AIDS, SARS, EBOLA: WHAT’S NEXT?
Le epidemie, specie quelle ad alta mortalita’, rivelano tutta la fragilita’ degli esseri umani, ingegnosi si’ da portare una sonda su una cometa, eppure a rischio di soccombere in pochi giorni all’attacco di minuscoli virus o batteri. Non e’ un caso che le epidemie abbiano affascinato molti scrittori. Dalla peste degli untori del Manzoni, al colera romantico di Garcia Marquez, fino all’ epidemia di cecita’ bianca di Saramago, alcune delle migliori pagine della letteratura hanno raccontato quella zona chiaroscura dove la diffusa paura della morte, improvvisa e violenta, incontra la dignita’ e la forza di rari individui come Fra’ Cristoforo, Florentino Ariza e Fermina Daza o la moglie del medico in “Cecita’”.
Uomo e epidemie sono un binomio che esiste da sempre e che e’ destinato a durare. Gli imperi greci e romani furono colpiti da vaiolo e tifo. Il Medioevo fu segnato dalla peste. Il morbillo, esportato dagli Europei durante la colonizzazione delle Americhe, decimo’ le comunita’ autoctone. Nel secolo passato la pandemia di influenza del 1918-1920, la cosiddetta “Spagnola”, uccise 75 milioni di persone. Sempre nel ‘900, solo qualche decennio fa, comincio’ la pandemia del virus dell’ AIDS che fino ad oggi ha ucciso piu’ di 30 milioni di persone. Nei primi 15 anni di questo nuovo millennio tre sono state le epidemie di rilievo: la SARS, o influenza aviaria, nel 2002-2003; l’influenza suina del 2009; e la piu’ grande epidemia di ebola nel 2014.
Le epidemie di questo secolo offrono importanti spunti di riflessione per il futuro che ci attende. Tutte queste epidemie sono dovute a virus in grado di compiere dei salti di specie, cioe’ di passare da un animale all’ uomo. Una volta che il virus, mutando, riesce a trasmettersi da uomo a uomo, il destino di un’epidemia dipende da due fattori: l’infettivita’ (ovvero la capacita’ di trasmettersi) e la virulenza (la capacita’ di uccidere). Il virus della SARS del 2002, a trasmissione respiratoria, era altamente infettivo, ma la sua virulenza era limitata: misure di isolamento funzionarono e la mortalita’ generale fu bassa. L’ebola funziona al contrario: ha una virulenza molto alta ma si trasmette con relativa difficolta’ (attraverso contatto con liquidi di pazienti infetti). I morti attuali da ebola (circa 5,000), rimangono pochi se comparati ai numeri delle grandi epidemie del passato. E questo solo grazie alla bassa infettivita’ del virus dell’ebola.
Il grande pericolo per il futuro e’ un organismo “piu’ efficiente” che abbia grande infettivita’ (come la SARS) e grande virulenza (come l’ebola): la combinazione potrebbe essere letale su grande scala. Molti scienziati ritengono che la probabilita’ che una pandemia ad alta mortalita’ possa accadere nel corso di questo secolo sia piuttosto alta. Da questo punto di vista la SARS e l’ebola sono viste come dei banchi di prova, degli “stress test” per la sanita’ pubblica e i governi mondiali in vista di un’ epidemia più grave che potrebbe un giorno arrivare. Da questi “stress test” abbiamo imparato che (i) la globalizzazione consente anche ai virus di viaggiare su aerei e infettare velocemente angoli molto lontani del mondo: nessun luogo e’ sicuro; (ii) se un sistema sanitario e’ fragile, come in Sierra Leone o in Liberia, scoprire e arginare un’ epidemia e’ molto difficile; (iii) anche i Governi piu’ economicamente e tecnologicamente avanzati possono risultare impreparati ad affrontare un’ emergenza sanitaria; (iv) il panico, sia nelle popolazioni colpite che in quelle a rischio, e’ una minaccia altrettanto pericolosa per le persone malate e per il personale sanitario, spesso vittime di violenza e discriminazione; (v) un’epidemia puo’ mettere in ginocchio l’economia di un intero paese nel giro di poche settimane.
La prevenzione delle prossime pandemie passa attraverso alcune misure, in parte di sanita’ pubblica, in parte politiche, in parte di educazione civica. Innanzitutto e’ necessario investire nei sistemi sanitari dei paesi più poveri, particolarmente in Africa e in Asia, perche’ diagnosi e contenimento possano essere piu’ rapidi e efficaci. In secondo luogo bisogna rafforzare i meccanismi di sorveglianza epidemiologica nei singoli paesi ma anche a livello globale. Al riguardo e’ prioritario rivedere e possibilmente rafforzare il mandato dell’OMS, agenzia leader per la salute mondiale, che si è trovata impreparata e con fondi limitati per riconoscere e gestire la grave emergenza ebola degli ultimi mesi. Terzo, e’ bene che tutti i governi preparino o migliorino i piani di allerta con grande attenzione alla componente di comunicazione per minimizzare stigma e panico in caso di emergenza. Da ultimo è fondamentale continuare a costruire una cultura di solidarietà che porti i singoli a vivere le sfide globali che ci attendono non piu’ come realta’ altre e lontane. Saramago scriveva che “e’ una vecchia abitudine dell’ umanità, passare accanto ai morti e non vederli”, ma di fondo sapeva che proprio nella scoperta della vulnerabilità altrui, l’uomo ha la possibilità di comprendere la propria fragilità e di trovare con essa la sua più profonda umanità.
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