da Piero Bassetti), corre il rischio di rappresentare soltanto una candidatura contro, tinteggiata di quella polemica tutta politicista sul renziano “Partito della nazione” che difficilmente le porterà qualche consenso nel pragmatico e disincantato elettorato milanese.
Saranno primarie senza vincitori predestinati o candidati di partito, senza scelte pre-confezionate e dall’esito per certi versi non scontato. Ma di certo queste primarie decretano fin d’ora che nella coalizione di centro-sinistra, nel momento stesso in cui si ricandida alla guida della città, sono presenti diverse immagini di città. Ciascuno dei candidati in lizza – compreso l’outsider Antonio Iannetta – è portatore di una visione di Milano alternativa e irriducibile a quella dall’altro. Ma se ciò è certamente un bene per le primarie, non lo è altrettanto dal punto di vista politico e di governo. Ed è in particolare all’interno del PD che si registrano le differenze politicamente più significative fra i supporter di ciascuno dei tre candidati democrats. Secondo linee di distinzione che non corrispondono affatto alle diverse correnti, o sensibilità politico-culturali, su cui si è finora strutturata la dialettica interna al Partito democratico milanese.
Accade così che i cosiddetti “renziani” si dividano fra Sala e la Balzani. Con mister Expo, che è anche il candidato preferito dal premier, sostenuto da parlamentari quali Lia Quartapelle e Roberto Cociancich (capo scout di Renzi), oltre che da AreaDem, cioè la corrente che fa capo all’europarlamentare Patrizia Toia e al senatore Franco Mirabelli, fra le cui fila militano anche i parlamentari Ezio Casati, Emilia De Biasi ed Emanuele Fiano (che si era ritirato dalla corsa proprio per lasciare il campo a Sala). E con il vice-Sindaco di Pisapia che ha tra i suoi supporter il deputato di matrice ulivista Franco Monaco, il senatore Massimo Mucchetti, il responsabile delle politiche culturali dei democrats milanesi Daniele Nahum e il competitor di Pisapia alle primarie 2010, l’archistar Stefano Boeri.
Divisioni significative si manifestano anche nella sinistra sindacal-cuperlian-bersaniana del partito, dove spezzoni importanti di minoranza interna si dividono fra Sala e Majorino. La sinistra riformista del Ministro dell’agricoltura Maurizio Martina e del parlamentare Matteo Mauri sostiene con convinzione la candidatura di Sala. L’anima cuperliana che fa capo all’ex ministro e parlamentare Barbara Pollastrini, insieme al consigliere regionare ed ex segretario della Camera del Lavoro di Milano Onorio Rosati e al deputato Francesco Laforgia si riconoscono nella proposta di Majorino.
Al di là del risultato finale delle urne, le primarie di domenica sanciranno la nascita di nuove dinamiche all’interno del Partito democratico milanese in vista delle elezioni amministrative di giugno. Ma un importante dato politico emerge chiaramente fin d’ora: l’esperienza amministrativa della Giunta Pisapia e il modello della Milano “arancione” sembrano definitivamente tramontati. Superata a sinistra dal solidarismo radicale della candidatura di Majorino e a destra dal dinamismo innovativo della candidatura di Sala. E la stessa cabina di regia della candidatura Balzani, dislocata più nei salotti della sinistra radical chic milanese che nei circoli dei partiti del centrosinistra (le sponsorizzazioni della sociologa Francesca Zajczyk e del marito, il giuslavorista Mario Fezzi, del giornalista Gad Lerner, di Nando dalla Chiesa e dell’economista Francesco Giavazzi, dell’architetto Rosellina Archinto e dell’editore Alessandro Dalai, del costituzionalista Valerio Onida e della giornalista Natalia Aspesi, giusto per fare qualche nome) ha preferito caratterizzare le ultime battute della campagna elettorale esaltando l’idea tutta politica e per niente civica della necessità di un centrosinistra allargato (posizione che si rintracciava anche nella lettera di Pisapia, Doria e Zedda ai giornali di qualche mese fa), invece di difendere l’autentico civismo milanese all’origine dell’esperienza di governo dell’amministrazione uscente. Il sostegno giunto alla Balzani in queste ore da parte del leader di SEL Nichi Vendola sta a indicare l’esasperata politicizzazione della corsa a Palazzo Marino, secondo una strategia rispetto alla quale lo stesso Pisapia cinque anni fa aveva preso debita distanza.
I supporter della Balzani si apprestano a chiudere la campagna elettorale delle primarie ribadendo con forza che a Milano non c’è spazio per il renziano “Partito della nazione”. Ma il vero problema è semmai che dietro al confronto sempre più acceso fra le diverse anime del PD e del centrosinistra milanese, a sostegno di questo o quel candidato, l’esperienza politica e di governo dell’amministrazione Pisapia non sembra aver lasciato una traccia indelebile, o comunque unanimemente condivisa.
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