L’intossicante libertà del freelancer
Dopo un lungo percorso auto-formativo sono riuscito a realizzare uno dei miei principali obiettivi: al bancone di un bel pub — perché è lì che si prendono tutte le decisioni importanti — ho stretto la mano su un contratto che per gli ultimi due anni mi ha permesso di lavorare da casa.
Quindi cosa è andato storto?
Fuga dagli uffici
Le moderne tecnologie, e la natura stessa delle nuove professioni, sempre più orientate su servizi digitali, ha reso il lavoro da casa una possibilità sempre più concreta. Basta dare uno sguardo nei vasti open space delle compagnie basate sul web per capire che l’idea tradizionale di ufficio è obsoleta: abbattuto il cartongesso dei cubicoli ci si isola con le cuffie, e Skype è la soluzione al problema di doversi alzare e parlare al collega due scrivanie più in là. E spesso ci si trova a collaborare con gente in altri uffici in altre città, il che rende l’ubicazione superflua.
Per le persone che vedono la pausa caffè non come un piacere ma come una punizione il passo è logico: niente più sveglie ad orari disumani, niente più tragitti snervanti su mezzi affollati, niente più scialbi pranzi al microonde o panini raffermi. I vantaggi sono indubbi, il tempo risparmiato può essere investito più produttivamente, facendo attività più gratificanti o lavorando di più e meglio.
Join the Dark Side
Dopo l’euforia iniziale arriva però il lato oscuro del home working, strisciante come una flatulenza silenziosa.
Si sposta in avanti la sveglia di un’ora, mossa giustificata perché “tanto l’avrei passata in metropolitana”, e appena suona si fa presto a convincersi che stare a letto ancora un po’ non cambia niente. Anzi.
“Magari le prime email le gestisco direttamente da letto già che ci sono, perché no”.
Quando si raggiunge il divano, perché la scrivania “la cerco domani sul sito Ikea, giuro”, si tira sera senza aver tolto il pigiama.
Ho capito la profondità del buco che mi stavo scavando quando un sabato, al pub con degli amici, mi guardai intorno ed ebbi una rivelazione sconcertante: “è da venerdì scorso che non parlo con nessuno”.
Otto giorni.
Frequentare un co-working space è un ottimo modo per limitare il degrado sociale della vita da freelancer: ci si trova con altri sociopatici tra sguardi furtivi, come prigionieri appena sfuggiti alla reclusione della loro cabin fever.
Un’esperienza rinfrescante, ma ci sono altri problemi che affliggono chi non ha l’obbligo di frequentare un ufficio.
Fuga dalla libertà
Le più grandi attrattive del lavoro da casa sono la libertà e l’indipendenza, ma è facile perdere il controllo e la troppa libertà può diventare un blocco, una caotica paralisi. La responsabilità di prendere le proprie decisioni ogni giorno, ad ogni momento della giornata, è un onere che viene spesso sottovalutato. Questa paralisi risulta spesso in un disorientamento per la mancanza di uno scopo, un obiettivo. Ne parla una ricerca di un’università americana, che riconduce il tutto alla dipendenza da management.
Lavorando da casa non c’è più un capo a impartire ordini e direttive, non c’è più un capo col fiato sul collo a monitorare e criticare la qualità del lavoro, non c’è più un capo da accusare – con soffiate velenose nei corridoi – di non permetterci di esprimere le nostre qualità al meglio.
E ne sentiamo terribilmente la mancanza.
La chiave di lettura sta nella gestione del tempo libero e la sua abbondante disponibilità. Senza i limiti temporali della pausa sigaretta e del pranzo il tempo libero cessa di essere definito dal lavoro e di esistere in funzione di esso. Diventa un’entità a sé stante, che richiede attenzione e collaborazione per affermare il nostro essere Umani. Dobbiamo imparare ad usare questo tempo, usarlo a nostro vantaggio invece di farci schiacciare, interpretandolo non come momento colpevolmente ozioso ma come un’opportunità per arricchirci.
Come un animale che titubante muove i primi passi fuori dalla gabbia non è forse questa la paura che ci frena di più una volta lasciato l’ufficio alle spalle?
Tutte le illustrazioni sono state fate su misura dall’ottimo Stuart Herrington
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