UE
L’Europa plasma le nostre vite. Ecco perché il 26 maggio bisogna andare a votare
Solo pochi anni fa, quasi nessuno se lo sarebbe aspettato. Ma con un colpo di scena degno de “Il Trono di Spade” le imminenti Europee del 2019 si sono trasformate in uno degli appuntamenti elettorali più attesi del decennio. Tutti, da destra a sinistra, dai sovranisti più rocciosi ai paladini del liberismo, dai cattolici ai socialisti, stanno mandando lo stesso messaggio agli elettori: andate a votare, è importante. E almeno in questo il Vecchio continente è unito: sull’importanza del Parlamento di Strasburgo, e sulla centralità dell’Unione Europea nelle nostre vite.
Anche dalla società civile sembra arrivare lo stesso messaggio. La campagna del Parlamento europeo Stavolta voto ha riscosso molto successo tra i cittadini, e l’hashtag #stavoltavoto è diventato virale sui social media. In molte parti d’Europa intellettuali, sindacati, ong e organizzazioni produttive hanno invitato i cittadini ad andare a votare. È il caso, ad esempio, dell’appello per l’Europa lanciato ad aprile da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, che ha invitato ad accelerare il processo di integrazione europea, a dotare la UE degli strumenti per competere nel nuovo contesto globale, e a potenziare la rete di solidarietà sociale europea.
Gianfranco Pasquino, professore emerito di scienza politica e autore de “L’Europa in trenta lezioni” (Utet), lo dice così: «È sempre importante andare a votare, e a maggior ragione a queste elezioni europee perché, con ogni probabilità, segneranno un punto di svolta. Si è acuito il conflitto su posizioni diverse, ed è necessario conoscere il pensiero dei cittadini: ci vuole più Europa o meno Europa?». Secondo il politologo, il Vecchio continente ha subito negli ultimi anni due gravi attacchi di cui non ha responsabilità: la crisi economica scatenata dalla cattiva gestione delle banche statunitensi, e l’immigrazione irregolare, anche frutto delle guerre civili in Siria e in Libia. «L’Europa deve rispondere a queste sfide. In realtà credo che lo stia facendo in maniera tutto sommato soddisfacente, anche se ciascuno di noi vorrebbe qualcosa di più. Il punto è che a livello geopolitico la Ue è di per sé un gigante, ma un gigante che stenta a far sentire il suo peso nel sistema internazionale, perché consapevole dei guasti derivanti dall’uso della forza».
Anche Paolo Carta, ordinario presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento, rimarca l’importanza dell’Europa come bastione delle libertà. «La Ue ha nel suo DNA la tutela dei diritti, delle libertà individuali, delle minoranze e della pluralità. I più giovani, abituati a muoversi per studio e per lavoro tra i vari paesi europei, lo sanno bene: sono nati con una cittadinanza europea, che si aggiunge a quella statale e che moltiplica a livello esponenziale le loro possibilità in un mondo sempre più interconnesso».
Certo, le sfide di fronte agli europarlamentari sono da far tremare i polsi. Ecco perché, se si chiede al docente di consigliare ai neoeletti due testi da cui trarre conforto spirituale ed energia intellettuale, la risposta è: “Vita Activa” di Hannah Arendt, e “Il Manifesto di Ventotene”. Il secondo, «scritto durante il secondo conflitto mondiale, quando si pensava all’Europa e a una federazione europea come speranza per porre fine alla guerra tra gli stati nazionali», può essere «ancora oggi di aiuto per ripristinare un dialogo tra scettici ed europeisti». Il primo, invece, è «un libro nato come tentativo di recuperare il lato più luminoso della politica». In Vita Activa Hannah Arendt presenta l’azione politica come la più elevata tra le attività di cui è capace ogni essere umano, preceduta dal lavoro che ci libera dalla schiavitù della sopravvivenza biologica e dall’opera mediante la quale costruiamo il mondo.
