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Facebook e la realtà: tra oblio e indulgenza

27 Marzo 2018

Il diritto all’oblio è spesso rivendicato. Il web conserva tutto, ricorda tutto e tutto è in qualche datacenter di chissà dove.

La memoria diventa artificiale, immensa e immanente, perché la natura non consente di memorizzare tutto di tutti. Siamo al cospetto di una specie di dio laico.
Molti sanno molto di noi, e alcuni possono sapere tutto.
Compresi i segni che lasciamo agli angoli delle strade per segnare il nostro territorio virtuale, per il self branding e per raccontare la nostra storia: un post su fb, un tweet, la geolocalizzazione, la foto di quello che abbiamo mangiato, di dove siamo andati in vacanza, chi seguiamo sui social, le ricerche su Google, i nostri “amici” di foto.
Le opinioni che esprimiamo dicono qualcosa di noi; le opinioni degli altri, scritte, magari, sulla scia di un bel corso di social marketing management o da qualche ufficio stampa, provano a condizionare le nostre.
L’illusione, a buon mercato (addirittura gratuita), di connetterci direttamente con certi mondi è una specie di assenzio. Però, ogni tanto, qualcuno pesta qualche buccia di banana, cade, e rivendica il diritto all’oblio.
Una prescrizione delle cazzate dette e fatte.

Dall’altro lato, viviamo in un presente continuo in cui tutto si brucia, in cui conta il qui e l’adesso, in cui il passato non esiste; in cui la superficialità è un valore e la profondità una rottura di coglioni. In cui essere intuitivi è il must assoluto perché la complessità fa perdere tempo. In cui i dieci comandamenti potevano essere altrettanti bullet point, su una bella slide.
In cui i concetti devono essere visualizzati, sintetizzati, infograficizzati e mandati nel mainstream della rete.
In cui gli ingredienti della qualità sono non la realtà ma il modo in cui si prova a raccontarla.
In cui coloro che detengono il nostro passato lo usano per tarare l’algoritmo e farci vedere un oggi virtualizzato e finalizzato a dare “potere” di vendita (il contrario del potere d’acquisto) a dati, informazioni, prodotti.
Non c’è tempo per fare le ricerche, per capire veramente cosa ci accade intorno.
Gli strumenti per interpretare la realtà sono le metriche, gli analytics, in cui la sineddoche è la filosofia dominante: capisco una parte e ho capito il tutto.
Ci appaghiamo leggendo le tracce altrui che troviamo in giro durante la nostra passeggiata quotidiana, convinti che quello fatto il giorno prima sia già cancellato, caduto nell’oblio. Come il giornale diventato carta per incartare il pesce.

Piace a tutti – la vanità è il complice preferito della rete – vedere i like, contarli, leggere i commenti.
Sui social, facebook in particolare, cerchiamo conferme alle nostre inquietudini e alle nostre insicurezze, tanto si trova sempre qualcuno pronto a dire dire che andrà meglio (anzi che va già meglio) con il suo like o con il suo wow. Leggere, poi, i giudizi trancianti o quelli melliflui ci consola.

Il perdono, l’assoluzione, la redenzione, la confessione, il pentimento, sono tutti “asset” che appartengono alla cultura cattolica e che influenzano la nostra vita. Quindi, possiamo dire cazzate, o cose convenienti in un momento e sconvenienti in un altro senza avere, in pratica, conseguenze serie sulla nostra reputazione. Tutto evapora in qualche ora.
Avete presente il video di Salvini contro i napoletani? (internet aiuta anche a ricordarsi da dove vengono Giggino e Fico) oppure i video di Travaglio e la Casellati? O i figli di, i concorsi truccati, gli articoli della Gabanelli?
Sono ricordati solo da una minoranza (morettiana). La maggioranza, l’oblio prescrivono tutto.

Il web, con le sue strategie, lo storytelling, gli spin dcotor, le fake news, le foto manipolate, l’esaltazione (anche da parte dei media più tradizionali che li rimandano per cannibalizzare le impression) di comportamenti estremi, di freak, di buonismo autentico e di cinismo a buon mercato, di tagli di capelli o del culo del kardashian; aiuta redimere noi peccatori, a essere comprensivi con noi stessi.
Nei social c’è sempre in fondo qualcuno che l’ha fatta più grossa o l’ha fatta fuori.

L’indulgenza è plenaria e gratis.
Amen
PS il 27 marzo 1994, ad esempio, doveva iniziare la rivoluzione liberale.

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