Tutti a Bastia Umbra. Sulla strada della Rai, fra la via Emilia e il West
“Ma tu su che libro ti sei preparato? Io su Giornalista Italiano, almeno un po’ di domande dovrei riuscire a coprirle”.
“Io mi sono preparato sul Gambero Rozzo, per scegliere una bella trattoria dove andare a mangiare dopo la fine della prova”.
Proprio così. La prova che hanno sostenuto a Bastia Umbra circa 2800 giornalisti professionisti (un numero storicamente molto alto per un concorso pubblico dedicato ai giornalisti), per ambire a uno dei 100 posti messi in palio dalla Rai (nulla di indeterminato, s’intende, ma un discreto rapporto di subordinazione più o meno costante e più o meno a termine) somigliava molto più a un mega raduno di colleghi che non si vedevano da un po’ di tempo e si raccontano cosa stanno facendo. Molto diverso da ciò che dovrebbe essere un consesso serio, teso e silenzioso come si dovrebbe confare a un “concorso” che non sia il grattare una cartolina al bar sperando di vincere una pensioncina a vita.
Pensandoci bene, però, il desiderio dei professionisti convenuti nella ridente località alla pendici di Assisi e quello di un uomo di mezza età ingobbito su un cartoncino da grattare con 10 centesimi, è più meno lo stesso.
Si, perché mettere un piede in Rai è sempre una cosa buona… “una volta che sei dentro è difficile che ti mandino via”, recitava l’adagio ascoltato nel bar della zona Fiera di Bastia un’oretta prima dell’inizio della prova.
Volti stanchi, magliette sudate, tanti occhiali da sole, soprattutto a coprire le occhiaie di una notte insonne – o con poche ore di sonno all’attivo – non tanto per la tensione o per il ripasso dell’ultim’ora, bensì per le zingarate/scorribande/schiamazzi conviviali spesi nelle piazze di Bastia, Santa Maria degli Angeli, Perugia la sera prima. Ebbene si, perché la sera prima dell’agognata prova, in giro per le vie dei centri che hanno ospitato l’orda di “parolai” del giornalismo nostrano, era un pullulare di gruppi (organizzati e spontanei), nati per l’occasione e inebriati da tavolate piene di vino, risate, chiacchiere e molto flebili (se non assenti), scongiuri per il giorno dopo. Peccato che “il giorno dopo” erano le dieci di mattina dello stesso giorno in cui buona parte dei candidati era andata a dormire alle 3.
Insomma, esclusa quella percentuale fisiologica di persone che un po’ hanno studiato o che per loro cultura personale erano sufficientemente pronti, al “concorsone” Rai c’erano tutti, ma proprio tutti, i giornalisti (solo quelli col tesserino da professionisti in mano, tanto per dare un senso a quell’altro “esame” già fatto e non per oggettivi meriti o preparazione) rimasti senza lavoro (o con lavori diversi dal giornalismo tout court) nei tremendi mesi della crisi che ancora adesso investe il settore dell’informazione giornalistica.
Entrati tutti nei padiglioni della Fiera, ci si continua a salutare, senza troppa apparente tensione, ma permeati dalla sensazione che quei posti in palio (o meglio, come dicevano tutti, “quelli rimasti dopo quelli che devono entrare per forza…”) potrebbero nascondere il tuo prossimo futuro da giornalista Rai. Ci si è seduti tutti su dei tristi banchetti singoli con un piano di mdf (finto legno) corredato di una busta bianca per sigillare il telefono, una busta marrone che si capirà in seguito a cosa serve e un foglio con “le regole della casa”. Organizzazione perfetta, non c’è che dire, le hostess tutte belle, giovani abbastanza da non capire l’amarezza lavorativa alla base della scelta dei candidati di essere lì.
Dopo le raccomandazioni di rito, elargite direttamente dal dominus della società che ha organizzato il concorso, e dopo l’ “in bocca al lupo” del direttore del personale Rai e del presidente della Commissione (Ferruccio de Bortoli seduto a un silenzioso tavolo presidenziale), inizia la prova.
Cento domande a risposta multipla: giusta 1 punto, sbagliata -0,33 punti, non data 0 punti. Si spaziava da domande sull’architettura costituzionale dello Stato a quelle di cultura generale, passando per quelle tecniche su cose come il “time code” o il lessico riguardante la televisione e i nuovi media, nomi di politici titolati nella Ue, “vecchie glorie” della fu Unione Sovietica, Contratto giornalistico, Equo (?) compenso, frasi in inglese da riempire scegliendo tra varie opzioni, storia del giornalismo, etc etc… Ah, dimenticavo, c’era anche un testo tratto da “Il Secolo breve” da cui estrapolare la risposta a quattro domande sulla comprensione della filosofia di Hobsbawm e un grafico a torta da cui il selezionatore aveva creato un paio di domande di logica (condita con una prova di velocità nella risoluzione di quesiti quasi matematici).
Delle 4 una: o la sai, o ci ragioni, o ci provi o lasci in bianco.
Un’ora e un quarto per 100 domande. Tempo più che sufficiente. Dopo la consegna inizia l’uscita sul piazzale asfaltato e rovente della Fiera. Saluti, qualche ricerca sul web per avere la conferma di aver sbagliato una risposta, acqua in quantità, incontri graditi e meno graditi e la consapevolezza che, se ci fosse stato ancora il dubbio, quella di Bastia Umbra è stata una veloce, simpatica e gradevole scampagnata fra amici/colleghi.
Poi, però, un po’ ci pensi alle risposte che sei sicuro di aver azzeccato. E mentre ti imbatti in un piccolo manifesto (quelli da cui si staccano i numeri di telefono – tutti già staccati – messi in fila e già tagliati su tre lati) nel quale “Driin Radio” scrive “Bocciato al concorsone Rai??? Sei perfetto per noi”, pensi che le sicurezze della vita rimangono sempre poche ma salde, come le domande a cui non hai dovuto pensare neanche un nanosecondo prima di annerire col pennarello la casella giusta: Cosa è l’ITAR-TASS? Una domanda che, mentre annerisci la risposta corrispondente a “L’Agenzia di Stampa ufficiale Russa”, ti fa venire in mente le vecchie glorie della Madre Russia che voleva assicurare un’informazione libera al Popolo (quanta ingenuità si annida nell’adolescenza!). E poi la domanda che per me (ma per molti no, visto che non sapevano cosa rispondere) ha suonato la colonna sonora della giornata: A quale nome è legato “Fra la via Emilia e il West”? E, mentre con sicurezza marchi la casella di Francesco Guccini, inizi a canticchiare in testa “Piccola città, bastardo posto…”. Un po’ come Bastia Umbra.
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