È importante andare a votare, domenica 26 maggio, anche per Mario Bertolissi, avvocato e professore di diritto costituzionale presso l’Università di Padova. «Dal mio punto di vista, non ci sono dubbi sulla doverosità del voto, perché è il modo per partecipare alla vita comunitaria» spiega il costituzionalista. A suo parere, «la partecipazione è ancora più significativa quando l’istituzione per cui si vota non gode di una straordinaria salute. E in questo periodo mi pare che, in linea generale, l’Europa non stia proprio benissimo».
Per Bertolissi, «coloro che hanno retto la UE negli ultimi lustri non hanno dimostrato, credo, grande sensibilità nei confronti di ciò che le istituzioni europee rappresentano». Urge recuperare «le grandi idee di coloro che hanno sognato l’Europa: Schuman, Adenauer, De Gasperi, giusto per citarne tre. Oggi, al confronto, abbiamo delle comparse, e si tratta di tamponare questo straordinario deficit andando a votare».
Anche perché, ricorda il docente, l’impatto che la Ue ha su di noi è enorme, in primis a livello giuscreativo. «Oggi la gran parte delle deliberazioni, delle leggi, che i parlamenti nazionali assumono, sono di esecuzione di decisioni che vengono assunte a livello europeo». E se questa produzione normativa ha aspetti anche molto positivi, vi sono casi in cui si producono delle sintesi che non risultano appropriate. Del resto, «per fare la sintesi ci vuole carisma», ma il carisma non sembra essere moneta corrente, in questi giorni.
E di diritto parla anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «È importante andare a votare, perché molte questioni legate alla promozione e alla tutela dei diritti umani hanno una dimensione europea. Se vogliamo che ci sia un Parlamento europeo che abbia voce in capitolo su questioni importanti, che riguardano i diritti di tutti, è bene andare a votare – rimarca –. A titolo personale, voglio aggiungere che ci sono molte persone incarcerate perché chiedono delle elezioni, e un’umanità intera che vive in paesi dove non si vota. Ebbene, noi che possiamo esercitare questo diritto, abbiamo anche il dovere di esercitarlo».
E per quanto la Ue sia probabilmente l’area geografica dove i diritti umani sono più tutelati, c’è ancora molto da fare. «Ad esempio per quanto concerne le politiche dell’immigrazione, che dal nostro punto di vista vanno completamente ribaltate. O per quanto riguarda la situazione dei diritti umani in alcuni paesi membri, che sta conoscendo dei momenti critici: basti pensare all’erosione della libertà di stampa e di altri diritti fondamentali in Polonia e Ungheria». Noury fa anche l’esempio delle persistenti discriminazioni contro i rom, e denuncia un’ondata di misoginia, omofobia e transfobia.
Pure per Giulia Rodano, membro dell’assemblea della Casa internazionale delle donne di Roma, è importante andare a votare. «La UE è stata una delle istituzioni più segnata dalle donne e dalla loro lotta per i diritti, e le istituzioni europee hanno lavorato molto sulla parità di genere, sulle azioni positive, sul superamento delle discriminazioni indirette». Purtroppo, «a mano a mano che si è accentuato il ruolo economico dell’Europa, e la sua caratteristica di unione monetaria, l’attività a favore delle donne è gradualmente venuta meno».
Le politiche di austerità che hanno determinato una riduzione dell’intervento pubblico e una riduzione del welfare, sottolinea Rodano, hanno scaricato sulle donne pesi che le riconducono a un ruolo tradizionale. Inoltre la precarietà, i contratti che devono continuamente essere rinnovati, hanno (seppur indirettamente) ricondotto le donne a una scelta drammatica, «molto più drammatica di quanto è accaduto alla mia generazione: per le più giovani la scelta fra lavoro e maternità è diventata molto più forte. E questo, in Europa, non è accettabile».
