Letteratura
La poesia, lente d’ingradimento sulle emozioni
Di corsa, affannati, prima che il negozio chiuda e che il nostro ultimo bisogno possa essere soddisfatto. Poi c’è la casa a cui badare, la cena da preparare, i figli da accudire. Un quadro di vita familiare che descrive la nostra quotidianità. E il tempo di una pausa, il tempo del ristoro, quello della parola declamata, cantata, recitata, dov’ è quel tempo? É un tempo la cui mancanza ci rende automi perché costretti a ripetere azioni meccaniche. L’anima umana, invece, richiede bellezza, quella bellezza che descrive la fragilità umana, un luogo dove il prendersi cura non ha nulla a che fare con l’ inventario dei prodotti di consumo. Un luogo in cui essere se stessi ci porta lontani da ciò che è superfluo.
Quel luogo è la poesia. Nel rivendicare la propria libertà, si espande, scappa dalle pagine dei libri per fermarsi ovunque: scritta su bacheche di facebook, sui diari dei ragazzi, sulle mura della città, negli stati di whatsapp. Forse perché in un mondo dove tutto è troppo visto e sovraesposto, c’è bisogno di riservare uno spazio al mondo interiore per emozionarsi ancora.
Scrivere poesie non è una questione di scelta. Spesso non si è in grado di fermare la propria mente e la propria mano, mettere su carta una sensazione che è difficile da esprimere, ma che ha bisogno di uscire fuori, diventa una necessità. La poesia è capace di esprimere con il linguaggio qualcosa di più grande di una lingua, una emozione che ha provocato un’ estasi o un angoscia che ci ha sopraffatto. Consente di catturare sensazioni e di conoscerle più a fondo, di diluire un dolore o prolungarne un piacere. É profonda introspezione, ma è anche un tentativo di connettersi con gli altri.
Chi legge versi si trova di fronte a temi eterni dove il riflettere a volte coincide col riflettersi, dove trovare modi nuovi di raccontare per ritornare a stupirsi. Se da un lato la poesia si regge sull’architrave della singolarità, dall’altro mira incessantemente all’azzeramento delle linee di margine fra il sé e l’ altro da sé.
La poesia non emargina, accoglie, non frammenta, unisce; è terra e mare e non confine e bandiera, genti e uomini e non popoli e nazioni, migrazioni e mutazioni, non fili spinati.
Non è diniego di parole ma, contrariamente al monito montaliano, possiede il potere della parola sommessa e non del tutto spiegata. Ė nelle sue pieghe che la parola si fa senso, che diventa pregna di significato. A queste condizioni la poesia assume un valore universale, specchio dell’animo di ciascuno, varco verso l’altro.
A tal proposito, le poesie di Chandra Livia Candiani, che colgono il rischio della contemporaneità ovvero l’entrata in crisi del rapporto dell’uomo con il mondo e con l’altro, si rivolgono spesso a un tu variabile che somiglia molto a un noi creaturale che accomuna dèi, uomini e cose in una sorta di fratellanza universale. Una focalizzazione in cui l’insistenza sul pronome è più invocazione che individuazione. Livia Candiani afferma di non aver mai abbandonato l’ infanzia “non come età, ma come luogo e modo di conoscenza del mondo e di se stessi, come attrazione inevitabile per il gioco”.
La poesia, perciò, necessita di un periodo di gestazione solitario, ma diventa poi un bene pubblico, da condividere come il vino, il pane, come la gioia.
Fortunatamente ci si rallegra al pensiero di non essere soli al mondo, c’è una parentela tra anime sensibili che quando si incontrano, si riconoscono. Sono all’ avamposto di un’ ondata che dilaga da molto lontano e che le proietta verso un momento eternamente presente. Hanno il cuore sufficientemente ampio per commuoversi di tale fraternità e sono pronti a scoprire la loro vita nella forma più pura attraverso fremiti, dolori, vibrazioni emotive.
