Robot tra le nuvole: a Torino si progetta il futuro
I robot sono già tra noi. Non ne siamo – ancora – del tutto consapevoli perché quella che abbiamo di fronte è un’invasione discreta e, soprattutto, diversa da quella raccontata da film con una certa vena distopica come Matrix, Terminator o Io Robot. Solo una piccola minoranza delle “macchine intelligenti” con cui possiamo interagire oggi ha già assunto le fattezze di un androide parlante come C-3PO o di un simpatico barilotto a ruote come R2-D2: non siamo ancora pronti per Guerre Stellari. I robot di servizio attuali devono essere in grado di collaborare con l’essere umano nel suo ambiente abituale, una complessa attività che richiede, da parte dei robot, la capacità di “decifrare” i nostri oggetti e azioni quotidiane sfruttando le potenzialità dell’Internet delle Cose. Il futuro dei robot è fatto di dispositivi collegati alla rete che promettono di cambiare solo un poco alla volta le nostre abitudini e gli ambienti che abitiamo, piuttosto che trasformarli radicalmente tutto d’un colpo.
Un robot per tutti i giorni
Gli esempi più noti di robot per il mercato di consumo sono rappresentati dai droni che si controllano con lo smartphone. Ce ne sono svariati in commercio, anche se non è ancora ben chiaro cosa dovremmo fare di essi. Si va dalle esperienze ludiche per bambini cresciutelli fino a scopi giusto un po’ più seri, come, per esempio, il drone journalism. Ma ci sono anche i robot casalinghi, che puliscono autonomamente il pavimento e possono essere programmati per azionarsi quando non siamo in casa. Questi ultimi sembrano essere particolarmente amati dai nostri amici gatti.
Tra gli esempi di dispositivi robotici non ancora disponibili al grande pubblico spiccano le macchine senza pilota di Google. Stanno creando una grandissima attesa anche se, nonostante annunci sempre più sensazionali che promettono un’imminente rivoluzione copernicana della mobilità a quattro ruote, non è ancora chiaro quando saranno effettivamente sul mercato. A proposito di hype non poteva mancare Amazon, che ha creato scalpore con la trovata delle consegne a domicilio con i droni, anche se si tratta di semplice pubblicità: per il momento il postino volante è del tutto impraticabile, a causa delle limitazioni nel sistema di alimentazione.
Una questione di ricerca e sviluppo
Dal punto di vista di ricercatori e maker la situazione è decisamente più interessante. Raffaello D’Andrea, per esempio, è di origini italiane. Ma è diventato presto cittadino del mondo. Trasferitosi in Canada a nove anni, ha poi studiato in California e oggi è professore a Zurigo. Questo video dimostra tutto il potenziale e anche la meraviglia che la sua ricerca applicata ai droni è in grado di generare:
Le motivazioni che ci spingono ad investire nel campo della robotica sono tutt’altro che astratte. Basti notare che uno dei motori che uno dei maggiori impulsi alla ricerca in questi ultimi anni è stata la catastrofe nucleare negli impianti giapponesi di Fukushima dell’11 marzo 2011. Il disastro ha reso evidente la necessità di robot che intervengano in ambienti in cui per l’uomo è troppo pericoloso avventurarsi. È nata così la Darpa Robotic Challenge, un contest in cui aziende e ricercatori di tutto il mondo sono invitati a proporre soluzioni radicalmente innovative per affrontare quelle sfide che si presentano in ambienti altamente critici, senza mettere a repentaglio la vita dei soccorritori. Ma oltre la ricerca, il marketing e le prospettive future, tutto un nuovo segmento di mercato sta gettando le basi per invadere le nostre vite e gli spazi che abitiamo, quello della robotica di servizio.
In Italia, a guidare questa innovazione c’è una feconda collaborazione tra industria e accademia, quella tra Telecom Italia e il Politecnico di Torino. Il Jol CRAB (Connected Robotics Applications Lab) sta portando avanti un progetto di ricerca multidisciplinare che ha già dato modo di mostrare i primi promettenti risultati nell’ambito di quella che in molti considerano la Next Big Thing dell’innovazione tecnologica: la Cloud Robotics.
