Salvare Schengen? Per Germania & C. si può: basta abbandonare Italia e Grecia

30 Gennaio 2016

Ancora niente è deciso, ma una cosa è chiara: la possibilità di una “mini-Schengen”, che tagli fuori i paesi mediterranei, prende piede man mano che si acuisce la crisi migratoria. Le speranze di una vera soluzione europea, che molti continuano a invocare, si sta affievolendo ogni mese che passa, come è ormai chiaro che il piano di ridistribuzione di 160.000 richiedenti asilo da Italia e Grecia deciso in autunno dall’Ue è praticamente morto. Basti dire che al 28 gennaio eravamo a soli 257 trasferiti dall’Italia e 157 dalla Grecia. Soprattutto, non sta funzionando neppure l’accordo dell’Ue con la Turchia per arginare i flussi: nonostante l’accordo dello scorso novembre, a gennaio si registravano ancora flussi ingentissimi (si parla di 3.000 persone al giorno) in Grecia – certo, non aiuta il blocco imposto dall’Italia ai tre miliardi di euro promessi alla Turchia.

Ovunque stanno risorgendo le frontiere interne nello spazio Schengen. Il caso più clamoroso è quello tra Svezia e Danimarca: qui i controlli di frontiera erano stati aboliti ben prima dell’arrivo di Schengen, in virtù di un vecchio accordo addirittura del 1958. La frontiera è tornata in Francia (dopo gli attacchi terroristici del 13 novembre), al confine tra Germania e Austria e tra Austria e Slovenia. Il problema è però che tutti, tranne i populisti dalla Le Pen o alla Salvini, guardano con angoscia al progressivo crollo dell’Europa senza frontiere. I danni economici provocati da file e lungaggini sono evidenti, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha citato uno studio Ue secondo cui i costi sarebbero pari a 3 miliardi di euro l’anno. Ed è di questi giorni il grido di allarme del Bundesgrenzschutz (il corpo di polizia federale tedesco) che ha avvertito di non avere abbastanza uomini e mezzi per ripristinare efficacemente i controlli e chiede molti più fondi. E su Schengen insistono anche i paesi dell’Est, che pure sono tra i primi responsabili del caos, per il loro pervicace rifiuto di partecipare al meccanismo di ridistribuzione dei richiedenti asilo.

Intanto però i flussi continuano e adesso si sta assistendo a un gioco vergognoso contro la Grecia, che potrebbe facilmente colpire l’Italia. Il vertice informale dei ministri dell’Interno, il 25 gennaio ad Amsterdam, ha visto Atene vittima di un autentico assalto, con la Germania e l’Austria in testa a menare fendenti. Le pressioni del nord sono tali che la stessa Commissione, sebbene il commissario alla Migrazione sia proprio un greco (Dimitris Avramopoulos), si è trovata costretta a puntare a sua volta il dito contro l’Ellade, pubblicando un rapporto che denuncia le “gravi carenze” nel controllo della frontiera esterna. Il rapporto è la condizione necessaria per far scattare l’articolo 26 del Codice Schengen nella versione rivista nel 2013 (dopo le tensioni tra Italia e Francia per i flussi di tunisini in seguito alla Primavera araba) per consentire a stati membri come Austria e Germania di prolungare i controlli di frontiera oltre il massimo di sei mesi, per un totale di massimo due anni, in presenza di “gravi disfuzioni” delle frontiere esterne. Ma anche di “sospendere” di fatto l’adesione di Atene all’Europa senza frontiere. Tanto più che ad Amsterdam è stata lanciata una pericolosa idea, ripresa prontamente dalla Commissione: che l’Ue aiuti la Macedonia a chiudere il confine con la Grecia. Della serie: che i migranti restino bloccati nell’Ellade. La Macedonia ha già cominciato a chiudere a singhiozzo il confine, lasciando passare solo siriani e afghani.

