Letteratura

Una domenica con David Foster Wallace

9 Febbraio 2015

Sarebbe stata una domenica su Hegel e il potere, su Hegel e la guerra e lo Stato, se Cecilia non mi avesse chiesto insistentemente di svegliarmi per andare con lei a fare colazione fuori. Poi mi saluta, scappa al lavoro di fretta e io rimango ancora un po’ in pasticceria sfogliando il Corriere della Sera, con la nausea di chi si nutre da mesi di soli quotidiani, politica e saggistica.

Mi dirigo verso casa pensando a Hegel e al fatto che è solo nello Stato che l’uomo trova la sua libertà, il resto è astrazione. Arrivo al portone ma mi accorgo di non avere le chiavi. Penso “Cecilia mi ha svegliato di fretta e io sono uscito senza”. Infastidito per il tempo che perderò la raggiungo nella libreria dove lavora. Lei sorride appena mi vede, io imbronciato, lei “dai ti regalo il libro che vuoi…”. La sua collega mi consiglia Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace.

Ho subito pensato che non sarebbe stata una cattiva idea farsi ritrasportare dalla narrazione, di domenica. Trasportare da Wallace su di una crociera di lusso (Nadir) nel Mar dei Caraibi, viaggio che la rivista Harper’s gli commissionò nel 1995.

“La felicità a portata di mano, il relax diventa la vostra seconda natura, lo stress è solo uno sbiadito ricordo”

Questo il compito e la funzione della Nadir e del suo equipaggio gentile e premuroso a tutti costi, aiutanti kafkiani di uno zelo dilemmatico. Un’atmosfera dolciastra e zuccherosa, a tratti surreale. Ci sono asciugamani a volontà in camera, che non servono, asciugamani a tappezzare il ponte riservato alla piscina con l’equipe pronta a cambiarli non appena ci si alzi dalla sdraio. Atmosfera sintomo di un grande vuoto esistenziale che Wallace tratteggia, da maestro di stile quale è, attraverso ironia pungente e sarcastica: descrivendo ad esempio un ragazzino acerbo ma con il parrucchino, oppure un uomo che filma istericamente ogni cosa – presenze alienate che però incarnano la disperazione della società e dello stesso Wallace.

Questo ambiente artificiale, quello delle crociere di lusso – sono circa venti le compagnie che nel ’95 navigano i caraibi – presenta un chiaro sentore di illusorio trionfo sulla morte e sulla decadenza. La moto nave Nadir, mostruosamente grande, è sempre pulitissima e priva di imperfezioni – nel momento in cui Wallace vede una macchia o qualcosa di simile su di un ascensore di vetro, ecco che arriva l’omino pronto a lucidare. Lo stesso succede alla sua cabina – e così i suoi passeggeri, attenti alla dieta e all’attività fisica. Dalla fatica del lavoro nella vita reale, alla fatica del divertimento in vacanza. L’attività quotidiana è iper-programmata tra animazione ed escursioni, discoteche e buffet a tutte le ore. Lo aveva detto qualcuno, che la ragion di stato si fonda sulla paura della morte.

Intanto Wallace è agorafobico e non mette mai piede sulla terra ferma durante le escursioni (sulla nave rimangono lui e l’uomo che filma, ma non scambiano mai una parola) perché si sente imbarazzato dallo stare in fila come un imbecille per farsi traghettare a terra. Passa gli ultimi due giorni di crociera senza uscire dalla cabina 1009 usufruendo del servizio in camera. Alla fine parla di “una settimana di Assolutamente Niente”.

Ecco che tornano alla luce le contraddizioni della società dei consumi. Sembra di ascoltare il giusto godimento prescritto in psicanalisi o l’esortazione alla Happiness di adorniana memoria la quale, in questo caso ancora più fortemente, ci ricorda il “padre furente che tuona contro i figlioletti perché non gli corrono incontro festosi per le scale quando torna di cattivo umore dall’ufficio”.

Ma forse è passato un po’ di tempo, sono vent’anni giusti, e qualcosa è cambiato.

Una cosa divertente che non farò mai più è del ’95 e la società del consumo viveva ancora il suo pieno vigore. Nel frattempo il mondo si è ancor più globalizzato, sono avvenuti cambiamenti culturali importanti e non ultima la crisi economica. Se quello in cui vivo è il mondo reale e non un suo surrogato, questi grandi cambiamenti hanno limitato gli eccessi di comodismo e la ricreazione morbosa di luoghi uterini in cui soddisfarsi fino ad essere nuovamente insoddisfatti. Mi pare che le nuove generazioni, più istruite e meno lesse, non facciano crociere e nemmeno le vogliano fare. Non credo che i giovani di oggi abbiano quest’idea di vacanza. Si viaggia molto, con più facilità e per scopi diversi.

I millenials non vogliono stare sul ponte di una nave a guardarsi l’ombelico con un cocktail in mano ma vogliono vivere i luoghi e le culture (o almeno credono), vogliono fare esperienza e diventare cittadini del mondo, “fare figli di tutte le razze” per dirla con Mastroianni in una frase de La dolce vita.

La crociera appartiene ad un’altra generazione, quella del boom economico, degli status da mostrare, dell’ignoranza culturale e della fame di beni di consumo.

La mia ultima volta è stata per un breve tratto, da Bergen a Trondheim in una notte di passaggio ponte. In quell’occasione eravamo tre amici, tagliavamo il salmone con l’Opinel sui tavolini lussuosi della sala centrale, facevamo la barba nei bagni comuni e l’idromassaggio per bisogno di lavarci; gli anziani ed eleganti signori ci guardavano con sorpresa.

Oltre che millenials siamo anche la generazione mille euro (ad arrivarci) e dunque non ci verrebbe mai in mente di spenderli tutti per una settimana di, come diceva Wallace già vent’anni fa, “Assolutamente Niente”.

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