Consumo di suolo, Fregolent (Iuav): Senza volontà politica, le norme non bastano

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16 Settembre 2024

«C’è sempre molta aspettativa nei confronti delle leggi, ma senza una volontà politica e pubblica condivisa, le normative non sono sufficienti». Laura Fregolent, ordinaria di Tecnica e pianificazione urbanistica all’Università IUAV di Venezia, non ci gira intorno quando le chiediamo un’analisi sulla situazione del consumo di suolo nel Veneto, regione che registra il secondo tasso più alto in Italia.

«Avere buone leggi è fondamentale», afferma la professoressa, «ma queste vanno accompagnate da un’intenzionalità politica e pubblica altrettanto esplicita. Altrimenti le norme vengono disattese, ignorate o si trovano escamotage, pur rimanendo all’interno della legalità».

Laura Fregolent - Iuav Venezia

Laura Fregolent – Iuav Venezia

Fregolent svolge attività di ricerca nel campo degli studi urbani e ha focalizzato nel corso degli anni i propri interessi di ricerca in particolare sui temi legati ai processi di trasformazione urbana e alle dinamiche sociali ad esse connesse, ai conflitti legati a progetti e trasformazioni urbane e territoriali, alle trasformazioni in atto nei contesti urbani con particolare attenzione alle dinamiche abitative. Oggi coordina il progetto di ricerca sulla territorializzazione del Piano Nazionale di Ripesa e Resilienza.

Le abbiamo chiesto se abbia ancora senso limitare il consumo di suolo in un territorio estremamente frammentato dal punto di vista urbanistico e quali siano i difetti della normativa regionale in materia che, nonostante l’abbondanza, non ha impedito di artificializzare il 12 per cento delle superfici disponibili.

«Nel caso del Veneto la norma sul consumo di suolo (legge 14/2017) è stata costruita a partire da un coinvolgimento attivo dei comuni ai quali fu chiesta la quantificazione del territorio consumato e trasformabile al fine di stabilire la quota di suolo da consumare ammissibile. Operazione che però non teneva conto della differenza tra la programmazione urbanistica e i reali processi di impermeabilizzazione e quindi consumo di suolo. Questo mi porta però a dire che è necessario fare un distinguo perché, la dotazione di servizi ad una comunità, faccio un esempio, costruire una scuola, a mio avviso non si configura come consumo di suolo ed è cosa diversa dall’impermeabilizzare completamente il suolo con una piastra o un parcheggio. In entrambi i casi si tratta di strutture con delle funzioni precise e anche utili, ma è chiaro che se faccio una scuola consumo del suolo per un servizio essenziale, forse o non sempre posso dire altrettanto per una superficie impermeabile o un parcheggio».

Le amministrazioni hanno però necessità delle entrate per garantire i servizi
«Certo, anche e soprattutto dagli oneri di urbanizzazione, qui però stiamo valutando gli interventi rispetto alla disponibilità di suolo e al suo utilizzo, e possiamo affermare che non tutto il costruito è uguale. E servono strumenti di pianificazione che rivedano le dotazioni e le espansioni. Stiamo attraversando un inverno demografico, immaginare grandi espansioni non sembra ragionevole.

Quali sono le ragioni di un consumo di suolo così alto rispetto alle altre regioni?
«C’è un lascito degli anni Ottanta e Novanta in cui lo sviluppo urbanistico e industriale è stato portato avanti in modo campanilistico e con poche sinergie, ogni comune, anche il più piccolo, ha la sua area industriale e artigianale, all’oggi spesso con strutture sottoutilizzate se non abbandonate. E poi c’è una sovrapposizione di funzioni e di usi. Se fino a poco tempo fa la spinta al consumo di suolo arrivava dall’edilizia e dagli insediamenti industriali, i capannoni, oggi la quota principale è data dalla logistica che richiede strutture molto ampie e dall’agrifotovoltaico, cioè dall’installazione di pannelli fotovoltaici su terreni agricoli».

È il segno dell’economia che cambia e delle esigenze di approvvigionamento energetico. Ci possiamo rinunciare?
«No, chiaro, non sto dicendo questo. Le esigenze che esprimono sono entrambe legittime, il lavoro da un lato e la necessità di produrre energia pulita e ridurre le emissioni di Co2. Fra l’altro in quest’ultimo caso c’è una spinta pubblica molto forte data dai finanziamenti del Pnrr. Però non dobbiamo cadere nell’inganno del confronto binario sì/no, favorevoli/contrari.

C’è una terza via?
«Non una. Non c’è una ricetta che vada bene per tutto, ma caso per caso bisogna trovare le soluzioni migliori e qui il ruolo della politica e degli amministratori è fondamentale perché, per rimanere al nostro esempio dobbiamo ragionare sulla relazione tra consumo di suolo ed energia pulita ed elaborare una risposta che tenga conto di entrambe le questioni».

Però conviene che è più semplice riempire di pannelli 150-200 ettari di un unico terreno con un unico proprietario e in un unico comune che andare a bussare alle porte di tutti i soggetti con un capannone dismesso, in Veneto secondo Confartigianato sono oltre 9.000…
«La politica serve a questo, a gestire la complessità, i conflitti e le relazioni tra soggetti. Questo è un campo di lavoro, molto più complicato, ma è il campo di lavoro che può dare soluzioni a esigenze legittime e solo apparentemente in contrasto e di non arroccarsi sugli spalti del sì o del no, come tifosi. Credo che il consumo di suolo zero non sia facile da raggiungere, perché ci sono trasformazioni in atto nell’economia e nella società. Vanno però governate e non bisogna appiattirsi sugli interessi dei più forti o, peggio, scegliere scorciatoie. Ripeto, non c’è una ricetta unica da applicare ad ogni situazione, ed è importante che sia sempre esplicitato l’interesse pubblico e collettivo. Sempre. Quando non è esplicito si producono dei cortocircuiti per cui da un lato dico stop al consumo di suolo e dall’altro autorizzo anche in nome di valori assolutamente condivisibili – lavoro, energia rinnovabile – senza però tenere insieme le questioni».

L’Università e la ricerca hanno un ruolo in questo campo? Sono ascoltate dai decisori?
«Qualche anno fa con una collega economista abbiamo fatto una ricerca sui costi della dispersione urbana sull’area centrale del Veneto. Mettendo in relazione i bilanci comunali con la crescita dell’urbanizzato, abbiamo dimostrando come il disperso fosse più costoso del compatto, in alcuni settori più che in altri. Lavoro ispirato a ricerche condotte in Italia e all’estero, presentato e condiviso. Nessuno ci ha mai chiesto nulla. È rimasto accademia pura e questo succede per molti ambiti disciplinari e cioè che si produca conoscenza e ricerca ad uso esclusivo del dibattito accademico. Ritengo che questa sia una perdita e per tutti».

TAG:
CAT: Legislazione, tutela del territorio

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