Letteratura

Al di qua del fiume. Il sogno della famiglia Crespi

13 Maggio 2023

Alessandra Selmi è una scrittrice ed editor. Nata a Monza vive e lavora a Milano.

Ha collaborato come editor con diverse case editrici ed e` titolare dell’agenzia letteraria Lorem Ipsum, dove si occupa di scouting ed editing. Insegna Scrittura editoriale nell’ambito dei master dell’Universita` Cattolica di Milano.

E’ autrice di diversi testi, E così vuoi lavorare nell’editoria. I dolori di un giovane editor (Editrice Bibliografica, 2014)Come pubblicare un giallo senza ammazzare l’editore (Editrice Bibliografica 2016). La terza (e ultima) vita di Aiace Pardon è il suo primo romanzo, edito da Baldini e Castoldi nel 2015, cui è seguito Le origini del potere. La saga di Giulio II, il papa guerriero (2020) per Editrice Nord.

Nel 2022 pubblica per i tipi di Editrice Nord il romanzo storico “Al di qua del fiume. Il sogno della famiglia Crespi”.

Prima di parlarne con l’Autrice vi propongo un breve presentazione del romanzo.


“È solo un triangolo di terra delimitato dal fiume Adda, lo si può abbracciare con uno sguardo. Ma, nel 1877, agli occhi di Cristoforo Crespi rappresenta il futuro. Lui, figlio di un tengitt, di un tintore, lì farà sorgere un cotonificio all’avanguardia e, soprattutto, un villaggio per gli operai come mai si è visto in Italia, con la sua chiesa, la sua scuola, case accoglienti con giardino. 

Si giocherà tutto quello che ha, Cristoforo, per realizzare quel sogno. I soldi, la reputazione e anche il rapporto col fratello Benigno, ammaliato dalle sirene della nobiltà di Milano e dal prestigio di possedere un giornale. Per Cristoforo, invece, ciò che conta è produrre qualcosa di concreto e cambiare in meglio la vita dei suoi operai. 

E la vita della giovane Emilia cambia il giorno in cui si trasferisce nel nuovo villaggio. Figlia di uno dei più fedeli operai dei Crespi, e con una madre tormentata da cupe premonizioni del futuro, Emilia è spettatrice della creazione di un mondo autosufficiente al di qua del fiume, e la sua esistenza, nel corso degli anni, si legherà ineluttabilmente a quella degli altri abitanti di Crespi d’Adda. Come la famiglia Malberti, l’anima nera del villaggio, o gli Agazzi, idealisti e ribelli. Con loro, Emilia vive i piccoli e grandi stravolgimenti di quel microcosmo e affronta le tempeste della Storia: i moti per il pane del 1898, la prima guerra mondiale, le sollevazioni operaie… 

Tuttavia il destino farà incrociare la sua strada anche con quella di Silvio Crespi, erede dell’azienda e della visione del padre Cristoforo. Nonostante l’abisso sociale che li divide, tra i due s’instaura un rapporto speciale che resisterà nel tempo, e sarà Emilia il sostegno di Silvio nel momento in cui i Crespi – forse diventati troppo ricchi, troppo orgogliosi, troppo arroganti – rischieranno di perdere tutto. Fino all’avvento del fascismo, quando il villaggio Crespi, come il resto del Paese, non sarà più lo stesso”.

Per quale motivo ha deciso di scrivere un romanzo storico? E’ un genere letterario particolarmente impegnativo, lascia poco spazio all’improvvisazione, richiede solide basi e conoscenze approfondite del periodo preso in considerazione. Una bella sfida.

Questo libro non è il primo romanzo storico che ho scritto, nel 2020 sempre per la Editrice Nord uscì “Le origini del potere. La saga di Giulio II, il papa guerriero” nel quale raccontavo la vita di Giuliano della Rovere, asceso al soglio pontificio con il nome di Giulio II, il “Papa terribile”, il Papa di Michelangelo, il pontefice che fece affrescare la Cappella Sistina.

Il mio incontro con il romanzo storico parte da lì, da un personaggio storico nel quale mi sono imbattuta casualmente, un personaggio che ha catturato la mia attenzione e mi ha fatto venire la voglia di scrivere.

Con l’Editrice Nord mi ero trovata molto bene e desideravo continuare la mia collaborazione con loro, ben sapendo che esistono dei vincoli di catalogo. Questa casa editrice pubblica romanzi storici e pertanto per continuare la collaborazione sapevo di dovere proseguire il mio lavoro nell’ambito di questo genere letterario. Non si è trattato di una mera opportunità, il romanzo storico è un genere che mi appassiona e quindi l’invito a scrivere si è sposato perfettamente a quella che per me è una passione.

