Vanessa e Greta: la ferocia dei social e la gioia di riaverle a casa
Greta e Vanessa sono tornate a casa. Un minuto dopo il tweet di conferma di Palazzo Chigi sui social – as usual – si è […]
Quando si fanno appelli per un’informazione corretta c’è sempre il rischio di cadere nel retorico e di fare moralismo da quattro soldi. Il giornalismo urlato esiste da sempre: lo stesso Pulitzer – sì, quello del premio – dirigeva un giornale scandalistico basato sul sensazionalismo. E molti dei grandi reporter osannati nei corsi di scienze della comunicazione sono stati accusati di scrivere notizie non vere (persino l’idolatrato Kapuściński, guru di tutti gli inviati di guerra). E allora a che cosa serve, nel 2015, una campagna ideata da giornalisti contro gli articoli di colleghi che veicolano notizie non vere?
Serve quando il giornalismo urlato va a ledere la reputazione delle persone. Ed è il caso di tre articoli di Angela Camuso pubblicati dal Fatto Quotidiano la scorsa settimana. Il contesto è quello delle intercettazioni trascritte in un’informativa dei Ros a proposito del rapimento di Vanessa e Greta.
La giornalista, abilmente, mischia ipotesi e trascrizioni, creando un quadro sinistro di chi si impegna per supportare i migranti siriani sbarcati sulle coste italiane a partire da telefonate di Greta Ramelli a Mohammed Yaser Tayeb, un pizzaiolo di Anzola dell’Emilia, in cui, praticamente, non si racconta alcuna notizia rilevante. La non notizia è stressata all’inverosimile, tanto che vengono pubblicati ben tre articoli. Articoli utili solo a fare uscire nomi di persone sulle quali non verte alcuna indagine, in barba a ogni discorso sulla privacy.
Però l’idea di indagare l’oscuro, di stanare un complotto, di raccontare il prologo di una grande storia di terrore, elettrizza l’autrice dei pezzi e il Fatto Quotidiano, che sbatte in prima pagina i mostri. Una volta erano il Berlusconi condannato, lo Scajola proprietario a sua insaputa. Ora sono persone che si impegnano a non lasciar morire altre persone, che negli ultimi quattro anni hanno dedicato tutto il loro tempo affinché i richiedenti asilo in balia della burocrazia europea (mai sentito parlare del regolamento di Dublino?) potessero ricominciare a vivere. Nomi conosciuti alle istituzioni, certo. Ma per un semplice motivo: queste persone sono un punto di riferimento. Hanno partecipato a conferenze, sono state intervistate in documentari Rai e dai corrispondenti di mezza Europa.
Capiamoci bene, qui non si tratta di prendere una posizione a favore delle due ragazze. Qui non si tratta di essere a favore o meno del pagare il riscatto per i connazionali rapiti in aree di crisi. Non si vuole fare un’analisi della situazione della cooperazione in Siria e su come per raggiungere con gli aiuti determinate aree si debba per forza passare per l’Esercito siriano libero. Non c’è nemmeno l’intenzione di aprire il dibattito sull’apertura di un corridoio umanitario per i profughi siriani, seppur chi scrive non ha mai nascosto le proprie idee sull’argomento.
Si tratta di rimarcare i fondamenti della nostra professione. La signora Camuso ha annunciato tutta pomposa lo scoop nel salotto di Vespa e i suoi articoli sono stati ripresi praticamente ovunque. Persone sono state diffamate, sbeffeggiate, accostate al terrorismo internazionale, rimescolate nel calderone dei social network e fuse con l’attentato parigino, gli sgozzamenti dell’Isis e i combattenti di seconda generazione.
Per tutti questi motivi tre magazine online, Frontiere News, Q Code (il cui condirettore è un cervello de Gli Stati Generali) e Osservatorio Iraq, hanno deciso di dire basta (khalas, in arabo) a questa informazione spazzatura in cui non si riconoscono. Da una condivisione di intenti con una ventina di giornalisti e accademici è nata una lettera aperta firmata, ad oggi, da oltre 400 persone tra cui l’inviato del Tg1 Amedeo Ricucci, la giornalista Giuliana Sgrena e il vignettista Mauro Biani. L’invito a firmare è rivolto a tutti, informatori e informati, affinché ci sia una presa di posizione netta contro la disinformazione su cooperazione internazionale, islam e migrazioni (a tal proposito, va detto, gli articoli della Camuso sono solo la punta dell’iceberg). Alla lettera, ovviamente, verranno affiancate tutte le azioni legali necessarie affinché venga punito chi ha diffamato la reputazione delle persone coinvolte.
Qualcuno dentro al Fatto quotidiano, a proposito degli articoli della Camuso, mi ha detto che è stato come “dare una pistola ad un bambino”. Ed effettivamente non poteva esserci immagine più evocativa. Perché i professionisti dell’informazione si stanno dimostrando un po’ bambini. In quest’ottica sembra bambino Franco Bechis, che fa un’inchiesta sulla trattoria del papà di Vanessa. E sembra un bambino il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino, che sulla sua pagina Facebook si lascia andare a un indifendibile sproloquio complottista incurante del fatto che la sua posizione richieda sobrietà.
Poi non ci scandalizziamo se Gasparri twitta bufale infamanti e se gli utenti dei social postano offese gratuite alle due ragazze. Se sono proprio i professionisti del medium a deturpare la realtà, perché dovremmo prendercela con i produttori fai-da-te? Eppure quella della reputazione è una cosa seria. Dovrebbe saperlo bene proprio Angela Camuso, che nel 2007 fece censurare Sallusti perché aveva pubblicato una sua foto osé risalente al periodo in cui lavorava in televisione.
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