Alla fine quello che doveva essere il capitolo finale della saga greca, al pari di una qualsiasi telenovela da tv di un paese a reddito medio-alto si è risolto con l’annuncio di un’ennesima puntata. Infatti l’Eurogruppo di oggi, convocato di urgenza giovedì 18, nel momento forse più cupo in assoluto di tutti i negoziati, non è riuscito comunque a giungere a un accordo. Si fanno passi avanti ma manca sempre qualcosa. «Lavoreremo come abbiamo fatto negli ultimi tre giorni per trovare un accordo entro fine settimana, anche se non sarà facile», ha dichiarato presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker.
È vero che questa volta le cose sembrano diverse. Fino al week-end scorso la situazione sembrava disastrosa, con le parti coinvolte che facevano fatica a non scivolare reciprocamente nell’insulto personale. La proposta invece inviata dal governo greco domenica rappresenta un grosso passo in avanti in termini di concessioni fatte: più rapido innalzamento dell’età pensionabile, anche se non sono stati offerti ulteriori tagli, un innalzamento delle tasse su alcuni consumi. Complessivamente, misure di rigore vario ed assortito per il 2% del Pil e garanzie di ulteriori misure nel caso in cui si sforino gli impegni.
Le reazioni sono state meno severe del solito. Le Borse europee hanno chiuso in rialzo. Commenti incoraggianti sono usciti persino dal presidente dell’Eurogruppo, il durissimo Dijsselbloem, di solito un pasdaran del nordicismo rigorista, e vera nemesi di del ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, che invece in questa commedia degli errori sembra rappresentare un fenotipo quasi caricaturale di un certo tipo di intellettuale macho del Mediterraneo.
Al tempo stesso però ancora l’accordo non c’è. Mancano ancora dei punti fondamentali: in particolare per i greci la questione di vita o di morte sembra essere quella del taglio alla montagna di debiti ormai accumulata, intorno al 174%-175% di un Pil comunque difficile da calcolare. Dall’altra parte, prima di varare una misura tanto drastica, il resto d’Europa pretende lacrime e sangue. È interessante capire perché.
La Grecia infatti, se non si fosse impelagata in un atteggiamento così aggressivo, non avrebbe incontro particolari problemi con le controparti e i conseguenti problemi di liquidità. I 240 miliardi di euro, su circa 320 di debito pubblico, da restituire a Fondo Salva stati e singoli governi sono stati scadenzati in comode rate a partire dal 2023 fino al 2057. L’anno scorso Atene ha pagato il 2,6% del Pil in interessi, molto meno del 4% circa dell’Italia. La scadenza media del debito greco oggi è il doppio di quella tedesca per dire.
Il problema è che la Grecia, già prima del collasso e ancor di più adesso, è un’economia che non è in grado di reggersi, se non accumulando sempre più debito pubblico, priva com’è di un settore privato degno di questo nome. Senza altri prestiti, fare fronte ai pochi obbligazionisti privati rimasti, al rimborso delle obbligazioni detenute dalla Bce alle rate del Fmi diventa uno psicodramma. Non a caso ormai si parla apertamente anche di un terzo bailout, per togliersi almeno per un paio d’anni problemi di liquidità.
Tutto questo non fa che esacerbare la crisi del sistema finanziario greco, sottoposto a una emorragia di depositi, scesi ormai al 66% del Pil contro una media europea del 94%, e tagliato fuori dal mercato repo. Se non fosse per l’erogazione di liquidità di emergenza gestita dalla Bce (la cosiddetta ELA), le banche elleniche sarebbero in questo momento in una situazione da 1929, con sportelli chiusi e correntisti con i forconi davanti alle banche. Ed è proprio qui che si annida la maggiore esposizione della Bce, nonché della stessa Europa, verso la Grecia (i prestiti si pesano e non si contano) verso la Grecia. Un conto infatti è se i greci lasciano un buco al contribuente europeo, un altro conto è se lo fanno a Mario Draghi, con tutte le conseguenze politiche dell’avere un bilancio della banca centrale affossato da una perdita imbarazzante.
In pratica la situazione è questa: da un lato, i greci hanno bisogno di ulteriori soldi anche per fare fronte alle scadenze immediate, se ottenessero ciò si andrebbe a calmare le paure dei correntisti greci, evitando così di aggravare la situazione della Bce, un taglio al debito darebbe un ulteriore messaggio di stabilità a lungo termine. Dall’altra parte, il fronte dei creditori non vuole cedere, se non a costi altissimi per le controparti, allo scopo di dissuadere altri paesi indebitati dal tentare una mossa simile in futuro. Si può dire che Varoufakis ha comunque ottenuto un personale successo: avere portato lo scontro sul terreno a lui consono della teoria dei giochi. Nel frattempo il 30 giugno, con la scadenza della fatidica rata da rimborsare all’Fmi, si avvicina.
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