Per uno scrittore il romanzo storico è un genere sfidante, sulla base di una materia che si deve padroneggiare molto bene consente di innestare la propria creatività. Una sfida che mi piace anche perchè mi fornisce l’opportunità di studiare e di scoprire cose che non conosco. Sfida, passione, aggiornamento e formazione.

Alla docente, oltre che alla scrittrice, chiedo se esistono regole auree o paletti invalicabili che devono essere presi in considerazione nello scrivere un romanzo storico.

Esiste una regola che vale in generale per tutti i romanzi e che nel caso del romanzo storico vale ancora di più. E’ una regola bene rappresentata da una locuzione latina, “rem tene, verba sequentur”, ovvero prima di parlare devi sapere che cosa devi dire.

Un romanzo storico non si può scrivere a braccio ma presuppone un’ampia e approfondita ricerca preliminare e la conoscenza della materia trattata, che per me rimane la cosa più importante.

La scelta di narrare la storia della famiglia Crespi è stata dettata da un suo interesse particolare per questa dinastia di imprenditori, dalla conoscenza diretta del territorio o da una passione per il periodo storico nel quale si ambienta il romanzo? 

Sino a tre anni fa io non conoscevo Crespi d’Adda, anche se sono originaria di Monza e la distanza tra le due località è di soli trenta chilometri. In Brianza tutti conoscono Crespi perchè è una destinazione prediletta dalle gite scolastiche, dalle scampagnate degli oratori o dai week end fuori porta. Esiste anche una bellissima pista ciclabile che collega Milano e Crespi d’Adda costeggiando il canale della Martesana.  Dalle mie parti è un’esperienza molto comune quella di fare una gita a Crespi, a me questa cosa però non era mai capitata.

Una quindicina di anni fa mia nonna, una domenica pomeriggio, visitò Crespi d’Adda con una visita guidata e rimase molto colpita dal posto. Quando tornò a casa, entusiasta, mi raccontò la sua esperienza “vedessi che posto incredibile…quando trovi un attimo di tempo libero devi andarci, è un posto davvero incredibile!”.

Gli impegni mi hanno impedito di seguire il consiglio della nonna e con il passare del tempo me ne sono proprio dimenticata. Due anni e mezzo fa, dopo la pubblicazione del libro su Giulio II, parlando con il mio editore ragionavamo sulla possibilità di iniziare a mettere un nuovo progetto in cantiere. La casa editrice mi pose davanti a una condizione, scegliere un soggetto e scrivere come se io non lavorassi nel campo dell’editoria, mi chiese di non fare una scelta razionale dettata dalla mente ma una scelta che arrivasse spontaneamente dal cuore.

Il nostro Paese è ricchissimo di storia, non è difficile trovare eventi o momenti storici sui quali costruire un lavoro. Questa volta però la scelta doveva tassativamente avere una forte componente emotiva, dovevo trovare un soggetto che mi “colpisse”. Ma quelle farfalle nello stomaco, che l’editore voleva che sentissi trovando il soggetto giusto, non arrivavano.

Una sera, improvvisamente, passò per la mia mente il ricordo delle parole della nonna. In psicologia questo fenomeno si chiama “insight”, è il riaffiorare in superficie di ricordi o immagini che rimangono sepolti nella nostra mente per poi esplodere all’improvviso. Mi misi subito all’opera, facendo quello che fanno tutti gli storici da strapazzo e aprii Google. E pagina dopo pagina capii che mi trovavo davanti a una vicenda straordinaria, a un luogo decisamente unico, a una storia che chiedeva di essere narrata.

Il secondo passo fu quello di cercare in rete se esistessero già romanzi che parlassero di questa località. La bellezza e il potenziale della storia di Crespi d’Adda era tale da farmi pensare che sicuramente avrei trovato chissà quanti romanzi già scritti e pubblicati. Invece, con mia grande meraviglia, scoprii molti saggi in circolazione ma nessun romanzo e la cosa mi parve incredibile, visto proprio il potenziale esplosivo del soggetto.

Scrissi all’editore “forse il soggetto giusto l’ho trovato” e devo dire che  il fatto che la scintilla provenisse da mia nonna ebbe un certo peso nella mia scelta. Purtroppo si è trattato di un consiglio postumo, nel mentre mia nonna ci ha lasciati e non ha potuto vedere il mio lavoro terminato. Tutto è partito comunque da lei.

la famiglia Crespi

I Crespi sono sinonimo di filati, cotone, telai, produzione, ricchezza. La loro storia e il suo libro ci portano però anche con la mente alle vicende di una classe operaia che in quegli anni aumentava il numero dei propri addetti nelle fabbriche. Un fenomeno che si sviluppava in concomitanza con l’abbandono dei campi da parte di una manovalanza agricola sino ad allora inchiodata alla terra e alla povertà. 

