L’abito non fa il monaco, ma la moda fa politica
di Giulia Rossi Oggi in politica trionfa l’informale sofisticato, anche grazie alla rappresentazione sui social network. Un dress code, un codice di abbigliamento fluido, variabile, […]
Arrivano le amministrative che, da sempre, in Italia sono folclore. Un folclore che ormai, purtroppo, si contamina di mitologie postmoderne, si schizza di neologismi, s’imbratta d’informatica. Ma resta affascinante, specie per i giornalisti. I giornali, specchiandosi nei manifesti elettorali della provincia più profonda, si sentono belli, come le rane quando guardano i rospi. Perciò le home-page dei quotidiani ne fanno collezione.
Furoreggia, in queste antologie della comunicazione fai-da-te, il manifesto del candidato sindaco di Chieti del M5S. Qui, accanto alla faccia barbuta e sorridente del giovanotto, si staglia questa scritta, da intendersi evidentemente come vero e proprio slogan elettorale: “Lu cavalle bbone se vede a lu Ricchiappe…” La frase, per essere intesa dai non teatini, pretende qualche spiegazione.
“Lu Ricchiapp” o “Lu Ricchiappe” è una corsa di cavalli che si è svolta a Chieti ogni anno per alcuni secoli, almeno dalla metà del Seicento fino al 1931, quando è stata sostituita da un più convenzionale Concorso Ippico. La particolarità del Ricchiapp consiste nel fatto che si trattava appunto di una corsa di cavalli, e non di cavalieri. I quadrupedi venivano lanciati nudi e crudi, senza nessuno in groppa, lungo le strade coperte di sabbia, tra due ali di lenzuola e panni stesi per delimitare il percorso ed evitare che le povere bestie ne deviassero. Al di là del traguardo, sito in piazza della Pescheria, occorreva quindi “riacchiapparli”, i cavalli, vincitore (“lu cavalle bbone”) e vinti. Di qui il nome dialettale di “Ricchiapp”.
Semplicissimo, vero? Mica tanto: il palio teatino aveva un sistema di regole così complesso che oggi, a poco meno di un secolo dalla sua soppressione, nessuno sarebbe più in grado di rimetterlo in scena tale quale. Tuttavia il Ricchiapp ha lasciato nella memoria locale il suo proverbio, piegatosi a fare da slogan al candidato sindaco del M5S.
Il significato implicito del messaggio sembra dunque evidente a un interprete dell’arte della comunicazione quale io non sono. Riesumando questo adagio in cui si adagia l’anima stessa, così ricca di storia, dell’antichissima Teate, il candidato vuol far sapere agli elettori di essere vicino a loro, di essere uno dei loro, tanto da trovarsi in grado di scrivere (e presumibilmente pronunciare) il più teatino dei proverbi in vernacolo teatino.
Molto bene: un messaggio che, pur nella sua apparente follia, potrebbe essere efficace, a Chieti, proprio in quanto comprensibile a Chieti, e unicamente a Chieti.
Senonché, al termine del proverbio-slogan, dopo i puntini di sospensione (che stanno forse in attesa del risultato elettorale), compare un asterisco, che invita a leggere quanto scritto, in un corpo più piccolo, in una specie di nota esplicativa: “The good horse shows itself at the Ricchiappe”. In caso qualcuno avesse dubbi, confermo che si tratta della traduzione in inglese del proverbio teatino.
Nel mio sforzo di penetrare i misteri dell’arte della comunicazione, cerco di convincermi che a Chieti esista, all’insaputa di noi tutti, una formidabile minoranza di elettori di lingua-madre inglese che, pur ignorando che cosa sia un cavall, sappiano perfettamente che cos’è il Ricchiapp.
Ah, dimenticavo. Il candidato sindaco si chiama Ottavio Argenio. In vernacolo. Ma è internazionalmente noto come Eighth Tothegenius.
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