É quanto accaduto al Jam Poetry: Reading intorno al modo, un incontro poetico organizzato dalla Rivista Letteraria “Mosse di Seppia” che, al Riot Studio nel cuore di Napoli, ha offerto la possibilità a poeti ed amanti della poesia di leggere i propri componimenti, editi e non. Jam Poetry è la formula prediletta da Mosse di Seppia per l’organizzazione delle sue manifestazioni poetiche. Ispirata al concept della jam dei musicisti, l’ obiettivo è quello di uno scambio attraverso il confronto tra varie forme d’ arte e le diverse sensibilità di cui sono espressione. Bruno Urgo e Rosemary Cresta, ispirandosi ai versi dei redattori, hanno contribuito all’esigenza di un dialogo tra le arti che anima il progetto di “Mosse di Seppia”, mentre la chitarra classica di Eleonora Perretta ha concorso ad allietare il pubblico.
“Mosse di seppia” è un’ audace e brillante intuizione nata per divulgare, e riportare in auge, il genere letterario dei componimenti in versi in modo fruibile ed originale attraverso la pubblicazione cartacea di numeri bimestrali dalle variopinte copertine dal richiamo fumettistico. Ė formata da un gruppo di giovani autori e addetti ai lavori, un gruppo di circa 20 persone, tutte under 35. Una realtà completamente autonoma ed autofinanziata il cui lavoro è frutto interamente di passione e di sforzi e ciò li inorgoglisce ancor di più. “L’idea è sempre stata quella di produrre qualcosa di tangibile, per questo abbiamo optato per una versione cartacea della rivista, perché oltre a definirci tale a noi piace considerarci anche un vero e proprio laboratorio editoriale” dice Lisa Davide, cofondatrice del progetto.
La Rivista Letteraria Mosse di Seppia comincia il 2013 con un carico significativo di esperienza e collaborazioni: tra le tante, quelle con il “Teatro il Pozzo e il Pendolo”, la bottega “’O quatt”e Maggio” e l’associazione “Storie di Napoli”.
L’incontro periodico con i lettori esprime pienamente la filosofia della rivista perché il gruppo è animato dallo scopo di restituire alla letteratura luoghi fisici di confronto: non solo librerie, ma anche pub, bar, teatri, botteghe.
Oltre al chiaro riferimento montaliano, “il nome, usa il gioco di rimandi attraverso le parole per esprimere leggerezza”, ci suggerisce Lisa. “La cosa interessante è rappresentata però anche dal fatto che ognuno può dare una interpretazione diversa di questo titolo: la seppia potrebbe richiamare anche la figura del polpo nella mitologia greca e potrebbe essere reinterpretata magari in chiave metaforica”. La seppia, è simbolo di mobilità, di itineranza, come la poesia che ha delle regole, ma si muove e si evolve.
“Mosse di seppia”, conclude Lisa, “è una comunità di anime che si impegnano a resistere ed esistere nel proprio mondo, ma il cui spirito unico e collettivo non si sottrae al mutamento, recita, anzi, il mantra: “cambiare, cambiare, cambiare”.
In un mondo dall’aspetto poco invitante, in cui bisogna essere sempre al passo della corrente insidiosa, ci si interroga se ha ancora senso parlare oggi di poesia. Personalmente credo che non siano solo le competenze tecniche a dover essere aggiornate, non solo la formazione finalizzata al lavoro a dover essere continua, oggi più che mai, anzi, la poesia assume un ruolo centrale volto a consentire all’uomo di riappropriarsi della sua dimensione spirituale e creativa.
In tal senso, la poesia è sentiero in discesa in compagnia di un bastone, un po’ storto (come le sillabe montaliane) di ciliegio che qualcuno aveva scortecciato col coltello meno un segmento in alto all’impugnatura. La poesia racconta l’imperfezione che accomuna ogni essere umano, è tensione continua tra la quiete di un albero e aspirazione al cielo.
La poesia è corpo errante, non ha una meta, né guadagnato traguardo, non chiede la ragione e il senso dell’esistenza, non invoca una plausibile motivazione logica. É come la rosa che in quanto rosa non si chiede il perché della sua breve vita, o perché la sua bellezza duri così poco, né tanto meno perché sparge intorno il suo profumo. Una rosa semplicemente è. Ė espressione manifesta.
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