Le storia della ricca famiglia Crespi e quella dei suoi operai sono due facce della stessa medaglia. Spesso viene fuori il tema dell’ambiguità di Cristoforo Crespi e del suo ruolo.

Era contemporaneamente un imprenditore illuminato e utopista, un uomo che diede ai propri operai un certo benessere e una forma di welfare che per i tempi era assolutamente impensabile e nel medesimo tempo imponeva condizioni di lavoro che, viste oggi, appaiono atroci.

Due facce della medesima medaglia, a una borghesia che si fa largo nella società si contrappone una classe lavoratrice che da contadina diventa operaia scoprendo gli agi e gli orrori della fabbrica. Gente che sino a pochi anni prima lavorava nei campi, seguiva i ritmi della natura, si svegliava al sorgere del sole, dormiva al giungere del buio, mangiava se trovava del cibo altrimenti digiunava, si trova di colpo davanti all’opportunità di passare a vivere nel rispetto dei ritmi della fabbrica. Ritmi imposti da altri, nemmeno da delle persone ma da delle macchine, dall’orologio.

Siamo davanti a due mondi diversi e complementari, due realtà entrambe vere. Non è stato particolarmente difficile scrivere della coesistenza di queste due realtà perchè non esiste una sola verità. Tanti quanti sono i punti di vista sul medesimo argomento tante sono le verità. Ho provato a raccontarle tutte, senza imporne una sola, quella del più forte o del più debole.

Ci si trova spesso davanti a verità in contrasto tra di loro, basta immedesimarsi con entrambi i punti di vita per imparare a narrale entrambe.

Immedesimandosi in quale realtà si è trovata più a suo agio nello scrivere, quale delle due realtà le ha dato maggiore affetto, le ha creato un maggior senso di sintonia?

Guardi ho fatto il tifo per tutti, essendo miei i personaggi, avendoli creati io, li ho amati tutti.

Nel caso dei personaggi storici realmente esistiti il lavoro è stato quello di narrativizzare una materia storica che troviamo trattata in una marea di saggi. Di taluni personaggi conosciamo per filo e per segno tutto quello che facevano, giorno dopo giorno. Io non ho scritto un altro saggio, ho scritto un romanzo e il mio lavoro è stato quello di creare una narrazione che intrattenesse e divertisse il lettore, senza l’obbligo di dovere raccontare una realtà storica. E’ molto difficile narrativizzare degli eventi storici rendendo umani personaggi realmente esistiti. Il timore di tradire la Storia, quella scritta con la maiuscola, era alto.

Noi sappiamo che un tal giorno Cristoforo fece una certa cosa, il lettore chiede all’autore del romanzo di raccontargli come si sarà sentito nel farla.

Corretto, noi sappiamo ad esempio che Cristoforo Crespi possedeva una splendida raccolta di dipinti ma chiediamo al romanzo di narrarci cosa provasse quando sedeva solo nella sua pinacoteca ammirandoli.

Questo è quello che il romanzo consente rispetto al saggio, dare voce ai sentimenti. Diverso invece è scrivere raccontando la storia di personaggi totalmente inventati, lo scrittore può scrivere qualsiasi cosa sapendo che non verrà mai nessuno a mettere in dubbio il suo lavoro, sempre che si sia fatta a monte una ricerca scrupolosa.

In questo caso l’impegno è puramente creativo, bisogna attingere ai propri ricordi, a esperienze personali, a fatti letti o vissuti, a suggerimenti. Sono due lavori molto diversi, non so dirle per chi ho parteggiato maggiormente, se per la dinastia degli imprenditori o per la gente della fabbrica e del villaggio perchè sono riuscita a comprendere bene entrambe le situazioni.

Da una parte gli sforzi di Cristoforo Crespi, la sua fame di affermazione, la voglia di farsi largo dimostrando a se stesso e agli altri che poteva farcela. Quindi il desiderio di Silvio Crespi di portare a compimento l’opera del padre, dimostrando di essere un buon figlio che non delude il genitore, gravato dal peso della responsabilità dell’avere nelle proprie mani il destino di tante famiglie.

E dall’altra parte gli operai, questi contadini che diventano operai per dare benessere a se stessi e alle generazioni future, accettando a volte senza fiatare la fatica e il sacrificio, in altre occasioni domandandosi “ ma siamo sicuri che sono io a guadagnarci, non è che sul mio lavoro chi davvero ci guadagna è solo il padrone?”. Immedesimandosi un pochino nei personaggi non è difficile scrivere queste storie.