I robot nella nuvola
La Cloud Robotics, secondo il professore di Berkeley Ken Goldberg: “È un modo radicalmente nuovo di pensare ai robot. Per lungo tempo, abbiamo pensato a essi come oggetti autonomi, con una propria capacità di elaborare dati in modo indipendente. Ma una volta connesso al cloud, l’apprendimento di un robot può essere processato in remoto con informazioni provenienti da altri robot”. Ciò ha come diretta conseguenza un’espansione impensabile fino a ieri di ciò che i dispositivi robotici possono fare: “L’apprendimento dei robot viene così notevolmente accelerato. Mettendo la cosa nel modo più semplice: un robot può spendere 10.000 ore per imparare a fare qualcosa, oppure 10.000 robot ne possono spendere una a testa per imparare a fare la stessa cosa”.
Nella concezione della Cloud Robotics – ma lo stesso discorso vale per il rinnovato interesse nei confronti dell’intelligenza artificiale – la mente della macchina non si trova nel suo corpo, bensì è distribuita nella rete. Il robot diventa in questo senso uno strumento, un’appendice, l’interfaccia operativa che unisce l’essere umano alla nuvola. Esso non deve quindi avere tutte le informazioni al proprio interno, ma le può pescare dalla rete ogni qual volta gli servano. E sono proprio questi i principi che stanno mettendo in pratica i ricercatori del CRAB di Torino.
A luglio è avvenuto il primo test di Fly4SmartCities, il progetto di ricerca del Jol CRAB di Torino che ha dato l’occasione di mostrare quali siano le potenzialità di questo tipo di tecnologia applicato al mondo degli APR (Aeromobili a Pilotaggio Remoto) in vista di un futuro monitoraggio intelligente delle nostre città e dei nostri territori.
I dispositivi utilizzati dai ricercatori del Jol di Torino per la sperimentazione sono quelli che già si trovano in commercio, connessi però alla rete mobile TIM grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni del Politecnico di Torino. Ma è importante sottolineare come l’innovazione non si limiti al singolo apparecchio: si nasconde, piuttosto, negli algoritmi che governano l’intero sistema e può essere applicata a una molteplicità di dispositivi, ambienti e finalità. Da una stazione operativa gli operatori possono decidere in remoto come modificare i piani di volo dei droni, mentre il software è in grado di calcolare la conformazione del terreno, la presenza di ostacoli e il traffico degli altri velivoli senza pilota, legandoli agli Open Data fornita dalla città stessa così da ottimizzare il funzionamento di tutta la flotta nel suo complesso. L’infrastruttura per la connettività a banda larga cui si appoggia la piattaforma di Cloud Robotics è la rete mobile 4G di Tim, molto più veloce della normale ADSL, che permette lo trasmissione di video in tempo reale senza latenza e ad alta definizione.
Le aspettative del mercato e la questione della sicurezza
È indubbio che gli utilizzi di robot aerei siano ancora più promettenti e versatili di quelli immaginabili per i robot terrestri, e gli annunci di applicazioni basate sui droni ultimamente si susseguono. La capacità di ignorare la conformazione del terreno ne permette l’utilizzo anche in situazioni di emergenza come alluvioni, terremoti e catastrofi). La possibilità di coprire dall’alto un’area considerevole di territorio consente di destinarli a compiti di monitoraggio e di ispezione (mappaggio del terreno, scansione di edifici e strutture). La grande libertà di movimento che forniscono, soprattutto all’aperto, dà la possibilità di portare una telecamera, o strumenti di misura, in luoghi altrimenti inaccessibili o difficilmente raggiungibili. Per questi motivi si possono immaginare molteplici applicazioni di piccoli droni, sia in città (ad esempio a supporto della mobilità e della sicurezza), sia in ambienti naturali (ad esempio per il soccorso o l’agricoltura), che ci prospettano scenari in cui tale tecnologia può essere di grande utilità.