Rilanciare un’Europa in grado di coniugare welfare, occupazione e crescita economica è per molti esperti fondamentale. Secondo Marco Bicocchi Pichi, imprenditore e business angel, già presidente di Italia Startup, «a livello imprenditoriale l’Europa è un’incompiuta. Per una piccola impresa espandersi a livello continentale è, per certi aspetti, più difficile che andare in un mercato grande ma più omogeneo come possono essere gli Stati Uniti. Però questo problema non è dovuto alla “troppa Europa”, ma esattamente al contrario: non c’è ancora sufficiente Europa, nel senso che la libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali non soltanto non è completa, ma è carente per molti aspetti di tipo regolatorio: penso ad esempio alle difficoltà nell’aprire sedi in altri paesi, alla duplicazione dei costi che implica, per una piccola impresa, operare a livello paneuropeo».
Per Bicocchi Pichi «una Ue molto più coerente e unita, in grado di puntare a un’omogeneità fiscale di trattamento, è nell’interesse delle imprese e del loro sviluppo». Ancora, «avere più Europa è nell’interesse degli imprenditori, a livello di ricerca di clienti, capitali, misure di sostegno e di incentivazione alla crescita». Certo, non sempre il Parlamento di Strasburgo o la Commissione europea funzionano nel migliore dei modi; ma, ricorda l’imprenditore, «alcune delle distorsioni europee derivano dalla scarsa rappresentanza, dall’assenteismo dei parlamentari. Purtroppo molti partiti hanno la pessima abitudine di utilizzare le elezioni europee come un test del proprio consenso politico a livello nazionale, mentre si tratta di eleggere parlamentari che devono lavorare».
Anche Carlo Valerio, presidente di Confapi Padova, rimarca quest’aspetto. «La Ue dovrebbe ascoltare di più cittadini e imprese, ma soprattutto dovrebbe decidere, grazie al parere dei suoi rappresentanti. Però costoro non sempre sono all’altezza del ruolo che ricoprono, specie quelli italiani. Anzi, i nostri europarlamentari sono molto spesso scelti sulla base di equilibri partitici; non abbiamo ancora capito che il funzionamento della UE è fondamentale per la vita di tutti i suoi cittadini, quindi in Europa bisogna esserci, capire cosa sta succedendo, e dare il proprio contributo».
E senza Europa, rimarca Valerio, non si va da nessuna parte. «L’Ue ha effetti decisivi sulla quotidianità degli imprenditori, ma soprattutto è a tutela delle imprese». Perché in un mondo complesso come questo, l’Italia, che è una forte esportatrice, non avrebbe mai la possibilità di fare accordi commerciali sufficientemente significativi e utili da sola: «non avrebbe il peso politico necessario per riuscirci».
D’altra parte il Parlamento europeo è l’unica istituzione comunitaria i cui membri sono eletti direttamente. Ecco perché le elezioni di maggio sono un’occasione da non perdere secondo Massimiliano Grimaldi, avvocato attivo a Genova e candidato di Forza Italia per la circoscrizione nord occidentale. «Le politiche dell’UE incidono profondamente sulla vita del Paese. E possiamo provare a rendere più forte e autorevole l’Italia in Europa solo eleggendo persone serie e competenti, non certo improvvisando o adottando posizioni che potrebbero portarla a un pericoloso isolamento».
E se l’Unione Europea può essere ancora percepita come un’istituzione lontana, in realtà influisce pesantemente sul tessuto produttivo. «Le norme europee disciplinano ambiti quali la concorrenza e la competitività dell’industria, l’innovazione, il funzionamento del mercato unico e la tutela dell’ambiente – continua Grimaldi –. È evidente, dunque, che l’efficienza delle imprese italiane dipende anche dalla chiarezza e certezza del quadro normativo comunitario. Cosa che non è scontata. C’è bisogno di persone competenti per incidere realmente nell’elaborazione delle normative».
Per Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio Palermo, «l’Europa ha bisogno di essere cambiata, ma resta fondamentale: ciò di cui siamo convinti noi del mondo dell’impresa è che indietro non si torna, e che non si può buttare all’aria tutto quello per cui si è lavorato. Questo è il momento del buon senso, non delle scelte avventate, o dettate dall’umore del momento».
