Letteratura
Ungaretti, Grecia 1969-2019
Alla fine dell’autunno 1969 – esattamente 50 anni fa – il poeta Giuseppe Ungaretti scriveva alcuni versi, pochissimo conosciuti, che parlavano di Grecia, di Atene, e di mostri. Questi versi avrebbero composto la sua penultima lirica: il poeta sarebbe morto sei mesi dopo, nel giugno del 1970. L’occasione era data a Ungaretti dall’allora recente colpo di stato della Giunta dei Colonnelli, dalle brutali repressioni che ne seguirono, e dall’invito di un amico, il pittore Piero Dorazio, a contribuire con una poesia ad un piccolo volume, il ricavato delle cui vendite avrebbe aiutato alcuni amici greci in esilio. Ne nasceva questa poesia, Grecia 1970:
GRECIA 1970
Atene, Grecia, segreto, vertice
di favola incastonata dentro il topazio che l’inanella.
Sul proprio azzurro insorta
in minimi
limiti, per essere misura, libertà
della misura, libertà di legge che
a sé liberi legge.
Sino dal mare,
dal cielo al mare,
liberi l’umano vertice,
le legge di libertà, dal mare al cielo.
Non saresti più, Atene, Grecia,
che tana di dissennati? Che
terra della dismisura, Atene,
mia, Atene occhi aperti,
che a chi aspirava all’umana
dignità, apriva gli occhi,
Ora, mostruosa accecheresti?
Chi ti ha ridotta a tale,
quali mostri?
La notizia più compiuta su questa lirica, e sul suo contesto, la riporta il giornalista de L’Unità Giorgio Frasca Polara. Il testo ha un tono molto astratto che si adatta bene alla pittura di Dorazio. Non è facile capire esattamente a cosa riferisca Ungaretti con le sue immagini, cosa significhi ad esempio l’azzurro, il topazio; non da ultima la sintassi, che nelle ultime due strofe si fa convoluta, intorno a due domande retoriche. Il testo proietta immagini appunto astratte, chiuse, che lasciano solo alcuni spiragli per ricostruire i pensieri di Ungaretti.
In un altro testo, ben diverso, di solo qualche giorno fa, Ieri sera, ad Atene, ho raccontato della situazione di tensione generale che c’era nel centro di Atene, e degli scontri tra poliziotti e manifestanti. Più che dai fatti -alla fine le manifestazioni si svolte in maniera relativamente pacifica-, ero colpito da alcuni aspetti collaterali della situazione: i colori, le luci blu della polizia, il rosso dei fuochi accesi dagli anarchici, il nero dei poliziotti, sui loro caschi bianchi; nonché dalla sensazione di note che si ripetevano. È dopo qualche giorno che ho capito perché le immagini, ben più che le spiegazioni, mi avevano colpito. Perché quelle immagini…
…le avevo già registrate, si sovrapponevano cioè a ben altre immagini, quelle appunto di Grecia 1970 di Ungaretti.
Il vertice, il topazio che l’inanella, sul proprio azzurro insorta, per essere misura, libertà /
della misura, libertà di legge / che a sé liberi legge. Fatto sta che ora non riesco più a scindere le due impressioni.
Avevo trovato notizia della poesia ben prima di osservare i fatti e le immagini in questione. E non avevo al momento collegato le due impressioni, ma queste avevano probabilmente agito ad un qualche livello inconsapevole. Ora non posso più scinderle l’una dall’altra.
Come se non bastasse, i luoghi delle cose viste e udite l’altra sera sono gli stessi di quelli della rivolta del Politecnico. E come se non bastasse ancora, l’unica serigrafia reperibile su internet tra quelle che il pittore Piero Dorazio chiese a Ungaretti di accompagnare con il suo testo (l’immagine qui sotto):
somiglia, a specchio, con quest’altra immagine che segue, circolata nei media (qui, The Greek Press Project), della repressione delle proteste di venerdì.
Il legame è esile. Ancora di più è esile la verità passata dai mezzi di informazione. Ma le impressioni sono spesso più forti che i contenuti. Contenuti che, nei fatti storici come nello stile di Ungaretti che ad essi si riferisce, non si comparano ai tafferugli della settimana scorsa. Eppure le immagini, svuotate da quei contenuti, come del resto nei versi di Ungaretti, parlano di situazioni analoghe, e in particolare parlano del rapporto tra potere e individui. Un rapporto che ha molti e facili punti d’ombra, in genere; e di fronte a questo rapporto si misura, spesso, l’idea che la persona, o un gruppo di persone ha di sé. In Grecia (la nazione, la cultura, la gente e il suo modo di parlare), tutto questo ha sempre avuto un sapore particolare: come più vicino al limite, là dove i limiti economici e sociali sono più sensibili (Sul proprio azzurro insorta / in minimi / limiti). Ma dato che il legame è appunto esile, non saprò né m’interesserà più di tanto sapere se questo sia un segreto, vertice di favola incastonata, come dice Ungaretti, o altro.
Vicino alla fine della sua vita – vicino al limite quindi – Ungaretti scrisse, nel 1969, Grecia 1970 guardando all’anno che veniva, in cui il suo tempo sarebbe in effetti finito. Egli scrisse insomma proiettando in avanti i pensieri che voleva mandare alla Grecia. Lo faceva da apolide, da persona nata ad Alessandria d’Egitto, e vicino per questo ai Greci, come l’amico concittadino e poeta nazionale dei greci Kavafis; soprattutto da poeta lui stesso. Ma è a noi che rimane, a chi lo legge, decidere – o non decidere – come usare le sue parole. Forse era l’eco di queste a far pensare le immagini dell’altra sera come una rappresentazione che si ripete, nonostante i tempi che cambiano.
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