Anche oggi nascono dinastie imprenditoriali, anche oggi esistono imprenditori coraggiosi o spregiudicati che creano imperi. Cosa differenzia Cristoforo Crespi a.d. 1877 da uno dei grandi tycoons a.d. 2023? 

A mio avviso è deontologicamente errato fare paragoni tra uno dei Crespi e uno dei grandi imprenditori di oggi, non è possibile paragonare un contesto storico come quello di fine Ottocento con i tempi nostri, è impossibile. La storia di Cristoforo Crespi si è conclusa e noi abbiamo il privilegio di poterla osservare nella sua completezza da lontano mentre la storia dei grandi tycoons che oggi dominano i mercati si svolge in parallelo alla nostra,  fornendoci una visione per il momento parziale.

Oggi taluni di questi imprenditori sono definiti cinici o esageratamente visionari ma guardi che anche di Cristoforo Crespi si dicevano le stesse cose. Quando Crespi avviò i lavori per lo scavo del grande canale che era indispensabile alla sua fabbrica, un canale che non si riusciva a scavare e a portare a termine, i primi a dargli del “pazzo” erano i suoi familiari.

“Perchè non desisti, perchè vuoi ottenere sempre di più? Hai già una fabbrica, i tuoi fratelli stanno costruendo altri stabilimenti, abbiamo già abbastanza soldi, siamo già ricchi, perchè vuoi di più?”

Per i suoi tempi Cristoforo Crespi non era certamente la creatura perfetta che oggi potremmo essere tentati di dipingere, la sua stessa famiglia lo criticava. Certo, ha fatto grandi cose che hanno portato benessere e miglioramenti alla vita dei suoi operai, ma il suo obiettivo rimaneva comunque quello del conseguimento del profitto e del consolidamento della sua azienda.

Molti altri imprenditori si sono poi rifatti al modello di Cristoforo Crespi, per dirne uno possiamo ricordare Adriano Olivetti, ma metterlo a confronto con gli imprenditori di adesso non è possibile, aspettiamo che anch’essi passino alla storia. Ne discuteremo e li confronteremo tra loro almeno tra cento anni, farlo oggi gioca a sfavore del presente.

Ai suoi tempi per certi versi Crespi era visto molto bene; Crespi d’Adda aveva il vantaggio di sorgere in un luogo decisamente isolato e di conseguenza l’eco dei movimenti che animavano la coscienza di classe di fine Ottocento (scioperi e manifestazioni) a Crespi non sono arrivati. Tutto sommato le maestranze laggiù stavano bene. Un paradiso in terra? Non direi, se ci pensiamo bene Crespi d’Adda ha rappresentato un laboratorio di controllo sociale che non possiamo giudicare positivamente se lo guardiamo con gli occhi di oggi.

Il villaggio era una comunità chiusa, il padrone sapeva sempre dove eri, girava per le strade, controllava case e giardini. Dove scorgeva trascuratezza si informava e pretendeva soluzioni immediate. Nulla sfuggiva.

Villaggio-azienda, un corpo unico. Se penso ad esempio alla tradizione delle future spose di ricevere una busta in denaro direttamente dalle mani del Padrone, mi tornano alla mente atmosfere quasi medioevali. Villaggio, azienda, abitanti, tutto strettamente marcato “ditta Crespi”.

Esatto. Visto oggi questo non ci appare come un modello totalmente positivo, ecco perchè anche agli imprenditori dei nostri giorni dobbiamo concedere il tempo giusto per essere giudicati. Ne riparlerà la storia.

I Crespi furono anche gli editori del Corriere della Sera dando il via a una consuetudine che da allora lega il potere economico all’attività giornalistica. Potremmo, scherzando, definirli la fonte di tutti i mali, visto come negli anni a seguire il giornalismo si è dovuto in certa misura piegare al volere di taluni editori?

In realtà no, Benigno Crespi che fu il primo della famiglia a diventare azionista del Corriere della Sera, divenne editore quasi per caso. Acquistò delle copie e delle quote solo per aiutare il cognato che era coinvolto nella gestione del giornale e che si era fortemente indebitato. E’ stato un padrone molto liberale, si interessava molto poco della linea editoriale e non pretendeva di dare una direzione specifica al giornale. E’ una cosa che poi nel ventennio fascista cambierà, quando gli subentreranno i figli e cambierà il contesto storico. Benigno è passato alla storia per essere stato molto tollerante, era semplicemente il proprietario della testata, una testata che dirigeva senza interessarsi dei contenuti.

