Il TTIP, la geopolitica e il giornalismo italiano
In Italia si parla poco e male del TTIP, l’accordo commerciale transatlantico che USA e Europa stanno negoziando da giugno 2013. Ci ha provato Report qualche tempo fa; il Corriere e Repubblica hanno dedicato diversi articoli; importanti esponenti politici hanno detto la loro; gli ultimi in ordine di tempo sono quelli della Gabbia.
Al netto delle sfumature, si insiste sempre sugli stessi punti per descrivere le discussioni in corso tra le due sponde dell’Atlantico: la segretezza delle trattative; la privatizzazione totale dei sevizi pubblici; l’abbattimento delle barriere non tariffarie e il conseguente abbassamento degli standard europei di qualità, soprattutto in campo alimentare; le multinazionali che prederanno il nostro mercato portando alla morte i piccoli imprenditori; l’introduzione nel trattato della clausola ISDS, uno strumento di diritto internazionale che favorirebbe le multinazionali contro i Governi.
Esistono anche posizioni diverse, caute e misurate, ma che trovano poco spazio nel dibattito pubblico italiano. Esempi sono qui , qui e qui. Quanto c’è di vero nella comune rappresentazione che i giornali italiani danno del TTIP? Io credo ben poco. Infatti, le critiche comunemente mosse alle trattative non tengono conto delle dichiarazioni delle elite occidentali, dei molti documenti esistenti e, soprattutto, del significato strategico che il TTIP, se ben congegnato, potrebbe avere. Vediamo rapidamente la pochezza delle critiche più comuni alle trattative. Prima d’iniziare è bene ricordare che non esiste nessun testo definitivo, previsto per la fine del 2015.
LA SEGRETEZZA DEGLI ACCORDI. Come tutti sanno, gli Stati membri dell’Unione non hanno competenze in materia di commercio con paesi extracomunitari. Per questa ragione le trattative vedono impegnata una delegazione della Commissione Europea. Le polemiche di mancata trasparenza e segretezza sono ridicole alla luce del materiale presente nel sito ufficiale della Commissione. Qui si possono trovare documenti di ogni sorta, ricerche indipendenti, risultati di consultazioni pubbliche, inchieste parlamentari, emendamenti. Da tutti questi documenti emerge, da un lato la complessità delle questioni da trattare e dall’altro il grande sforzo della Commissione per rendere l’operazione il più trasparente possibile. Io parlerei dei trattati più trasparenti delle storia dell’umanità (che non significa certo i più convenienti). Inoltre, sui temi più controversi, come l’introduzione della clausola ISDS, sono state avviate varie consultazioni pubbliche che hanno coinvolto quasi 150.000 cittadini e svariate istituzioni. Come se non bastasse, una volta che le trattative avranno fine, il documento verrà sottoposto alla votazione del Parlamento Europeo. Parlamento, ricordiamolo, eletto attraverso libere elezioni, il quale ha già respinto, nel 2012, un accordo commerciale plurilaterale.
Domanda: in quali altri modi si dovrebbe portare avanti una discussione del genere se non delegando rappresentanti, attendendo qualche discussione prima di divulgare i contenuti, chiedendo pareri esterni, di cittadini e di esperti, e sottoponendo il tutto alla votazione di un parlamento eletto democraticamente?
Se si volesse vigilare il processo di trattativa sarebbe piuttosto auspicabile, come suggeriscono gli autori del think tank Lo Spazio della Politica, “un’analisi approfondita per verificare i possibili conflitti d’interesse di coloro che compongono il team dei negoziatori. Ma questo non è avvenuto”.
LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI. Non c’è motivo di credere che il Trattato preveda la privatizzazione dei servizi pubblici. Secondo i documenti disponibili, la gestione dei servizi pubblici rimarrà totalmente nelle mani dei singoli Stati. Lo ha detto direttamente il Commissario europeo per il commercio. La Commissione ha ricordato a tutti che i governi nazionali sono liberi di gestire i servizi pubblici interni e di modificare liberamente l’elenco delle materia escluse dall’affidamento a imprese extra europee. Nonostante queste dichiarazioni, nonostante non si trovi in nessun luogo scritto il contrario, c’è chi perdura a parlare di privatizzazione dei servizi come una delle conseguenze più probabili del trattato. Alcuni per motivi elettorali come la Lista Tsipras; altri per motivi sconosciuti (ideologici?), come Repubblica/MicroMega.
L’ABBATTIMENTO DELLE BARRIERE NON TARIFFARIE E L’ABBASSAMENTO DEGLI STANDARD EUROPEI DI QUALITA’. Questa punto è un cult. Una sintesi degli argomenti tipici di questa posizione è espressa in questo pezzo del Corriere dall’evocativo titolo “Il trattato segreto che ci cambierà la vita”. L’argomento esposto è quello della deregolazione sfrenata e dell’invasione di prodotti nocivi nel mercato europeo.
