Letteratura

George Steiner e la critica marxista di György Lukács

29 Febbraio 2016

Lo so che ai giovani lettori di oggi non importerà granché di Lukács, ma questo marxista ungherese di lingua tedesca era  una lettura obbligata di noi giovani degli anni ’70 e  gli amici intellettuali sessantottini ci scassavano gli zebedei se non la facevamo. C’era la dittatura intellettuale della sinistra in quegli anni, è vero, ma meglio quella che sentir lallare  in tivù Andrea Scanzi e di contro, disperati,  urlacchiare mezzi nudi come Laura Antonelli “Dio mio come siamo caduti in basso”.  E perciò in quegli anni, per non trovarci sguarniti, anche con le ragazze, ci siamo fiondati non sui corsi di sommelier o di assaggiatore di formaggi, ma sui  libri di Lukács  accidenti, e ne abbiamo tratto diletto e insegnamento anche se non concordavamo per nulla con il suo marxismo perché nel frattempo era intervenuto Lucio Colletti che aveva dato una bella mazzata al presupposto (ma solo  supposto, mai dimostrato)  “programma scientifico”  di Marx, tarlato invece di  materialismo dialettico hegeliano scrauso  ed eravamo vaccinati verso il suo approccio.

Ora, ho passato questo  week end in compagnia dei mirabili saggi giovanili di George Steiner contenuti in “Linguaggio e silenzio” e il vecchio “cane morto” Lukács (ma nel momento in cui Steiner scriveva ancora vivo e vegeto) vi è costantemente citato e omaggiato anche se Steiner è quel fine intellettuale che i suoi conti con il marxismo li aveva in gran parte già fatti o li farà  (vedete il suo “Correttore”, dove prende di mira non solo Sebastiano Timpanaro, ma la di lui dottrina di marxista rivoluzionario vieux jeu , seppur passata nelle acque, tutte sue, del leopardismo).

Scrive Steiner di Lukács che costui è ” l’unico grande talento critico che sia emerso dal grigio servaggio del mondo marxista” ma anche  che  “la sua originalità e la sua ampiezza di riferimenti sono evidenti. Essa illustra l’esercizio essenziale di Lukács : lo studio attento del testo letterario alla luce dei problemi politici e filosofici di vasta portata”. Hai detto paglia, caro Steiner. Eppure se leggete i critici di oggi solo in Alfonso  Berardinelli troverete qualcosa di simile. Perché da un lato troverete i bellettristi e gli ebanisti (lucidatori di vecchi legni letterati) dall’altra i critici in carriera accademica. Certo qui ci sono pezzi pregiati come Massimo Onofri, ma di ciò un’altra volta.  L’idea che si possa fare critica letteraria raccordata a quella delle idee, con l’ampiezza e il vigore di Lukács,  mi sembra abbastanza negletta oggi. Quindi rimettere in circolazione il vecchio Lukács  torna, solo per soddisfare questo approccio e al netto del suo pesante ideologismo, assolutamente necessario.

Continuo per il vostro diletto con le suggestioni di Steiner. “Le indagini di Lukács  attingono a un campo straordinario di documentazione. Egli dà l’impressione di possedere tutta la letteratura europea moderna e tutta la letteratura russa. Questo consente una rara combinazione di robusta esattezza filosofica e di ampiezza di visione. Per contrasto, Leavis, che non è meno moralista né lettore meno attento di Lukács,  è cautamente provinciale. In fatto di universalità l’equivalente di Lukács  sarebbe Edmund Wilson”. Come non concordare?! Steiner aggiunge: “ Ma la medaglia ha un  suo rovescio. La critica di Lukács  ha la sua parte di cecità e di ingiustizia. A volte scrive con oscurità astiosa quasi ad affermare che lo studio della letteratura non dovrebbe essere un piacere ma una disciplina e una scienza, difficile da accostare come le altre scienze”.   Privo di questa splendida chiarezza di Steiner si parva licet avevo sottolineato a proposito della lettura lukacciana dell’ “Educazione sentimentale”,  contenuta in “Teoria del romanzo”, questa tedescheria filosofica che spesso appesantisce il suo testo e che potrebbe far scappare  a gambe levate i giovani che si accostassero a lui.

Ma procediamo nello spoglio.

“Come tutti i critici, anch’egli ha le sue avversioni particolari. Lukács  detesta Nietzsche ed è insensibile al genio di Dostoevskij. Ma essendo un marxista coerente, fa della cecità una virtù e attribuisce alle sue condanne una valore oggettivo e sistematico. (…) Le argomentazioni di Lukács  sono ad hominem. Infuriato dalla visione del mondo di Nietzsche e di Kierkegaard, egli ne consegna le persone e le fatiche all’inferno spirituale del prefascismo. Questa, naturalmente, è un’interpretazione erronea e grottesca dei fatti”.

Concludo con un passo davvero scintillante.

“ Di recente (Steiner scrive negli anni  ’50-’60, ha poco più di trent’anni), questi difetti di visione si sono fatti più drastici. “La distruzione della ragione” e i saggi di estetica apparsi da allora, ne sono guastati. Senza dubbio, vi è un problema di età. Lukács aveva settant’anni nel 1955 e i suoi odi si sono irrigiditi. Vi è in parte il fatto che Lukács  è ossessionato dalla rovina della civiltà della Germania e dell’Europa occidentale. Va a caccia dei colpevoli da consegnare al Giudizio Finale della storia. Ma vi è soprattutto, a pare mio, un intenso dramma personale. All’inizio della sua brillante carriera, Lukács  strinse un patto con il demone della necessità storica. Il diavolo gli promise il segreto della verità oggettiva. Gli diede il potere di impartire benedizioni e pronunciare condanne in nome della rivoluzione e delle leggi della storia. Ma dal ritorno di Lukács  dall’esilio, il diavolo è rimasto in agguato nei dintorni, chiedendo il proprio onorario. Nell’ottobre del 1956, ha picchiato con forza alla porta”.

Cosa aggiungere a questo splendido brano? Che si esce dalla lettura di Steiner come Nietzsche quando dopo aver letto gli “Essai” di Montaigne  annotò che si era sentito “crescere una terza gamba”!.

 

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