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Caro Zuck, più dell’odio di Trump spaventa un algoritmo che ci dà sempre ragione
“A seguito della certificazione dei risultati elettorali da parte del Congresso, la priorità di tutto il paese deve ora essere quella di garantire che i restanti 13 giorni e i giorni successivi all’inaugurazione passi pacificamente e secondo le norme democratiche stabilite.
Negli ultimi anni, abbiamo permesso al Presidente Trump di usare la nostra piattaforma in linea con le nostre regole, a volte rimuovendo contenuti o etichettando i suoi post quando violano le nostre normative. L’abbiamo fatto perché riteniamo che il pubblico abbia diritto all’accesso più ampio possibile al discorso politico, anche polemico. Ma il contesto attuale è ora fondamentalmente diverso, che prevede l’utilizzo della nostra piattaforma per incitare alla violenta insurrezione contro un governo democraticamente eletto.
Crediamo che i rischi di consentire al Presidente di continuare a utilizzare il nostro servizio in questo periodo siano semplicemente troppo grandi. Pertanto, stiamo estendendo il blocco che abbiamo inserito sui suoi account Facebook e Instagram a tempo indeterminato e per almeno le prossime due settimane fino al completamento della transizione pacifica del potere.”
Così parlò Mark Zuckerberg, naturalmente dal suo profilo di Facebook, e quando il proprietario del media più potente del mondo parla, e parla così, in un momento così, non può che essere la notizia del giorno, soprattutto per chi nella vita fa informazione, per lavoro e per passione.
Nella notizia importante, ci sono alcune notizie secondarie, che sicuramente Zuckerberg avrà analizzato coi migliori avvocati degli Stati Uniti. Fino all’altroieri, infatti, molto di più poteva essere tollerato – dichiara il fondatore di Facebook – ma da oggi non è più così. Da quando è stata ratificata la vittoria di Joe Biden dal parlamento americano, e quindi è in discesa la strada che porta alla presidenza di Joe Biden, il discorso eversivo di Trump a Zuckerberg sembra più eversivo. Anzi, per Facebook solo oggi è davvero eversivo. Solo oggi, tra invasioni del Congresso e dopo mesi di minacce, sembra davvero irreversibile il processo democratico che porterà alla presidenza di Joe Biden. Un uomo politico che, tra le varie cose, è atteso a decidere se e come proseguire una più stringente regolamentazione della libertà d’azione delle grandi aziende tecnologiche della Silicon Valley, tra cui ovviamente figura Facebook: sul tavolo c’è anche un possibile inasprimento del trattamento fiscale, nonchè la scelta di incentivare l’industria e non le “big tech”, tra cui figura sempre Facebook. Le notizie dei mesi scorsi sembravano annunciare, in caso di vittoria democratica, un atteggiamento abbastanza rigido nei confronti dei giganti californiani e dei loro fondatori. Vedremo, naturalmente, cosa succederà.
Ma c’è un aspetto più centrale e, parrebbe, ben più decisivo, rispetto alle ragioni per cui Zuckerberg decide una censura di Trump, qualunque sia la ragione ideale o materiale per cui la decide. E riguarda la natura stessa del rapporto tra il “suo” Social Network e la formazione dell’opinione globale.
Perchè lo Zuckerberg che oggi interviene per spiegare la (pesantissima) decisione di una censura, non è solo lo stesso che aveva taciuto di fronte a rilievi analoghi mossi al Congresso poco più di un anno fa da Alexandria Ocasio-Cortez, a proposito di Cambridge Analytica e del rapporto tra Facebook e propaganda politica. È anche – e verrebbe da dire: soprattutto – lo stesso che ormai da anni costruisce con la sua azienda bolle perfette attorno agli utenti. Bolle che plasmano attorno a ciascuno di noi pareti su misura, disegnate in base ai nostri interessi commerciali, alle nostre passioni, alle nostre inclinazioni, alle nostre paranoie. Trump – è il soggetto più rilevante, certo non è il solo – ha fatto una propaganda spregiudicata e violenta, ma avrebbe attecchito allo stesso modo se non ci fossero migliaia di bolle sostanzialmente ermetiche e sigillate, costruite da milioni e milioni di cittadini che ogni giorno sono circondati di fatto solo da contenuti che somigliano tanto, tantissimo, ai loro pensieri? E in che modo è costruito l’algoritmo che con tanta precisione porta gli utenti a trovare solo contenuti che confermino le loro convinizoni?
Molto si discuterà – e giustamente – dell’opportunità di Zuckerberg di comportarsi “da editore”, cioè di decidere chi ha diritto di parola, e in che limiti. Era già così, invero, ma l’intervento su un presidente uscente degli Stati Uniti vale a esemplificare ancora meglio quel potere, a concretizzare con più chiarezza quei dubbi. Ma sarà bene non distrarsi dalla questione di fondo: Zuckerberg agisce e continuerà ad agire da editore potentissimo scrivendo le regole che decidono cosa “circonda” ogni giorno, per 24 ore al giorno, alcuni miliardi di persone.
Su queste quesioni, sarebbe bene che i paesi democratici pretendessero chiarezza. Perché ne va della qualità della democrazia, anche quando a popolarla sono personaggi meno pericolosi e sguaiati di Donald Trump.
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