L’Europa ha sempre ripetuto che Il TTIP non metterà in discussione il principio di precauzione. Questo principio vieta di commercializzare in Europa prodotti la cui non-tossicità non sia stata preventivamente provata secondo gli standard scientifici attuali (in USA vige un principio opposto: si può vietare un prodotto solo dopo che sia stata provata la tossicità; e il tutto deve essere ratificato da un giudice). Inoltre, secondo tutte le dichiarazioni e i documenti relativi alle trattative, il TTIP non riguarderà leggi sugli OGM, sulla difesa della vita umana, sul benessere animale e dell’ambiente. Il mandato a negoziare è molto chiaro a questo proposito ed è in linea con gli accordi SPS del WTO (accordi sanitari e fitosanitari).
Nonostante queste semplici evidenze, molti dicono il contrario. Quelli di Formiche e quelli de Linkiesta sono due esempi. La Signora Gabanelli ha dedicato una trasmissione intera a parlare dell’invasione di OGM nel mercato europeo come una delle conseguenza del trattato.
Quindi, quando si parla di eliminare le barriere non- tariffarie, non si tratta certo di “liberalizzare” l’importazione di carni dopate o prodotti considerati tossici secondo i regolamenti europei. Questo è stato da sempre escluso dall’Europa. Al contrario, la sfida è (o dovrebbe essere) quella opposta: imporre certi standard di qualità e di produzione a livello internazionale ed impedire che si usino regolamentazioni tecniche in chiave protezionistica. Una sfida commerciale ma, soprattutto, geopolitica.
LE MULTINAZIONALI PREDERANNO IL MERCATO E TUTTI I PICCOLI PRODUTTORI FALLIRANNO. Le motivazioni alla base delle trattative auspicano l’opposto. La volontà di abbassare il più possibile i costi delle esportazioni e le barriere non-tariffarie avvantaggerebbe soprattutto i piccoli produttori che, diversamente dalle multinazionali, non hanno possibilità di delocalizzare e produrre sul suolo estero abbattendo costi burocratici e doganali. Ad un’economia come quella italiana, molto propensa all’export, gioverebbe molto l’abbassamento dei costi legati alle esportazioni. I consumatori avrebbero più scelta e minori costi. Da sottolineare è anche il grande numero di nuove possibilità che si aprirebbero. Nuovi mercati e maggiori volumi nel commercio farebbero aumentare le richieste di servizi e di altre forme di supporto. Comunque sia, i vantaggi economici potenziali di un immaginario TTIP sono ben documentati. Due esempi sono qui e qui.
LE CONTROVERSIE TRA IMPRESE ESTERE E GOVERNI SARANNO RISOLTE IN MODI INIQUI. Si tratta della clausola ISDS, uno strumento di diritto internazionale che prevede la possibilità per società estere di denunciare i Governi a fronte di eventuali discriminazioni. Quella dell’ISDS è una componente complessa da analizzare; non c’è sintonia nemmeno tra il presidente della Commissione Junker e la commissaria al commercio Malmstrom. Degno di nota, inoltre, è l’appello di oltre cento docenti esperti sul tema che sono sfavorevoli all’introduzione del ISDS nel TTIP.
Nonostante questo appello, che solleva questioni certamente da dibattere, c’è da dire che nei trattati internazionali aventi oggetto investimenti queste clausole sono molto comuni e molto spesso correlate a processi di trasparenza, di aumento degli investimenti e di miglioramento della regolamentazione. L’Europa ha sottoscritto più di 1400 trattati con questa clausola.
Quello che troppo spesso non si dice è che nel mandato a negoziare si parla della clausola solo in relazione al capitolo degli investimenti. Gli stati membri manterrebbero il diritto di “adottare e applicare le misure necessarie al perseguimento non discriminatorio di legittimi interessi di politica pubblica negli ambiti sociale, ambientale, di sicurezza nazionale, della stabilità del sistema finanziario e della salute pubblica”. L’ISDS riguarda le compensazioni economiche in caso di decisioni di governo con alti costi per consumatori, dipendenti, dirigenti e proprietari. Il caso più comunemente citato è quello della chiusura delle centrali nucleari in Germania. Facendo grande confusione si associa spesso il problema dell’ISDS con la questione degli OGM e delle carni con gli ormoni. Come ha fatto Report.
QUELLO CHE IN ITALIA NON SI DICE: IL (POTENZIALE) SIGNIFICATO GEOPOLITICO DEL TRATTATO
È sotto gli occhi di tutti l’anarchia che governa oggi la politica internazionale. Molti sono i fattori determinanti: la crescente debolezza degli USA come forza egemone; la pesante crisi economica e istituzionale europea; la crescente instabilità del Medio Oriente; la rinvigorita verve imperialista della Russia. Ma la più preoccupante agli occhi occidentali, soprattutto statunitensi, è certamente la crescita economica politica e militare cinese.
