Dove finisce Milano – Quando la città del Pd era la capitale del Berlusconismo

31 Maggio 2024

“Dove finisce Milano” è un podcast originale di Jacopo Tondelli, prodotto dal Centro Martini nell’Università Bicocca, che ogni settimana vi arriva grazie alla voce di Federico Gilardi. Nell’ultima puntata, in vista delle elezioni Europee del prossimo 9 giugno, abbiamo iniziato a guardare alla storia recente del voto dei milanesi. Siamo partiti dagli ultimi appuntamenti elettorali che hanno visto la città chiamata al voto, insieme al resto dei cittadini italiani, per le elezioni politiche del 2022, e nel contesto delle elezioni regionali del 2023. In queste elezioni si è vista confermata una tendenza ormai risalente nel tempo, e simile a quella di molte grandi città europee e americane: quella che le vuole stabilmente nelle mani dei partiti progressisti o liberal, spesso in aperta controtendenza rispetto a quel capita nello stato nel suo complesso o, quantomeno, nell’area circostante queste città. La distanza tra i gusti elettorali di Milano, da oltre dieci anni saldamente nelle mani del centrosinistra, e la Lombardia, da più di trent’anni roccaforte del centrodestra, è in effetti paradigmatica di questa tendenza globale. Questa, che ormai sembra una realtà consolidata, invero una situazione relativamente nuova. Non è sempre stato così, anzi, per quasi vent’anni, dalla nascita della cosiddetta seconda Repubblica, il quadro del consenso nella città di Milano è stato radicalmente diverso. Qui potete ascoltare o leggere la seconda tappa di questo inserto pre-elettorale.

 

Il 27 marzo 1994, alle prime elezioni politiche dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi, il centrodestra vince in tutte le circoscrizioni milanesi. Sconfigge con ampio margine sia la coalizione di sinistra, raccolta sotto il cartello elettorale dei “progressisti”, sia – ancora più ampiamente – i centristi di Mario Segni e Mino Martinazzoli, in sostanza quel che resta della Democrazia Cristiana dopo Tangentopoli. Siamo all’archeologia politica, ormai, ma va ricordato che – in quell’occasione – il centrodestra, nel Nord Italia, è composto solo da Forza Italia e dalla Lega di Bossi. La Destra Nazionale, erede non ancora del tutto pentita del Movimento Sociale italiano, corre da sola, e veleggia attorno al 10%. Questo per dire che se le destre fossero state unita, il suo margine di vantaggio sarebbe stato ancora più ampio. A rendere quel successo ancora più impressionante, fu la rapidità del formarsi delle condizioni che generarono il nuovo quadro politico: Forza Italia viene fondata pochi mesi prima, lanciata ufficialmente da Silvio Berlusconi nell’autunno inoltrato del 1993. Eppure, anche se il lancio del partito sembra frettoloso, proprio quel partito – “più un movimento che un partito”, come diceva il Fondatore all’inizio… – è destinato a esercitare un ruolo egenomico sulla politica italiana per molti molti anni. E su quella milanese in particolare.
Alle elezioni regionali lombarde del 1995, le prime della lunga era di Roberto Formigoni, a Milano il centrodestra (senza la Lega) supera il 48% dei consensi validamente espressi, sopravanzando di oltre 20 punti percentuali il centrosinistra. Fuori dai due poli ci sono la Lega col suo candidato, Francesco Speroni, e Rifondazione Comunista con Pippo Torri, che a Milano raccolgono rispettivamente poco più e poco meno del 9%.

Alle elezioni politiche del 1996 – vinte a livello nazionale dal centrosinistra anche grazie ai litigi non ancora sanati tra la Lega di Bossi e Berlusconi – la città continua a preferire i partiti di centrodestra e la coalizione. In tutti i collegi cittadini, nonostante la defezione della Lega che sostiene i suoi candidati, vengono infatti eletti esponenti del centrodestra. Si segnala, alle porte della città, la tenuta delle storiche roccaforti della sinistra, in particolare a Sesto San Giovanni, soprannominata la Stalingrado d’Italia proprio per la sua tendenza politica risalente e radicata, e sede di uno dei più importanti insediamenti operai del nostro paese, la Falck, che proprio quell’anno chiuderà il sito produttivo del nord-milanese. Anche questa è una storia che, pochi decenni dopo, sembra appartenere a un’altra epoca: e non solo perché la grande industria non ha più trovato posto nella vita e nell’economia di quell’area. Continuando il viaggio nelle elezioni di vario livello e grado nell’area milanese vediamo, con costanza, riaffermarsi lo stesso schema inaugurato nel 1994. Va così alle comunali, pur combattute, del 1997, con Gabriele Albertini che ha bisogno del secondo turno per sconfiggere il candidato di centrosinistra Fumagalli. Va così alle assai meno combattute regionali del 2000, nelle quali Formigoni prende il doppio dei voti rispetto al candidato di centrosinistra Mino Martinazzoli. Continua ad andare così per tutto il primo decennio del nuovo millennio: in una regione, la Lombardia, che è la roccaforte simbolica e antropologica del centrodestra costruito sulla rinnovata intesa tra Forza Italia e Lega, Milano risulta la capitale coerente. Nella quale, pur adattati a una metropoli che inizia ad allontanarsi sempre di più per stili e modi di vivere dal suo contado, il centrodestra vince con buon margine in ogni occasione. Le elezioni politiche del 2008 segnano insieme il culmine di questa traiettoria, e il canto del Cigno di questa egemonia, destinata a incrinarsi definitivamente di lì a poco. Infatti, a quelle elezioni anticipate, che arrivano a seguito della caduta del fragile governo Prodi uscito dalle elezioni del 2006, il centrodestra si presenta schierando per la prima e sostanzialmente unica volta il “partito unico”, il Popolo della Libertà, che sarebbe dovuto nascere dalla fusione tra Forza Italia e Alleanza Nazionale. In tutta Italia la nuova formazione è alleata strutturalmente con la Lega di Umberto Bossi. La vittoria è nettissima, a livello nazionale la coalizione tocca il 46% contro il 38% del centrosinistra, costruito attorno al neonato Partito Democratico che raccoglie circa un terzo dei lettori. A Milano per il centrodestra è addirittura un trionfo, visto che sfiora il 50% dei voti validamente espressi. Cifre analoghe a quelle che i partiti di centrodestra raccolgono in città circa un anno dopo, in occasione del voto per le europee del 2009.

Sembrava, allora, un cammino solido e senza incertezze. Nessuno immaginava che di lì a un paio d’anni, con le elezioni comunali del 2011, si sarebbe sancito un radicale cambio di rotta, destinato a rimanere nel tempo. Nella primavera di quell’anno, infatti, contro ogni aspettativa, Giuliano Pisapia vince con buon margine contro la sindaca uscente di centrodestra Letizia Moratti. È l’inizio della stagione del centrosinistra, che a Milano tutt’ora dura. È un capitolo della nostra che riguarda sicuramente la politica, ma anche e soprattutto la società milanese ed italiana. Ne parleremo la prossima settimana, alla vigilia del voto europeo.

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