Letteratura
La celebrazione del miracolo
La città che gli dà i natali nel 43 a.C., Sulmona, ne ha appena commemorato il bimillenario della morte, avvenuta a Tomi (oggi Costanza, in Romania), sul mar Nero, nel 17 d.C.: stiamo parlando di Publio Ovidio Nasone, l’ultimo dei grandi poeti augustei che vive ai tempi della battaglia di Azio (31 a.C.), della conseguente fine della guerra civile a Roma e della scomparsa di Antonio e Cleopatra.
Per Ovidio il cursus studiorum cui viene indirizzato da fanciullo in virtù della sua rara intelligenza (unitamente all’origine equestre della sua famiglia) diventa ben presto un cursus honorum: i primi studi li fa a Roma, per proseguirli in Grecia e infine in Asia Minore, quando è a tutti gli effetti, ormai, una stella di prima grandezza nel firmamento letterario in lingua latina.
La politica non lo interessa, tuttavia la sua formazione iniziale si basa sull’arte oratoria, che apprende da due autorità del suo tempo: Arellio Fusco e Porcio Latrone.
A un certo punto scopre di prediligere la poesia ed è lui stesso a narrarci (Tristia, IV, 10, 24-26) la nascita di questa vocazione: “cercavo di scrivere parole svincolate dalle regole ritmiche. Ma spontaneamente la poesia si disponeva nelle giuste battute ritmiche e ciò che tentavo di dire diventava verso.”
Augusto lo nota ma lui ne approfitta soltanto per entrare in contatto con Orazio e Virgilio, preferendo tenersi ben strette le proprie autonomia e indipendenza, mentre si lega pure agli intellettuali del circolo di Messalla Corvino.
Ovidio coniuga disincanto a sincerità: si rallegra “di essere nato al giorno d’oggi”, perché “questa è veramente l’età dell’oro, con l’oro si comprano i più elevati onori”.
Finché, nell’8 d.C., la svolta assolutamente imprevista: Ottaviano lo condanna all’esilio di Tomi (da cui non farà più ritorno) per una ragione rimasta oscura nonostante Ovidio (Tristia, II, 103 sgg.) ci fornisca qualche indizio allusivo: “Perché accadde che io vidi? Perché resi colpevoli i miei occhi? / Perché per imprudenza io seppi di una colpa? / Vide Diana svestita inconsapevolmente Atteone: / egli fu nondimeno preda dei propri cani.”
Ovidio scrive il suo capolavoro, Le Metamorfosi (Metamorphoseon Libri XV), nei primissimi anni dell’era volgare, ma non fa in tempo a rifinire e rivedere il testo a causa della punizione inflittagli da Ottaviano; prima di lasciare Roma Ovidio ne brucia il manoscritto, ma altre copie stavano già circolando e quindi l’opera riuscirà comunque a diffondersi e a giungere fino a noi.
Le Metamorfosi hanno continuato a dividere, nei secoli, gli intellettuali. Se Quintiliano ne critica il difetto della lascivia (“esuberanza senza disciplina”), Dante gareggia esplicitamente con lui nella Divina Commedia e tutte le invenzioni nell’Inferno connesse alla punizione dei peccatori tramite il criterio del contrappasso sono ampiamente debitrici nei confronti delle Metamorfosi; più vicino a noi, Leopardi non stima molto Ovidio, considerandolo però un “ostinatissimo e acutissimo cacciatore di immagini”, mentre D’Annunzio rende omaggio ad alcune figure mitologiche rappresentate nelle Metamorfosi in una descrizione contenuta nella prima pagina del romanzo Il piacere.
Prendendo le mosse da un repertorio smisurato proveniente da svariate fonti (non soltanto greche e latine), Ovidio struttura in modo organico un poema in 15 libri, costituito complessivamente da circa 12.000 versi esametri dattilici, in cui vengono passate in rassegna 250 leggende tramandate nel mondo antico e accomunate dal processo della trasformazione. Ovidio sovraintende a queste narrazioni in versi, senza soluzione di continuità, una macronarrazione più vasta che le racchiude tutte in una concezione teleologicamente orientata: dal Caos primigenio e dalla creazione dell’uomo alla celebrazione delle imprese di Giulio Cesare e alla esaltazione di Augusto. Il mutamento, secondo Ovidio, è sia una legge dell’universo che il destino dell’uomo; di trasformazione in trasformazione, vi viene proclamata l’illusorietà del reale.
Scrive Alessandro Perutelli:
La celebrazione del miracolo non corrisponde a una visione propriamente miracolistica dell’universo, ma costituisce spesso il tramite di una sua razionalizzazione che si esplica a più livelli e si incrocia coi significati più vari. Mentre si richiama il mirum, lo si rende vicino, quasi famigliare e accettabile a chiunque, anche a chi nei confronti del miracoloso nutra resistenze e sospetti.
Il moltiplicarsi di eventi miracolosi, descritti e narrati fin nei più piccoli particolari, meticolosamente sondati e scandagliati, consente a Ovidio di “normalizzare” e razionalizzare la trasformazione (metamorfosi), sia che essa avvenga nel mito, sia che essa si faccia storia, passata o recente, geograficamente lontana o prossima.
Da una parte la ricerca del mirum è incessante, dall’altra si cerca di attenuare, semplificare la sua natura di portento.