Questa situazione rende evidente un fatto: l’Occidente sta perdendo la sua supremazia ideologica sul resto del mondo. Lo stile di vita occidentale, fondato sui valori democratici e sui principi economici del libero mercato, è messo pesantemente in discussione. Varie forme alternative di sistemi valoriali sono oggi influenti. Il tradizionalismo che Putin professa è un esempio; l’anti-occidentalismo mediorientale e il fascino che ottiene tra i “figli dell’occidente” è un fatto; la Cina post-maoista rappresenta sempre più un autonomo modello di capitalismo senza democrazia.
Come far fronte alla crescita militare e politica cinese? Sapendo che questa dipende dalla straordinaria crescita economica, la domanda diviene: come porsi su un piano competitivo (non alternativo) con un’economia in continua espansione e sempre più presente nei mercati globali?
Un modo potrebbe essere quello di costruire un’alleanza commerciale tra le due economia più grandi del mondo. Il TTIP potrebbe rappresentare il primo passo di questa nuova alleanza atlantica. Il fine dovrebbe essere quello di formare il mercato più grande del mondo influenzando e vincolando altri attori ad aderire alle sue dinamiche di produzione e scambio.
Infatti, come sottolinea l’Economist, l’Europa, nonostante l’ascesa dei BRICS e la sua confusione istituzionale, è oggi la capitale mondiale della regolamentazione. Il principio di precauzione sopracitato è l’esempio della qualità e della superiorità europea in questo campo. Altri regolamenti importanti riguardano i sussidi, i diritti sulla proprietà intellettuale, gli appalti pubblici, gli standard ambientali, i diritti dei lavoratori e molte altre regolamentazioni su processi di produzione e qualità dei prodotti.
Come ha mostrato in un’inchiesta Mark Shapiro, le multinazionali statunitensi stanno, molto lentamente, applicando gli standard europei. Questo soprattutto perché il mercato e le opinioni pubbliche occidentali sono sempre più sensibili alle questioni ambientali, di salute e di qualità. Non seguire questo processo potrebbe far evaporare molte quote di mercato a vantaggio delle imprese europee o di chi si adattasse in anticipo. Come dichiara un dirigente di Procter & Gamble a Shapiro: “molti paesi fuori da USA stanno imparando ad adottare le procedure e gli standard europei. Addirittura la Cina sta adottando l’approccio europeo ai cosmetici… e quello è un grande paese! Un consumatore su cinque nel mondo compra da loro. Nel 2007 Procter & Gamble ha iniziato a cambiare politiche e riflettere su questi cambiamenti globali”.
Il TTIP, allora, dovrebbe essere inteso come uno strumento strategico per avviare e guidare questo processo di uniformazione della regolamentazione secondo i principi economici e i valori etico-politici dell’Occidente. Inoltre, con le trattative del TTIP, alla precedente logica multilaterale stile WTO si è sostituita una logica regionale: in tutte le regioni del globo si tratta per stringere accordi commerciali. Il TTP, il NAFTA, il CAFTA e il RCEP sono i maggiori esempi.
L’esito delle trattative del TTIP dovrebbe mirare a fissare una stabile cooperazione tra USA e Europa in quanto regolatori, a trovare un accordo per una comune struttura di supervisione e per una progressiva struttura basata sul riconoscimento reciproco. Attivando questo nuovo bilateralismo atlantico del commercio, l’Occidente potrebbero diventare il promotore delle nuove regole del commercio mondiale.
Il fine strategico consisterebbe, come ha scritto Marta Dassù sul NYT, nel “far diventare la prima alleanza di sicurezza del mondo il primo patto economico”. Sicurezza economica significa avere un forte potere regolatore, per questo, come ha ricordato l’Economist: “gli europei dicono agli americani di unirsi come standars-setters, per paura di diventare standars-takers in un ordine economico mondiale controllato da giganti emergenti”. Un TTIP ambizioso sino a questo punto lancerebbe il forte messaggio che liberalismo politico ed economico è vivo e vegeto in un mondo sempre più anarchico e di imprevedibile evoluzione.
Chiaramente, gli effetti di un accordo del genere rimangono molto incerti: chi aderirà? la Cina come reagirà? l’effetto sarà di convergenza verso il mercato occidentale o si creeranno blocchi commerciali antagonisti? Molto dipenderà dalla volontà politica di rinvigorire un atlantismo che vive da anni in uno stato comatoso. Fondamentali saranno la trasparenza nelle trattative e la capacità di far aderire paesi terzi.
Vorrei concludere da dove sono partito. La maggior parte degli argomenti avanzati dalla stampa italiana non hanno nulla a che vedere con le dichiarazioni dell’Europa e le reali intenzioni delle élite occidentali. Il risultato di questa superficialità è quello di alimentare un’opinione pubblica avversa ad un accordo che potrebbe (come no, se mal congeniato) avere molti risvolti positivi per l’Europa. L’errore più grande è quello di presentare il TTIP per quello che non è: un semplice accordo commerciale volto a svantaggiare consumatori e piccoli produttori. Se cerchiamo un’etichetta quella più appropriata mi pare sia stata usata dall’ex Segretario di Stato Hilary Clinton, la quale non ha esitato a parlare di una “NATO economica”.
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