L’Europa, ricorda Di Dio, è un progetto «innanzitutto di pace, di prosperità, di benessere per tutti. Non credo di peccare di presunzione quando dico che l’Europa può essere il faro del mondo. Viviamo nella regione del pianeta con il maggior rispetto dei diritti umani, e troppo spesso ce ne dimentichiamo, perché lo diamo per scontato. Non dobbiamo attaccare l’Europa quando è proprio essa a garantirci la pace, nonostante le differenze e le problematiche, che ci sono senz’altro».
Se la dimensione economica e di mercato unico sono importanti, è necessario recuperare la dimensione politica, che per prima portò alla nascita del progetto europeo. Ne è convinto Piero Graglia, associato di storia delle relazioni internazionali all’Università di Milano e candidato indipendente nelle liste del Partito Democratico. «In quel momento non fu solo una questione di pace, ma anche di cittadinanza europea, di partecipazione, di confronto sui problemi che, soprattutto oggi, i singoli Stati non possono più affrontare da soli».
Per il docente le elezioni del Parlamento europeo sono importanti perché «è l’unica camera rappresentativa multinazionale esistente al mondo. Dare più voce a questa istituzione significa dare più voce alla politica europea, a quella che si fa nella forma classica di rappresentanti eletti dal popolo che prendono decisioni». D’altra parte, conclude Graglia, «credo che l’Unione sia come l’aria: quando c’è non ci fai caso, ma se manca te ne accorgi immediatamente. Ormai l’Ue è diventata il quadro politico, sociale ed economico del nostro vivere associato».
La dimensione europea è concreta e necessaria, insomma, anche per affrontare i problemi di ciascuno. «L’Italia ha dei problemi importanti che devono essere affrontati con grande determinazione, anche sul tavolo europeo», afferma Matteo Tosetto, vicesindaco del Comune di Vicenza e candidato di Forza Italia nella circoscrizione nord-orientale. D’altra parte, in un mondo sempre più complesso e interconnesso, non si può sperare di avere peso da soli. «L’Ue ci ha dato modo di capire che ci troviamo in un contesto molto più grande di quello rappresentato dal nostro paese – nota Tosetto–. Ora sappiamo che non possiamo permetterci di guardare solo ai nostri confini. Dobbiamo riuscire a mettere insieme le forze dei vari Stati membri per dotarci di una visione più importante».
L’unione fa la forza, quindi, o almeno può farla. Anche in materia di ricerca e sviluppo e progresso scientifico, sempre più vitali per riuscire a competere con giganti sempre più hi-tech e innovativi come gli Stati Uniti, ma anche Cina e India. «L’Unione Europea è fondamentale per promuovere la ricerca e il progresso scientifico, specie nei paesi che vi investono ancora troppo poco», nota la ricercatrice Silvia Marchesan, docente in chimica organica all’Università di Trieste, anche lei fra . «Iniziative come lo European Research Council, per la ricerca di base innovativa, o il Cost, per la creazione di network con interessi di ricerca comuni, sono essenziali».
Per Giorgio Vacchiano, ricercatore di Assestamento forestale e Selvicoltura presso l’Università Statale di Milano l’Europa è un modello. «Destinare il 3% del Pil a progetti di ricerca e sviluppo è un obiettivo a cui dovrebbero auspicare tutti i suoi Stati membri, Italia inclusa. E in questo momento l’Ue lo sta realizzando, perché si è accorta che investire in ricerca non è solo il motore della conoscenza e dell’innovazione industriale, ma anche del benessere, ed è vitale per affrontare le sfide che abbiamo di fronte». Prima fra tutte quella del cambiamento climatico. Una sfida che riguarda tutta l’umanità, e per la quale l’Europa può essere un esempio positivo per il resto del mondo. «Credo che l’Ue debba farsi responsabile del processo per affrontarla con una voce unica – aggiunge il ricercatore – perché quello che si fa in Europa si ripercuote su tutti gli altri».
Immagine in copertina: Pixabay
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