Chiara Valerio – Chi dice e chi tace – Finalisti Premio Strega 2024

:
24 Giugno 2024

Chiara Valerio – Chi dice e chi tace – Sellerio Editore, 2024.

Per entrare con profitto in questa narrazione occorre aver doppiato almeno il primo decimo della foliazione, 20-30 pagine, ove la voce narrante, che è quella di Lea Russo, si distende e comincia ad avere toni e modi di una certa affabulazione sensata e soprattutto redazionalmente coordinata. Non dico accudita, perché credo che una certa scapigliatura sia la scelta espressiva di fondo di questo romanzo, una prosa scodificata che tende però a creare il proprio codice, crediamo riuscendoci alla fine.

Prima di quel momento è tutto un vociare e dire con poco senso o con nostra incapacità a coglierne il giro del fumo: i personaggi vengono scagliati giù, deietti, in medias res nel testo come gli uomini nella filosofia di Heidegger (Geworfenheit) senza particolare indicazione di impaesamento nella vicenda che si intraprende a narrare, alla speraindio, chi capisce capisce, chi no, si arrangi; i dialoghi non sono delimitati da segni convenzionali (due punti, virgolette, troppo semplice?, ma  non siamo a questo sembra dire il testo di rimando, ti metto il dialogato in fila con il capoverso rientrante, botta&risposta dei parlanti, ed eludo così la scocciatura dei verbi che accompagnano il parlato dei dialoghi di solito nei romanzi, quei fastidiosi  e frusti “disse”, “rispose”, “commentò”, “obiettò” ecc); inoltre la voce narrante sembra una che stia parlando con se stessa senza particolare cura di essere compresa, come cadendo, per giunta, dalla tromba delle scale.

Ecco, quando si sta per mollare il testo al suo destino, e cioè estrometterlo di scatto con un lancio stizzito  dai confini dell’io, ecco che la zuppa di pesce comincia a trasformarsi pian piano in un acquario,  lentamente certo, e si comincia a comprendere l’intelaiatura del testo. Fino a questo punto s’era capito solo che siamo a Scauri un paesotto tirato su da geometri con “una grazia incongrua”, nella costa meridionale del Lazio, che una torma di personaggi vi si agita disordinatamente e che una certa Vittoria, bella 64enne,  laureata in medicina, ma impiegata in una farmacia, convivente sospetta con Mara una molto più giovane donna, forte giocatrice a carte, e ricca di tante altre doti,  è morta annegata nella vasca da bagno. Possibile? Da qui si innesca la detective story per iniziativa di Lea Russo, che Vittoria prima di morire tramite il parroco don Michele ha nominato affidataria del testamento.

C’è questa morte strana di Vittoria che non convince la voce narrante, l’avvocato Lea Russo, si diceva, alle prese con una causa di piccolo conto (una lite tra ragazzi) e su quell’evento ferale si innesca l’intreccio “di risoluzione”, ossia il plot finalistico che deve risolvere un enigma.  A fianco di questo intreccio si innesta quello “di rivelazione”, un mondo osservato nei caratteri delle singole persone, a partire da quello di Lea innanzitutto, del marito Luigi fisico e comunista, delle figlie, e di tante altre tratteggiate con scioltezza e precisione. È inevitabile che i due tipi di intreccio vadano a intersecarsi e sovrapporsi. Succede talvolta che il colore locale, lo sfondo, venga in primo piano e si imponga. Venga cioè fuori l’anima di un luogo coi suoi tipi e i suoi genius loci. È forse questo lo scopo ultimo a cui tende il romanzo, la coralità, perché la morte di Vittoria forse è connessa con la lite del ragazzi come si apprende a un certo punto dello sbobinamento del plot o forse no. Ma ciò accade in un quadro testuale non sempre nitido, come se la zuppa di pesce fosse rimasta tale in alcuni segmenti narrativi.

