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E adesso l’avete capito che due click in più possono distruggere una vita?

14 Settembre 2016

Diciassette anni, la “colpa” di qualche drink di troppo in un locale di Rimini, e l’ennesima storia di violenza e umiliazione pubblica.

“Ubriaca fradicia viene violentata da un ragazzo, mentre le amiche riprendono la scena che finisce su WhatsApp […] Un video in cui per fortuna non si vede la vittima in volto, ma che testimonia come la 17enne fosse completamente inerme, una bambola di pezza in balia del ragazzo. Come sottofondo, le risate di chi sta filmando, come se si trattasse di uno scherzo di poco conto”, scrive stamattina Il Resto del Carlino.

E la notizia arriva il giorno dopo il tragico suicidio della trentunenne napoletana Tiziana Cantone. La ragazza aveva girato dei video privati durante rapporti sessuali con un uomo (probabilmente l’amante), trovandosi successivamente, suo malgrado, sugli smartphone e i computer di tutti. Il suo partner aveva pubblicato in rete e fatto circolare su WhatsApp uno dei video girati con Tiziana, durante un rapporto orale, senza il suo consenso, esponendola così alla gogna pubblica. Perché si sà, l’amante, ma ancor prima il sesso, sono diritti prevalentemente maschili. Parodie, prese in giro, insulti, alcuni giornali scrivevano persino di gadget e t shirt dedicate al “nuovo idolo del web” (arrivano oggi le scuse de Il Fatto Quotidiano); erano state queste le conseguenze della vicenda, tanto che la donna aveva scelto una nuova vita fuori da Napoli, desiderando il diritto all’oblio.

La vicenda della ragazzina vittima di violenza e quella di Tiziana Cantone sono indiscutibilmente diverse. La prima ci racconta di un vero e proprio abuso, la seconda di una feroce violenza ma che non riguarda il rapporto sessuale in sé. Un filo unisce le due storie: l’uso improprio dei mezzi di comunicazione dei giorni nostri. Smartphone e social network divengono mezzi per delinquere, luoghi in cui bullizzare, umiliare, sfottere persino chi è stato abusato, riprendendolo nelle mani del suo aguzzino. Senza poi considerare il fatto che queste storie ci restituiscono il demoralizzante persistere di una cultura che relega la donna, la femmina, ad un corpo da usare e poi buttare via. Qualcosa o qualcuno da cui trarre piacere ma che non ha diritto di provarlo, e che quando si permette di goderselo non merita rispetto e va bene che sia umiliato.

Le “amiche” della diciassettenne abusata hanno filmato la violenza ridendone divertite, Tiziana è finita su tutti i giornali, ne hanno scritto chiamandola per nome e cognome senza preoccuparsi delle conseguenze, è stata insultata, derisa e c’è chi ancora continua a riservarle parole d’odio dopo il tragico suicidio.

“Muori puttana chi la fa l’aspetti. Hai girato il video per lo scopo di fare stare male il tuo fidanzato. Ecco, Dio c’è”, e ancora “Povera Tiziana, non poteva più andare a fare colazione, pure i camerieri si confondevano: un pomp… ehm un latte macchiato alla signorina”, e via leggendo.

Scrive Giuseppe Granieri sul suo profilo Facebook: «Quando si parla di persone, sui social o sui media tradizionali, la regola dovrebbe essere quella di non dimenticare mai che sono persone. Che hanno diritti e sensibilità. E che non sono clickbaiting o semplice oggetto di opinioni da bar che oggi possiamo facilmente rendere pubbliche. Qui – secondo me – entra in gioco l’educazione all’uso dei media. Su cui bisognerebbe lavorare come priorità politica».

Forse bisognerebbe ricominciare da qui, educando chi con l’informazione ci gioca e o lavora tutti i giorni ad un uso più responsabile dei media, ripartendo dal famoso buon esempio, e come scrive Granieri, lavorarci più generalmente come priorità politica. Di giornalisti oggi ce ne sono pochi, e allora forse noi “scribacchini” (che siamo tanti) dovremmo interrogarci molto di più sulla responsabilità che abbiamo nello scrivere delle vite degli altri. Magari sarebbe poco, di sicuro non abbastanza, ma forse potrebbe essere un passo per contenere i danni, un modo per provare ad arginare quell’odio che si riversa troppo spesso sulle nostre bacheche Facebook.

Sul resto, su quanto sia comunque difficile essere donna (libera) oggi, interrogarsi non basta più, ma trovare le parole, mi riesce davvero troppo difficile. La responsabilità che abbiamo nel costruire un mondo davvero paritario da lasciare a figli e nipoti è enorme, ma forse ci mancano ancora gli strumenti, o non facciamo abbastanza per trovarli.

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