Milano
Dove finisce Milano – La città del lavoro. La città di chi lavora?
“Dove finisce Milano” è un podcast originale di Jacopo Tondelli, prodotto dal Centro Martini nell’Università Bicocca, che ogni settimana vi arriva grazie alla voce di Federico Gilardi. Nella scorsa puntata, intitolata “L’economia di successo di un mondo a parte”, abbiamo analizzato il cammino dell’economia milanese in relazione a quella nazionale ed europea, e abbiamo visto come Milano è diventata sempre di più “extraterritoriale” rispetto alle dinamiche e alle tendenze nazionali, attraendo risorse, investimenti, persone e rendita accumulata mentre il resto dell’Italia, via via, si impoverisce e si svuota. L’attrazione di capitale sociale e materiale è insieme causa e conseguenza di opportunità professionali e lavorative sempre più concentrate sulla città: un insieme di dinamiche che rendono Milano al contempo attrattiva ed escludente, luogo di opportunità e aspirazioni, ma anche di frustrazioni ed espulsioni. Come sempre, cercheremo di guardare allo spicchio di città che ci interessa attraverso i dati, ma anche attraverso le voci delle persone che lo popolano.
Secondo i dati elaborati dalla Cgil nel report Milano al Lavoro, riferito alla Città Metropolitana e curato da Antonio Verona, il tasso di occupazione – calcolato sul totale della popolazione di riferimento in età di lavoro dai 15 ai 64 anni, nel 2022 era pari al 70,8% mentre il tasso di disoccupazione raggiungeva il 4,5%. Nello stesso periodo, la percentuale di occupati sul territorio nazionale era di dieci punti più bassa, cioè attorno al 60%, mentre la disoccupazione raggiungeva l’8,1%. Se prendiamo a termine di paragone invece la sola regione di cui Milano è capoluogo, il tasso di occupazione lombardo risulta lievemente inferiore, come anche il tasso di disoccupazione, che misura non chi non lavora in generale, ma chi cerca attivamente lavoro sul totale della popolazione occupabile. Anche gli indicatori che riguardano l’occupazione delle donne, in città, sono migliori delle medie nazionali e regionali di riferimento. L’occupazione femminile infatti raggiunge il 65,3%, mentre in Lombardia si attesta al 61,3% e a livello nazionale, pur in costante crescita, raggiunge il 53%, abbondantemente al di sotto della soglia del 60%. Complessivamente, le persone occupate nell’intera Città Metropolitana risultano oltre un milione e mezzo, mentre tra i residenti nella sola Città i lavoratori sono 636 mila circa. Poco più della metà di quanti invece, ogni giorno, entrano in città, come dipendenti, artigiani in proprio, o di quanti vi risiedono temporaneamente. Ho provato a sintetizzare alcuni racconti che ho raccolto di recente.
La storia di Marco. “Sono avvocato, iscritto all’ordine da oltre due anni. Sono specializzato in diritto commerciale, seguo soprattutto operazioni di fusioni e acquisizioni per grosse società clienti del mio studio. Stipendio? 25 mila euro lordi l’anno. Al netto di tasse e contributi mi restano 1500 euro al mese. Vivo con la mia compagna, in un trilocale dell’hinterland est, a dieci minuti a piedi dalla metropolitana, linea verde. Me l’hanno comprato i miei, con un po’ di risparmi e soldi ereditati. In affitto a Milano una casa del genere, pensata anche per quando avremo figli, non potremmo permettercela”.
La storia di Katerina. “Faccio la modella, giro come una trottola per diverse città europee nelle quali mi spedisce le mia agenzia. Milano ovviamente è uno dei posti in cui passo più tempo. Quando sto qui vivo in una stanza tripla procurata dall’agenzia con altre due ragazze, il costo del posto letto è di circa 700 euro al mese. Ovviamente, stando in maniera molto intermittente, e avendo spesso scarsissimo preavviso sui lavori che faremo e su quanto resteremo non ho la possibilità di cercare in autonomia l’alloggio, nè di prendere casa per periodi più lunghi. Funziona così in tutte le piazze nelle quali lavoriamo, ma sicuramente Milano è tra le città più costose, almeno per quanto riguarda la casa”.
La storia di Stefano. “Faccio l’elettricista, vivo in provincia di Bergamo con mia moglie e due figli. A Milano, in città, faccio più del 90% dei miei interventi. Per imprese edili, presso aziende medio grandi, e da privati che rifanno gli impianti. Ogni mattina parto all’alba per evitare il troppo traffico e attacco a lavorare alle 7. Milano ormai è una giungla di divieti, eccezioni, proibizioni, zone a 30 all’ora. Quando è entrata in vigore Area B non lo sapevo, non è stata fatta una campagna di informazione adeguata, e ho preso 1200 euro di multe in due settimane. Spesso sono richiesti interventi di emergenza e la possibilità di richiedere deroghe è limitata e insufficiente. Qualcuno ci dice pure che anche noi dovremmo prendere i mezzi: come se fosse possibile spostarsi sui mezzi pubblici con tutta l’attrezzatura che serve”.
Sono storie, alcune delle storie possibili, di chi vive Milano e ci lavora, di chi in diverso modo la tieni in piedi e la fa andare avanti, senza però volerci o – più spesso – poterci abitare. Come capita a tutte le metropoli “di successo” il muro di separazione tra dentro e fuori è sempre più alto, la cinta che divide la residenza da chi ne è escluso sempre più netta. Tra le varie ragioni di questo allargamento c’è, anche, l’indifferenza alla fatica degli altri dei privilegiati che dentro, appunto, ci stanno e ci risiedono. Dopotutto, a votare sono loro, e l’illusione che l’esclusività sia veramente un vantaggio, e possa essere duratura, è forte e condivisa. Nelle prossime puntate continueremo a guardare nel dettaglio la vita di chi lavora a Milano, dei diversi settori produttivi, e della grande sproporzione redditi e costi. Che è poi l’elemento che, appunto, allarga il fossato tra dentro e fuori.
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