La legislazione è un altro aspetto delicato, dato che tutti gli oggetti volanti sono soggetti ad una normativa per questioni di sicurezza, e i droni non fanno eccezione. Il fatto che fino a poco tempo fa tali oggetti non esistessero ha fatto sì che in molti paesi si sia venuto a creare un “buco” legislativo che rende difficoltosa la sperimentazione al di fuori dei laboratori di ricerca. L’Italia è però un’eccezione positiva: è stato emesso da pochi mesi dall’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) un regolamento ad hoc per i mezzi aerei a pilotaggio remoto il quale specifica i requisiti che un operatore è tenuto a soddisfare nell’utilizzo di tali velivoli per utilizzarli in tutta sicurezza nei nostri cieli.
La mente nuova della service robotics
Ora che la tecnologia per la robotica di servizio non ha più costi proibitivi, la vera sfida sta nel trovare il modo migliore e anche – perché no – più elegante, per gestire ed implementare progetti come quelli a cui Fly4SmartCities sta aprendo la via. Le risorse che servono di più non riguardano semplicemente la tecnologia, ma necessitano di creatività e di una competenza multidisciplinare molto difficili da ottenere tramite la classica impostazione della ricerca accademica, che spesso funziona per compartimenti stagni.
L’essenza della Cloud Robotics sta infatti nell’unire la presenza e la capacità di operare nel mondo reale tipica dei robot alla mente distribuita che è possibile ottenere dalla nuvola. E per arrivare a questo risultato non servono solo macchine, ma anche un design robusto del software, degli algoritmi efficaci e una vera e propria ecologia delle informazioni in grado di gestire un sistema che operi nel mondo reale. Se la “mente” dei robot viene spostata negli algoritmi che girano nella nuvola, non è la macchina a diventare intelligente, ma l’intero sistema composto da operatori umani, flotte di droni e centro di elaborazione dati. Ma se si hanno questi ambiziosi obiettivi, è necessaria un’alchimia di competenze che ha bisogno del giusto contesto in cui maturare.
Il ruolo dei robot nella società
Mentre la robotica in alcuni settori – si pensi all’automazione industriale e all’impiego sempre più diffuso di droni in ambito militare – è già in una fase che si può considerare avanzata, per quanto riguarda la vita di tutti i giorni stiamo infatti solo ora muovendo i primi, anche se promettenti, passi. Eppure in gioco non c’è più soltanto la coolness dell’ultimo gadget. Partendo dall’esempio di Fukushima, ma anche, senza andare troppo lontano nelle spazio e nel tempo, dalle recenti alluvioni che hanno colpito il nostro paese, nuovi sistemi di allerta e monitoraggio potrebbero dimostrarsi di indubbia utilità nella gestione del nostro territorio, il quale, con i mezzi attuali, non sembra essere più in grado di affrontare gli stress ambientali e idrogeologici a cui è sottoposto.
L’eventuale robotizzazione della società non avverrà dunque con l’invasione di androidi dalle fattezze antropomorfe, ma sarà piuttosto caratterizzata da una diffusione dell’intelligenza degli algoritmi nell’ambiente che occupiamo, con la finalità, tra le altre cose, di renderlo un po’ più sicuro. Robotica, Cloud e Internet delle Cose rappresentano in questo senso diverse sfumature di una stessa rivoluzione. L’innovazione infatti non si muove per compartimenti stagni e ogni progresso in ognuno di questi campi si rifletterà “a cascata” sugli altri due. Il futuro potrebbe davvero arrivare in modo discreto, con la progressiva adozione su scala sempre più ampia di sistemi come quello immaginato dal CRAB di Torino.
Per conoscere l’impegno di TIM sulla creazione dei JOL leggi l’intervista a Gabriele Elia pubblicata su Gli Stati Generali.
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