Il rapporto con i luoghi è centrale in quel gioco di eventi ed esistenti che è “il” romanzo in genere. «Vuoi essere universale? Parla del tuo villaggio» pare che abbia detto Tolstoj e «l’io è un avverbio di luogo» è stato anche osservato. E il fatto che il plot si incardini in questo rapporto eventi-esistenti-luogo è un atout in più di attrattiva per incentivare la lettura. A chi legge piace infatti scoprire luoghi nuovi da annettere  al proprio atlante letterario italiano (poco più su, ricordiamo per conto nostro, nella costa dell’alto Lazio  Dacia Maraini ha ambientato “Teresa la ladra”), sulla scia  anche del ricognitivo libro dei coniugi tedeschi Maurer “Guida letteraria dell’Italia” (Guanda 1993). Perché anche in questo testo si riesce a creare quella magia che esala dai luoghi, come già in quel pezzo di Sardegna della “Marianna Sirca” della Deledda, o nella Sicilia etnea di Verga che prima di essere assunti in letteratura erano dei non-luoghi senz’anima. Perché il luogo è una quinta essenziale anche nei cosiddetti intrecci di risoluzione chiamati “gialli”. Le “quinte”, gli sfondi – che siano le chiuse del Belgio o la città tentacolare dell’hard-boiled – sono consustanziali a questo genere di plot, come a tutti i plot che prendono in carico un pezzo di mondo in verità. Il “dove” è cogente come il cosa, il chi, il quando, il come, il perché nell’arte della narrazione in cui un luogo e una storia si saturano a vicenda.  Così qui Scauri coi suoi oleandri del lungomare («vecchi e ramificati, duri, le foglie paiono selve di lance durante le battaglie»…) gli stabilimenti balneari, la spiaggia dei Sassolini, le viuzze di “Costantinopoli”, le sue cartolerie e ferramenta, i suoi ragazzetti litigiosi, nella vicenda che ha in Vittoria, nella sua morte e sopratutto nella sua personale epopea e irraggiamento in quei luoghi ripercorsa a ritroso, è una quinta essenziale.

Eppure, ci è parso, l’ intenzione redazionale di mettere in tensione narrativa tutto il contesto resta talvolta  nelle pieghe e, in alcune punti morti del racconto, nella parte centrale soprattutto, come se fosse apposta, aggiunta dall’esterno, dalla volontà redazionale appunto, e che sia solo questa volontà a creare enigma e sintomatico mistero con un moto della mente redigente, che sembra restare  per così dire nella penna, e non fatta nascere dalla forza in sé della realtà circostante dipinta e narrata, non si sviluppi ossia per fatti concludenti, ma per continui richiami e suggestioni sollecitanti. Si ha talora la sensazione che non si “stringa”, che si anneghi il pesce. “Noyer le poisson” si dice in francese quando si indugia e tergiversa, il contorno sommerge il quadro, e prevale la “stampa” seppur non d’epoca o comunque di un’epoca defunta tra fine anni Ottanta e Novanta ci è parso di capire da alcuni cenni (vi si parla di lire,  ma, attese le pochissime  date fornite, il manifesto del film “Jurassik park” o la menzione  del programma tv “X-files”  ci informano che siamo esattamente nel 1993).

E però, e però,  quando, soprattutto nella stretta finale delle ultime decine di pagine, tutte le tessere vanno a posto e tutti i treni narrativi entrano in stazione, non si può dire che questa storia, narrata talvolta in maniera scucita tal’altra con consequenzialità logica e notevole presa narrativa (specie nell’ultimo quarto a cui occorre obbligatoriamente  giungere per stilare un giudizio), non abbia un suo fascino di coeso universo  narrativo e invero resiste agli ultimi dubbi di eccessive riserve mentali. Tout se tient:  il paese di Scauri, omphalos, che un po’ è diventato anche il nostro per la vividezza con cui viene evocato («a te che vai sempre a comprare la paste da Vezza o da Morelli, le mutande sempre da Ernesto Bruno, la pizza da Rusticone»), l’intelligenza non certo causidica, ma pungente, ironica, leggera, e anche raffinata di Lea Russo (che cercando il filo della vita di Vittoria trova anche il proprio), quella Lea, si diceva, che insieme alla figura potente dell’inseguita narrativamente e suggestivamente evocata Vittoria Basile, è uno dei doni di questo romanzo per il quale – tutte le proporzioni viste e i raffronti fatti e considerato ciò che passa il convento-,  non sarebbe un abuso il più ampio riconoscimento.