Oggi le cose sono molto cambiate ma anche i tempi sono profondamente mutati. Dai tempi di Benigno ne è passato di tempo.

Come è stato accolto il suo libro a Crespi d’Adda?

Sono contenta perchè ho avuto soltanto riscontri positivi e se ve ne sono stati di negativi non sono giunti alle mie orecchie. Ho ricevuto diversi ringraziamenti da parte dei crespesi e degli abitanti del territorio per avere portato alla luce le vicende umane dei loro nonni o dei loro bisnonni, quasi tutti passati per le grandi sale del cotonificio Crespi.

Il Villaggio Crespi vive ancora, il palazzo della famiglia ospita la sede di un’importante gruppo imprenditoriale bergamasco, la villa sul lago d’Orta è conosciuta in tutto il mondo in quanto ospita un famoso ristorante stellato. Quasi tutto di quell’esperienza sopravvive. Caso fortuito o magia? Ho un amico che abita in una delle case di Crespi e mi sembra stregato dal luogo.

Purtroppo il palazzo milanese di via Borgonuovo è stato bombardato durante la seconda guerra mondiale e della struttura originaria rimane molto poco, quasi nulla.

Crespi d’Adda è un posto magico, oltre a fare parte del Patrimonio Mondiale Unesco è un luogo che ha conservato quasi intatta l’atmosfera e la struttura di fine Ottocento. Se togliamo qualche macchina dei residenti parcheggiata lungo le vie e qualche antenna satellitare che spunta dai tetti, l’impianto urbanistico è lo stesso che venne ideato dalla famiglia Crespi.

Siamo tutto sommato abbastanza vicini a un orrido svincolo autostradale, ai centri commerciali e a qualche attrazione turistica, tutte realtà sgraziate e  rumorose, eppure basta infilarsi lungo quella strada che porta a Crespi per entrare piano piano nell’Ottocento lombardo. Si, penso proprio che si possa parlare di magia.

Aggiunga poi il fatto che molti dei residenti attuali di Crespi d’Adda sono i diretti discendenti di coloro che queste case le hanno costruite, l’intero villaggio è quasi un testimone che le generazioni si passano l’una con l’altra. E’ un posto che conserva ancora la bellezza che Cristoforo Crespi ha voluto regalare ai suoi operai tanti anni fa.

La sera c’è silenzio, i giardini e i viali alberati si armonizzano benissimo con le costruzioni, nel fine settimana larghe parti della cittadina si trasformano in zone a traffico limitato, Crespi d’Adda è un luogo incantevole sotto molti punti di vista.

Nel suo romanzo ogni circostanza dolorosa o foriera di sofferenza viene bilanciata da momenti di profondo e intenso amore. Non c’è nulla di facile nelle storie che racconta, ma non manca manca mai un equilibrio di fondo. Persino la grande guerra che semina sventura senza risparmiare nessuno si allontana piano piano in un orizzonte di speranza. Il romanzo è molto equilibrato, si tratta di un artificio tecnico oppure è l’autrice a essere orientata verso il “pensare positivo”?

No, no, pensare positivo in generale direi di no. E nemmeno ho voluto utilizzare alcun artificio tecnico. Certamente in questo romanzo c’è del mestiere, io scrivo da un sacco di tempo, sono una lettrice accanita, nasco professionalmente come editor. L’editor è quel soggetto che mette le mani nei libri degli altri, conosco le dinamiche e i meccanismi della scrittura, in certa parte ho applicato le mie conoscenze anche al mio lavoro. Anche se una cosa è intervenire su un lavoro altrui, altro è creare dal nulla il proprio.

La ringrazio per avere trovato ed evidenziato generosamente un certo equilibrio nel mio romanzo, forse la mia professionalità ha contribuito ma principalmente ciò che influenza il mio scrivere è la mia visione della vita e delle cose.

La vita è un meccanismo complicatissimo, fatto di cose belle e di cose brutte. Molte dipendono da dove si nasce e da quando si nasce. L’essere umano ha la capacità di trovare la bellezza e la gioia anche nelle condizioni più difficili, la mia visione della vita è equilibrata; penso che anche nei momenti peggiori si possa trovare lo spunto per andare avanti e trovare soddisfazione in ciò che si fa. Probabilmente questo mio modo di pensare si è riversato spontaneamente nel mio romanzo.

Ringrazio Alessandra Selmi per la piacevole chiacchierata e vi invito a  leggere Al di qua del fiume. Il sogno della famiglia Crespi. – Editrice Nord .

 

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