Aggiunge Nicola Gardini:
Virgilio è teatro, opera lirica […]; è un quadro complesso che la cornice del boccascena contiene. Ovidio, invece, è film, una cosa alla volta, una posa alla volta; svolgersi del fenomeno, avvenimento che si compie per gradi, fotogramma per fotogramma. In lui la narrazione prevale sul dramma.
[Le Metamorfosi sono] un racconto tragico, dove, metamorfizzandosi la narrazione stessa senza posa e il passaggio da un racconto all’altro avvenendo spesso per imbuti sottilissimi, si discorre del caos che minaccia la vita fin dalle cellule più interne; dell’assurdo che si fa realtà; della disintegrazione del sé; della sempre incipiente differenza.
Claudio Carini prosegue, tramite la casa editrice Recitar Leggendo, la sua inesausta esplorazione dei classici della letteratura riproposti in audiolibro: i classici, per Carini, sono come amici fidati che non ti lasciano mai solo e nei quali puoi sempre trovare rifugio. In questo senso, la devozione di Carini non soltanto ai grandi nomi ma pure a testi che, a dispetto della loro caratura, oggi sono ingiustamente di nicchia, commuove nel profondo chi ne condivide gli intenti.
Prima di affrontare la lettura integrale ad alta voce delle Metamorfosi, Carini le ha tradotte in prosa senza far per questo torto alla qualità intrinseca della scrittura in versi originale. Fin dai primi minuti di audizione ci si rende conto della distanza siderale che separa la grande letteratura di oggi da quella di duemila anni fa: ci si può anche scoraggiare, in principio, di fronte a uno stile così raffinato e a un periodare tanto articolato e retoricamente innervato, che per essere agevolmente seguito richiede un minimo di apprendistato. Tuttavia, se si contrasta questo iniziale smarrimento e ci si mette devotamente in ascolto facendo innanzitutto atto di umiltà, Le Metamorfosi ripagano largamente le aspettative e ne generano financo di nuove e inimmaginate: perché il capolavoro di Ovidio è anche – ma non solo – un viaggio lungo il viale alberato della ricomposizione di noi stessi. Così Le Metamorfosi rivelano tutta la loro “sconveniente” attualità, fino a sembrare paradossalmente fuori dal (nostro) tempo: almeno finché ci saranno uomini vivi in cerca di un punto cui sottomettersi sotto questa volta celeste apparentemente senza amore.
Le storie di trasformazione narrate nelle Metamorfosi abbracciano un’ampia casistica, fra cui ricorrono con una certa frequenza le storie d’amore, talvolta duramente contrastate e “impossibili”, ma in qualche caso anche di diversa matrice.
Al primo tipo va ascritta certamente la vicenda di Piramo e Tisbe, rievocata nel Libro IV, basata su una fonte di derivazione orientale. Una storia d’amore finisce male a causa di un tragico malinteso. Piramo e Tisbe si amano contro la volontà dei genitori e riescono a parlarsi solo attraverso una fenditura nel muro delle loro case contermini; non resistono e fuggono per ritrovarsi insieme in un luogo isolato; qualcosa però va storto ed entrambi periscono inondando del loro sangue la terra e le radici di una pianta di gelso che, da allora, terrà viva la memoria degli sventurati nel colore dei suoi frutti.
Carini coglie appieno la solennità della risoluzione – estrema, loro malgrado – dei due giovani che decidono di ribellarsi al divieto dei genitori e si danno alla fuga; nel contempo, tuttavia, si compie così un passaggio all’età adulta, il superamento della “linea d’ombra” di cui parlava Joseph Conrad nell’omonimo romanzo, troppo repentino per mettere gli amanti al riparo dall’errore che, puntualmente, accade nella febbrile attesa del compimento.
Riferendosi a Tisbe, Ovidio scrive che “amore la rendeva coraggiosa”: e qui Carini sottolinea l’impennata ottimistica che pervade la fanciulla una volta avuto l’ardire di uscire di casa in accordo col compagno che la seguirà di lì a breve. Ma subito si dipana la trappola insidiosa. “Quand’ecco che una leonessa, con le fauci sporche di sangue per la strage di buoi, venne a dissetarsi proprio nella fonte vicina”: con queste parole Ovidio segna il passaggio dal coraggio alla paura, e Carini lo ricalca sottovento. Anche un sussurro si può increspare, con enfasi appena sbozzata: e le dolenti figure dei protagonisti si stagliano nella loro esemplarità, mentre Carini le aiuta a rialzarsi.
Non solo amori contrastati popolano Le Metamorfosi; ve ne sono anche di semplici e agresti, come quello che lega Filemone e Bauci nel Libro VIII. Due vecchi e poveri coniugi, mirabili per dignità e fedeltà, accolgono con naturalezza e semplicità nella loro parca dimora Giove e Mercurio travestiti da viandanti; i vicini di casa non si dimostrano altrettanto ospitali e patiscono, per decreto divino, una crudele punizione. Filemone e Bauci, invece, vengono ricompensati: la loro casa viene tramutata in un tempio e loro ne diventano i sacerdoti, fino all’ultimo giorno della loro lunga vita in cui ottengono dagli dei il privilegio di morire insieme e di trasformarsi in alberi sacri.
Nella sua interpretazione, Carini si sofferma sul calore domestico che si fa risonanza fragrante, interiore ed esteriore, di due anime pie che si amano devotamente fino alla dolcissima fine ineluttabile, benedetta dagli dei, all’unisono.
Ovidio
Le Metamorfosi
Lettura integrale interpretata da Claudio Carini
Recitar Leggendo, Perugia 2015 – www.recitarleggendo.com
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