Addenda

All’atto dell’uscita di questa recensione sui  social s’è discusso sulla natura propagandistica della tematica lgbt+ secondo alcuni tema portante del romanzo e secondo chi scrive no. Ecco alcune note aggiuntive in tal senso.

1. La  tematica lgbtq+ è quasi inesistente, o appena accennata. Il paese, Scauri –  la sua comunità, i suoi toponimi con istanze poetiche per chi li ha vissuti, i suoi  volti,  le sue storie sepolte nel tempo – occupa più spazio di qualsiasi altra istanza, unitamente al tema della quête, della ricerca delle ragioni della morte di Vittoria e la presa di coscienza di Lea, mamma felice di due bambine, eterosessuale certa e appagata con marito speciale (Luigi, fisico e comunista),  e non prelude a un cambio di orientamento sessuale. Tra i due coniugi c’è un bellissimo dialogo a tal proposito, fra i più belli del romanzo, e il fatto che il dialogo prenda sempre la scena (a rischio di rallentare la fluidità del racconto) è indice della “dialogicità” non “univocità” dei temi dibattuti. Non è insomma un romanzo “a tesi”, ne sarebbe uscito ammazzato! Se c’è una rivendicazione è quella di ruolo (essere femmina e avvocato p.e.) non di sesso. Allego a tal proposito questo passo, che è una meditazione su Paola, la donna che aiuta Lea in casa:

<<La venerazione di Paola, che somigliava a Wanna Marchi, nei confronti di Luigi era ridicola. Non era per lui, era per il titolo. L’avevo sentita dire dal verduraio, o al supermercato, Al professore piace questo, Al professore non piace quest’altro, nonostante fossi io a pagarle lo stipendio e fossi stata io ad assumerla perché Luigi, tra la fisica e il partito, non aveva tempo. Dunque, quei sentimenti di rispetto non dipendevano dal mestiere, sarebbero stati gli stessi, o maggiori, se Luigi avesse fatto l’avvocato o il medico, ma dal sesso. Paola portava rispetto ai maschi e delle femmine, me compresa, non si fidava. Portatori di colpa e portatori di pene. Mi chiedevo se le mie figlie avrebbero dovuto crescere come io ero cresciuta, in un mondo che non solo accettava questo ordine di idee, ma lo riteneva immutabile.>>

2. Il romanzo non è proprio indimenticabile, una cosa da levare il fiato, ma c’è, ha una sua architettura ben precisa, i personaggi sono ben sbalzati, c’è amor di luogo e di persone di quel luogo, c’è levità e ironia, begli esempi di persone insediate positivamente nell’esistenza siano essi fisici, medici, preti, ricchioni (il termine è nel romanzo ed è detto da un ferroviere comunista emarginato sotto il fascismo) o lesbiche. Stanno tutti sulla stessa linea nel romanzo, e il punto di vista è assegnato a una donna completa, se si può dir così, madre felice di due bimbe, sposata con un tipo speciale qual è Luigi, insomma è un romanzo che sembra scritto dopo la battaglia dei diritti lgbtq+, après coup, non in rivendicazione di essi. Il personaggio principale è Lea non Vittoria, anche se Vittoria riceve dal testo un alone di leggenda. Ed è, salvo qualche sbavatura che ho cercato di evidenziare, scritto anche bene.

^^^^^^

Finalisti Premio Strega 2024

– Tommaso Giartosio – Autobiogrammatica
urly.it/3a8yy

– Antonella Lattanzi – Cose che non si raccontano urly.it/3_y7d

– Antonella Di Pietrantonio – L’età fragile urly.it/3abqq

–  Dario Voltolini – Invernaleurly.it/3agyq

– Paolo Di Paolo- Romanzo senza umani urly.it/3am9y

– Chiara Valerio – Chi dice e chi tace urly.it/3as4d

 

TAG: Chi dice e chi tace, Chiara Valerio, Premio Strega 2024, Scauri
CAT: Letteratura

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...