Cancellare il canone letterario dalla scuola? Speriamo sia una bufala
Per la nota testata on line Orizzonte Scuola, dalle Indicazioni nazionali che hanno sostituito i vecchi programmi liceali, “secondo indiscrezioni, già raccolte dalla nostra redazione, si vorrebbero eliminare i suggerimenti degli autori da sottoporre agli studenti, lasciando completamente libero l’insegnante di fare le sue scelte”. Spero sia, come spesso capita, un boatos. Ma, se non lo fosse e se l’ipotesi fosse veramente in campo, mi si consenta di dissentire e di sconsigliare.
Quando vi misi mano, assieme a un gruppo di docenti, presidi e universitari (ricordo, fra gli altri, Paolo Ferratini, Elena Ugolini, Francesco Sabbatini e Luca Serianni: ma la consultazione fu ampia), scegliemmo una strada netta, che fu poi naturalmente obiettivo degli strali degli stolti e del relativo gioco della torre. Puntammo sugli strumenti di lettura consapevole di un testo letterario; sullo studio dei testi stessi più che sulle “biografie”; su un canone smilzo di autori e sull’apertura al Novecento, oltre le colonne d’Ercole dei sempiterni Ungaretti Saba e Montale; sulla libertà del docente di costruire, attorno a quella griglia, un proprio percorso, fondato sulle personali predisposizioni, sulle interconnessioni con le peculiarità dei distinti percorsi liceali (la letteratura è un giacimento sterminato di opportunità: certo, bisognerebbe conoscerla), sui livelli delle classi. Non so quanto queste indicazioni si siano tradotte in prassi, ma non di meno ho avuto modo di vedere, nel mio peregrinare ispettivo, esperienze interessanti ed efficaci: degli esempi veri di insegnamento.
Volevamo favorire l’esercizio di una libertà senza anarchia: contemperare i livelli essenziali delle prestazioni e l’autonomia del (bravo) insegnante. Qualcuno ha saputo cogliere questa opportunità, altri si sono limitati al consueto tran tran. I peggiori hanno perseverato nella pedissequa lettura del libro di testo. Se è illusorio pensare di intervenire efficacemente sul corpaccione scolastico, uno dei più conservativi della Repubblica, con degli ukase, o sperare nelle proprietà taumaturgiche degli atti normativi, occorre perlomeno offrire un terreno ben arato, piantare dei semi, coltivarli e sperare che il dolce fico si imponga sui lazzi sorbi. Non passare col napalm.
I rigurgiti di ipotesi, come quella adombrata da OS che, per privilegiare le “teste ben fatte”, le trasformano in teste vuote, non mi piacciono punto. Le trovo, senza se e senza ma, classiste, perché rendono ancora più netto il distacco di patrimonio linguistico e culturale tra chi ha a casa delle opportunità, e chi non le ha. Fanno evaporare i pochi margini a disposizione per mandare a casa i docenti “inefficaci”, perché rendono evanescenti le prestazioni di lavoro su cui si ha il diritto e dovere di chiedere conto. Favoriscono lo scarso impegno, la routine, il “minimo sindacale”. E si vorrebbe qualificare in tal modo l’istruzione?
Ho, naturalmente, grande fiducia nel Ministro Stefania Giannini: una umanista vera e donna di profonda cultura. Sono, o meglio voglio essere, certo che certi miasmi provenienti dalle sentine ministeriali e dai sedicenti esperti non potranno ricevere il nulla osta dalla sua penna.
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