In realtà sono in pochi a sperare che davvero la Grecia possa farcela. E ormai si sta creando un gruppo di paesi che Berlino definisce “dei volenterosi”, pronti ad andare avanti da soli, e che vedono coinvolti Germania, Austria, Olanda, Danimarca, Svezia, Belgio, Lussemburgo. Berlino e Vienna stanno preparando un’azione congiunta per aiutare la Slovenia a blindare il suo confine con la Croazia (che è nell’Ue ma fuori Schengen), trasformando così il confine sloveno nella vera frontiera esterna dell’Ue (la Macedonia, che non è nell’Unione, potrebbe al massimo fare da “avanposto”). L’idea è chiara: se si riuscisse in questa operazione, allora potrebbero riaprirsi le frontiere interne nel resto dello Spazio Schengen (a parte la Francia che le tiene chiuse per la minaccia terroristica). Un “modello” che potrebbe essere molto pericoloso per l’Italia se, com’è più che possibile, i flussi dalla Libia attraverso il Mediterraneo dovessero riprendere massicciamente. Uno scenario realistico, soprattutto se dovesse funzionare un altro piano, anche qui dei “volenterosi”, prospettato dagli olandesi: un accordo con la Turchia, molto più ambizioso di quello varato a novembre in sede Ue, che prevedrebbe il reinsediamento in questi paesi Ue, su base volontaria, di un alto numero (una cifra tra i 150.000 e i 250.000) di profughi siriani ora alloggiati in Anatolia, in cambio della promessa della Turchia di riprendersi i migranti irregolari senza prospettive di asilo transitati sul suo territorio. Perché l’altra priorità è ormai questa, rimpatriare il massimo numero di migranti irregolari, è di questi giorni l’annuncio della Svezia di voler espellere 80.000 richiedenti asilo e della Finlandia 30.000.

Se i flussi non potranno passare più per la Turchia, potrebbe tornare l’assalto alle carrette del mare verso l’Italia attraverso il Mediterraneo centrale dalla Libia ancora in preda al caos. Certo, c’è la missione navale Ue Sophia, che crea indubbiamente disturbo ai trafficanti, ma soprattutto è intenta a salvare (com’è giusto che sia) i profughi in mezzo al mare, per poi traghettarli in Italia. Se invece i flussi continueranno ad arrivare dalla Turchia alla Grecia, se la Macedonia chiuderà davvero i confini con l’aiuto Ue, potrebbero attraversare lo stretto di Otranto dall’Albania o dalla stessa Grecia per arrivare in Puglia. Oppure potrebbero tentare il mare a sud della Slovenia, dalla Croazia – non è un caso che il ministro dell’Interno Angelino Alfano abbia prospettato l’apertura di hotspot (centri di identificazione e prima accoglienza) nel Nord-Est.

Scenari ancora da incubo per l’Italia. Roma sta cercando di far capire che trattenere a forza centinaia di migliaia di persone è impresa improba, ma nessuno vuole ascoltare, come dimostra anche l’assurda procedura d’infrazione aperta da Bruxelles contro l’Italia per l’insufficiente identificazione dei migranti irregolari. Il rischio, se i flussi dalla Libia ripartono, o se ne arrivano attraverso l’Adriatico, e l’Italia non riuscirà a impedire che proseguano verso nord, è che l’Austria ripristini massicciamente i controlli al Brennero (il governatore del Tirolo l’ha già apertamente minacciato) e a Tarvisio, come per ora ha fatto la Slovenia. E quest’ultima, se davvero riuscisse a blindare la sua frontiera sud con l’aiuto di Berlino e Vienna, consentendo all’Austria di riaprire il confine, potrebbe anch’essa chiudere la propria frontiera con l’Italia. Che a questo punto sarebbe tagliata fuori da Schengen, visto che la Francia ha a sua volta chiuso i confini e la Svizzera (non nell’Ue ma in Schengen) minaccia di farlo. L’Italia, insomma, potrebbe trasformarsi anch’essa in un gigantesco cul de sac per centinaia di profughi, mentre la ridistribuzione non funziona. Per ora sono ancora scenari, la Commissione giura che nessun paese sarà tagliato fuori. Ci credono sempre in meno, però, mentre sono in tanti a Bruxelles ad avvertire che il pericolo è molto concreto. Per Berlino, Vienna, Amsterdam o Stoccolma, se per salvare Schengen sarà indispensabile sacrificare Grecia e Italia, amen. Meglio uno Schengen ridotto che nessuno. Almeno per loro.

TAG: angela merkel, Schengen
CAT: Istituzioni UE, Politiche comunitarie
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