Letteratura

L’Avversario, la terribile storia di Jean-Claude Romand

28 Novembre 2019

Ho iniziato a leggere L’Avversario di Emmanuel Carrère dopo La Settimana Bianca, pronto ad affrontare un’altra non fiction novel in cui cronaca, eventi e lettere private formano un unico testo da cui è difficile staccarsi, rimanendo intrappolati.

Il tema per il libro è un fatto avvenuto realmente in Francia: Jean-Claude Romand si macchia dell’omicidio di moglie, figli e genitori. Perché?

Carrère ripercorre tutta la vicenda analizzando dettagliatamente il profilo del protagonista, partendo dalla fine. Romand era un irrefrenabile bugiardo, ha giocato con la sua vita e con quella di chi gli stava attorno, mentendo senza alcun ritegno. La sua faccia, quella che si era creato, era quella di un medico che lavorava presso l’OMS di Ginevra ma in realtà lui non aveva conseguito alcuna laurea e faceva finta di spostarsi in luoghi diversi della Francia, passando in albergo le sue giornate, anziché nei millantati convegni e riunioni.

Nessuno si è mai accorto del suo terribile gioco, anzi, in molti credevano ciecamente nelle sue doti di medico e anche di affarista, cosicché Romand si è trovato anche a gestire un bel po’ di soldi per conto di familiari, denaro che doveva essere investito in fondi particolarmente vantaggiosi e che invece serviva per condurre una vita ben più che soddisfacente. Nessuno sapeva di ospitare tra le proprie mura domestiche “il male in persona”. La sua era una famiglia felice, con casa di proprietà e una bella auto. Col passare del tempo era spuntata anche un’amante con cui Romand passava diverso tempo, a cui faceva regali costosi e a cui aveva ovviamente prospettato ottimi ricavi nel caso in cui lei gli avesse messo in mano i propri risparmi.

Sono stati 18 anni vissuti pericolosamente, da quando mancò di presentarsi agli esami del secondo anno di medicina, iniziando a mentire per poter continuare a far vivere ciò che aveva creato dentro di sé, un qualcosa di indicibile e terrificante, l‘Avversario, il Diavolo. E poi la malattia inventata per poter ancora spendere soldi suscitando oltretutto compatimento in tutti coloro che lo conoscevano. Tutto era finto, costruito, irreale, ma Romand doveva farlo sembrare vero, doveva incastrare ogni singola tessera in modo che nessuno si accorgesse delle sue bugie.

Emmanuel Carrère

In un certo senso furono le enormi perdite di denaro a portarlo a compiere gli ultimi atti, con una freddezza tipica di un killer che uccide per mestiere. Romand prende un fucile e stermina la propria famiglia, i genitori, i figli, tenta persino di strangolare l’amante e poi, invano, tenta il suicidio dopo aver dato fuoco alla casa. Le fiamme non lo salveranno dal giudizio degli uomini.

Quello che era passabile per un incidente fu ben presto trasformato in qualcosa di più incredibile, Romand spiegò la propria “verità” e confessò di avere ucciso tutti per un raptus di follia, fu costretto ad affrontare un processo, e gli fu comminato l’ergastolo.

Carrère si appropria dell’onere di ricostruire tutto l’accaduto, è presente al processo, intrattiene anche una corrispondenza con Romand, e più scava nell’abisso psicologico di un killer abituato a mentire più rimane esterrefatto da tutta quella porzione di vita immaginaria che il protagonista era riuscito a creare. Un continuo inventare e raccontare bugie, a tutti, riuscendo a fingere di spostarsi, prendere aerei, portare regali, inventarsi riunioni e convegni immaginari, facendo persino finta di amare ancora una donna e di vivere per la famiglia quando in fondo il suo unico scopo era quello di non essere scoperto.

In questo senso, l’Avversario, diventa un gioco mortale contro se stesso, contro la propria coscienza che finisce per avere un campo di esistenza enorme e con tanti personaggi reali costretti a diventare attori in una mente folle e disturbata che si è messa a giocare contro il proprio disagio, diventando mortifera.

È impossibile non rimanere affascinati dal modo in cui Carrère racconta la storia, lo fa in una sorta di scrittura a getto di inchiostro, in cui pensieri, atti processuali, biglietti e cronaca diventano “una storia vera”, sublimando pensieri, parole e opere di 18 anni, bugie, omissioni e invenzioni che, messe per iscritto, diventano materiale su cui poter riflettere da diversi punti di vista, letterario, critico, psicologico, e soprattutto umano.

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