L’Israele di Netanyahu, da stato per gli ebrei a stato degli ebrei
La proposta di legge avanzata dal Governo Netanyahu che sancisce il carattere ebraico dello Stato d’Israele ha acceso un intenso dibattito ripreso e amplificato dai media in tutto il mondo.
Già nella Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato, David Ben Gurion aveva affermato questo principio ma la dichiarazione non fu mai convertita in legge costituzionale (Israele, di fatto, non ha una vera e propria costituzione).
Approvata in Consiglio dei Ministri, la nuova legge deve ora passare il vaglio della Knesset.
Secondo il testo proposto, solamente il popolo ebraico ha diritto all’autodeterminazione nello Stato d’Israele. Israele però è definito anche come uno stato democratico fondato sui principi di libertà, giustizia e pace “secondo la visione dei profeti”, dove i diritti di ogni cittadino sono garantiti di fronte alla legge. In un altro punto, il testo dichiara che la legge ebraica servirà da ispirazione per la Knesset. I diritti nazionali degli Ebrei, come la bandiera, l’inno e il diritto all’immigrazione, sono qui riaffermati, così come l’obiettivo di rafforzare il legame tra lo stato e la diaspora ebraica.
Per gli oppositori di questa iniziativa, la legge nuocerebbe al carattere democratico dello Stato Ebraico e renderebbe, di fatto, i cittadini non-ebrei second class citizens, in quanto privilegerebbe una coincidenza tra identità ebraica e cittadinanza israeliana.
In protesta, diversi cittadini Arabo-Israeliani hanno aggiunto sulla foto del loro profilo Facebook una scritta che li definisce cittadini di serie B. Anche il Presidente d’Israele Reuven Rivlin, proveniente dallo stesso partito di Netanyahu, il Likud, si è opposto all’iniziativa del governo di Gerusalemme.
Praticamente, il dibattito ruota intorno a due concetti: Ebraico e democratico. Può lo Stato d’Israele essere uno stato democratico che garantisce pari diritti a tutti i suoi cittadini e, nello stesso tempo, essere Ebraico? Che cosa vuol dire Stato Ebraico? E c’è bisogno di una legge che lo definisca tale?
Tralasciando, per semplificare, il legame storico del popolo ebraico con la Terra d’Israele e la complessa vicenda sionista, come si esprime il carattere ebraico di Israele? Prima di tutto nel fatto che la maggioranza della popolazione è composta di Ebrei. A ciò si aggiunge una lista di elementi importanti: le feste nazionali dello Stato sono quelle ebraiche; il Sabato, lo Shabbat, è il giorno di riposo settimanale; negli edifici pubblici si osserva la kasherut; il Rabbinato ha giurisdizione su molti aspetti della vita privata dei cittadini ebrei (matrimonio, divorzio, sepoltura…); sulla bandiera c’è la Stella di Davide; la lingua più diffusa è l’Ebraico mentre l’inno nazionale, HaTiqvah, descrive poeticamente la realizzazione della speranza millenaria degli Ebrei di tornare a Sion.
Un altro elemento fondamentale è la Legge del Ritorno secondo la quale chi è Ebreo può venire in Israele e diventare subito un cittadino dello stato: nel secondo dopoguerra furono milioni gli Ebrei originari di paesi musulmani che, in fuga dall’antisemitismo, trovarono rifugio in Israele, così come tantissimi sono stati gli Ebrei Sovietici che hanno ricostruito la loro vita sulla sponda del Mediterraneo.
Molti commentatori politici credono che questa legge metta in secondo piano il carattere democratico dello stato per favorire la sua natura ebraica.
La minoranza araba del paese, soprattutto in questi giorni di forte tensione, vede la legge come un tentativo di negare il proprio legame con una terra che percepisce (anche) sua. Inoltre la legge è considerata come una minaccia e un ostacolo alla piena integrazione nella società israeliana della minoranza non ebraica.
Invano Netanyahu ha cercato di rassicurare i suoi critici. E anche all’estero, sono in molti a manifestare perplessità per l’iniziativa.
Il discorso sull’identità e sul delicato rapporto tra maggioranza e minoranza riguarda oggi tutte le democrazie del mondo. Basta pensare, per esempio, a quello che succede in questi giorni a Ferguson negli Stati Uniti o ai dibattiti intorno all’immigrazione e alle politiche di accoglienza in Europa.
L’ex Rabbino Capo del Regno Unito, Lord Jonathan Sacks, individua uno dei caratteri specifici dell’Ebraismo nel chiedere agli Ebrei ad andare contro corrente. Per Sacks, essere Ebrei vuol dire avere il coraggio di vivere in maniera diversa dagli altri. Quando il collettivismo era in auge, gli Ebrei hanno privilegiato l’importanza dell’individuo; quando l’individualismo era un valore, gli Ebrei hanno creato forti comunità. Quando gli altri costruivano monumenti e anfiteatri, gli Ebrei fondavano scuole.
Nel periodo degli Stati-Nazione, mono-etnici, gli Ebrei erano l’unico popolo globale, che viveva nel mondo la sua dimensione cosmopolita. Ora che gli Stati-Nazione sono in crisi sia come progetto identitario sia come agenti in grado di avere un impatto sulla scena mondiale, ecco che lo Stato d’Israele aggrappato alla sua identità ebraica sembra un relitto del passato, un progetto destinato a soccombere, inattuale, fuori tempo massimo.
Ma Israele è un laboratorio dove alcune delle fondamentali questioni del nostro tempo sono elaborate: l’identità, la nazione, la cittadinanza, la comunità sono tutti concetti che attendono una ridefinizione alla luce dei cambiamenti storici che le nostre società stanno affrontando. In Israele queste delicate questioni devono essere risolte con una certa urgenza: la legge del governo Netanyahu non sarà il modo migliore di affrontarle ma ha il pregio di portarle alla luce.
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