A spasso nel secolo breve, per una distrazione di Dio
La distrazione di Dio, romanzo d’esordio di Alessio Cuffaro con cui inizia l’avventura la neonata Autori Riuniti, è la storia di Francesco Cassini, un uomo che alla propria morte (siamo all’inizio del Novecento), per una distrazione di Dio, si ritrova a prendere possesso della vita e del corpo altrui. Francesco attraversa tutto il Secolo Breve abitando esistenze, amori, patrimoni, speranze e sentimenti non suoi e mantenendo intatta la memoria delle vite precedenti. E questo migrare di vita in vita lo porterà a Torino, Parigi, Praga, New York, Londra. La vita come sintesi caotica di più esistenze nello spazio e nel tempo. Lo stile di Cuffaro non si rifugia mai in quella terra di nessuno che è la descrizione di ogni minimo dettaglio, preferendo piuttosto stare in trincea, lì dove il conflitto psicologico e sociale hanno il dominio. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Come nasce l’idea di questo romanzo?
L’idea mi è venuta nel 2010. Era un periodo piuttosto difficile e, come mi capita spesso, nei periodi difficili cerco una monomania che si prenda per intero le mie serate. Mi ero messo in testa di studiare tutta l’opera di Fabrizio De Andrè. Non è che avessi chiaro cosa fare. Diciamo solo che ascoltare le sue canzoni non mi bastava più. Così a un certo punto ho provato a raccogliere i suoi testi non per album o per ordine cronologico, ma per affinità dei personaggi. Ridotti ai loro elementi primari, il Malato di cuore e il Giudice erano la stessa persona. Il Suonatore Jones era incredibilmente simile a Bocca di rosa che a sua volta era deflagrante come il Bombarolo. E più mettevo insieme i personaggi tra loro, più mi rendevo conto che era così che mi aveva rapito De Andrè: facendo vivere allo stesso tipo d’essere umano tipi diversi di contesti sociali, di relazioni, di corpi. A quel punto è nata l’idea di Francesco Cassini e della distrazione di Dio.
Il tema del corpo è piuttosto dominante. Francesco abita questi corpi giovani da uomo adulto e poi da vecchio. Eppure sembra non godere mai appieno di queste nuove identità.
Il corpo è il terreno del conflitto. Francesco si troverà ad esempio nel corpo di un gemello monozigote e nel corpo di una donna. Tutto il romanzo verte sul conflitto tra identità e corpo, dove per corpo si intende il corpo relazionale, lavorativo, il corpo sociale. Francesco cerca di essere se stesso ma ogni volta subisce la forza gravitazionale degli altri che lo vorrebbero diverso. I segnali che dovrebbero svelare il segreto di Francesco ai parenti, colleghi e amici sono evidenti, eppure nessuno lo svela, perché sarebbe troppo disturbante, e perché è più comodo applicare una distrazione accorta nei suoi confronti.
Che tipo di lavoro hai fatto sulla lingua e sullo stile?
Ho tolto tutto quello che non era necessario. E di cose non necessarie quando scrivi per un lettore che ha visto migliaia di ore di film e serie tv ce ne sono tante. Non volevo che il tempo di lettura se ne andasse via in lunghe descrizioni di cose già fissate nell’immaginario collettivo. Volevo che ci fosse solo la storia e i personaggi che la fanno muovere. E non è stato facile. Il romanzo era molto più lungo in origine. Ho dovuto sacrificare un gran numero di pagine. Lo stile ha subito un processo analogo: ho lasciato che fosse il tempo che stavo narrando a dare forma alla scrittura. Così il romanzo muta al mutare dei decenni. La sintassi si fa più sincopata man mano che ci si avvicina all’era contemporanea e il lessico diventa meno ricercato, meno pomposo. Ma sempre al servizio della storia. È sempre stata lei la padrona di casa di questo romanzo.
A proposito di arco temporale. Perché ambientare tutto nel Novecento?
Perché è un secolo che ci siamo lasciati alle spalle senza trovare il coraggio di voltarci indietro. È come se il 2001 e quindi l’11 settembre ci avessero privato di una soluzione di continuità. Io invece volevo tornarci in quel secolo e volevo che ci tornasse il lettore.
Eppure gli avvenimenti storici non sono dominanti nel romanzo. È come se l’individuo avesse più diritto al palcoscenico di quanto non ne abbia la storia.
Io non credo che la storia sia sempre in grado di modificare le esistenze. Lo è in alcuni momenti. Lo è se gli individui sanno vederla, ascoltarla, anticiparla o rincorrerla. La prima guerra mondiale entra nel romanzo in maniera quasi impercettibile perché Francesco si trova in una condizione di agiatezza. Il denaro è in grado di attutire la storia, di insonorizzarla. Inoltre Francesco in quella fase non è capace di ascoltarla. La seconda guerra mondiale lo intercetta invece in una condizione di povertà e in un momento della sua crescita interiore in cui è fortemente ricettivo.
La scrittura e la lettura hanno un ruolo non piccolo in almeno due capitoli del romanzo. Cos’è la scrittura per te e quali conseguenze speri che abbia il tuo romanzo sul lettore?
La scrittura in fondo significa vivere esattamente ciò che vive Francesco a ogni risveglio: incarnare il corpo di un nuovo personaggio, conoscere le persone che lo circondano, trovare la lingua giusta con cui dovrà parlare. È una scoperta. Quando ho cominciato a scrivere c’era solo un’idea e il titolo: La distrazione di Dio. Il resto è stato seguire i personaggi che non la smettevano di reclamare integrità, voce e un posto sicuro (seppure in un mondo che non c’è). L’unica conseguenza che spero abbia il romanzo per il lettore è quella di emozionarlo. A un certo punto del romanzo un professore di lettere dice a Francesco: «che li si bruci in un camino o li si legga, i libri servono solo a scaldarsi un po’».
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