Macroeconomia
C’era una volta la progressività fiscale
A quasi 50 anni dall’introduzione dell’IRPEF, nel 1974, sembra prospettarsi un’ulteriore revisione degli scaglioni e delle aliquote della tassazione progressiva sui redditi delle persone fisiche.
Purtroppo, questa “progressività”, sancita dalla Costituzione, all’art. 53, all’interno – si noti – del Titolo IV sui “Rapporti politici” e non su quelli economici, si è andata “progressivamente” perdendo, dietro la motivazione di una sempre maggiore semplificazione. Tuttavia, questa semplificazione (sacrosanta) è stata il cavallo di Troia di una sistematica retromarcia fiscale che ha penalizzato i redditi bassi e ridotto, anno dopo anno, il peso delle imposte sui redditi alti.
Il risultato è stata una sempre più eclatante diseguaglianza dei redditi non più arginata da efficaci politiche redistributive. Come messo in luce dall’ampia documentazione di Piketty (Capitale e Ideologia, 2020) il fenomeno ha riguardato tutti i paesi industrializzati (Fig. 1)
FIG. 1
Fonte: World Inequality Database (WID.world)
L’evoluzione dell’IRPEF
In origine, l’IRPEF era caratterizzata da una forte progressività, con 32 aliquote tra il 10% e il 72%. L’ultimo scaglione era (a valori 2021) di oltre 3,2 milioni di euro (v. Nota 1).
Nel 1983 (Giovanni Spadolini alla Presidenza del Consiglio e Rino Formica al Ministero delle Finanze, distinto dal Tesoro fino al 2002) ci fu la prima grande riforma: da 32 a 9 aliquote, tra 18% e 65%, con scaglione massimo ridotto a poco più di 800 mila euro (Fig. 2).
FIG. 2
Un’altra grande riduzione si ebbe nel 1989 (De Mita – Colombo), con l’abbassamento dell’aliquota massima al 50% e scaglione massimo portato a circa 320 mila euro.
Si noti che il calo dell’aliquota (per dati scaglioni) riduce il carico fiscale sui redditi oltre lo scaglione massimo, mentre il calo dello scaglione massimo (a parità di aliquote) accresce il carico fiscale. L’effetto combinato è indicato in Fig. 2 e indica una crescita fino ai primi anni ’80 e poi un lieve ma progressivo calo fino a oggi.
Alla fine delle numerose revisioni fiscali, si è arrivati a quella in vigore, dal 2007 a oggi, con uno scaglione massimo di 75 mila euro e 43% di aliquota massima. Sotto questo aspetto, l’ipotesi di riforma del Governo Draghi sembra dare un timido segnale di inversione di tendenza, dato che si parla di uno scaglione massimo di 50 mila euro con aliquota immutata al 43%.
Nel corso dei decenni, non solo si sono abbassate le aliquote massime ma si sono anche alzate quelle minime (Fig. 3) con un doppio effetto di regressività: minori tasse sui redditi alti, maggiori sui redditi bassi (fuori dalla no-tax-area).
FIG. 3
L’effetto, perseguito con notevole coerenza in tutti i quasi 50 anni considerati, è eclatante: lo spread iniziale tra aliquota minima e massima di 62 punti si è ridotto a soli 20; la “flat tax” si fatta sempre più vicina.
L’imposta sui redditi medio-alti
Per misurare il carico fiscale nei vari regimi, prendiamo tre casi di contribuenti con reddito imponibile (sempre in euro oggi) di 30 mila, 300 mila e 3 milioni. Sono tre importi rappresentativi della fascia media, alta e molto alta dei contribuenti italiani. Questi, nel 2019 sono stati oltre 41 milioni e hanno versato quasi 173 miliardi di euro, distribuiti come in Tab. 1.
TAB. 1 Distribuzione del gettito e dei contribuenti per fasce di reddito
Nel corso del periodo considerato, il carico fiscale (espresso dall’aliquota effettiva media, data dal rapporto imposta / reddito imponibile), calcolato a parità di potere d’acquisto, ha avuto andamenti diversi a seconda del livello di reddito: infatti è salito dal 13% al 25% (+12 punti) per il reddito medio (30 mila euro), dal 44% al 51% (+7 punti) per il reddito alto (300 mila euro) mentre è sceso dal 58% al 43% (-15 punti) per il reddito molto alto (3 milioni di euro) (Fig. 4).
FIG. 4
Fino ai primi anni ’80, l’aumento della pressione fiscale (effetto soprattutto del fiscal drag, v. Nota 2) si è distribuito su tutte le fasce di reddito. In seguito, invece, i redditi alti e molto alti hanno goduto di un sensibile alleggerimento fiscale. Da allora, ci si può chiedere quanto gettito si è perso con la progressiva erosione di aliquote e scaglioni determinata dalle numerose revisioni fiscali.
Una stima, sia pure grossolana, si ottiene immaginando il mantenimento della configurazione IRPEF 1983-1985 (Tab. 2) anche per i 36 anni successivi (con piena neutralizzazione del fiscal drag): per la fascia con oltre 300 mila euro di reddito imponibile (quasi 41 mila contribuenti nel 2019), si ha un mancato maggior gettito complessivo (sempre in euro correnti) di circa 27 miliardi di euro, cui si aggiungerebbero 18 miliardi di euro di mancato gettito in ipotesi di 1000 contribuenti con oltre 3 milioni di reddito imponibile.
TAB. 2 Scaglioni e aliquote IRPEF
Da notare che rispetto all’IRPEF 1985, l’ipotesi prospettata dal Governo Draghi (Tab. 2) prevede un minor carico fiscale del -14% sui redditi da 300 mila euro e del -32% sui redditi da 3 milioni di euro. Inoltre la stessa ipotesi prevede un lieve alleggerimento anche rispetto alle aliquote correnti (rispettivamente -0.2% per i redditi da 300 mila euro; -0.02% per i redditi da 3 milioni di euro).
Nota 1: tutti i valori monetari sono stati convertiti in euro al cambio ufficiale e rivalutati a prezzi 2021 sulla base dell’indice Istat dei prezzi al consumo delle famiglie di operai e impiegati.
Nota 2: il fiscal drag deriva dal duplice effetto di: i) aliquote progressive con scaglioni fissi in termini nominali che accrescono le imposte per la crescita inflazionistica dei prezzi e dei redditi (redditi più alti in termini nominali ma non in termini reali) e ii) valori di detrazione dall’imposta e di deduzione dal reddito espressi in termini nominali, che quindi incidono in minor misura su redditi gonfiati dall’inflazione.
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