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Immuni: ma la funzione fondamentale non si capisce
Un precetto di base nella progettazione di contenuti digitali (ma dovrebbe essere valido in generale, nella vita) è quello di farsi capire non dal più abile, ma dal meno capace. Non è l’utente che deve approvare il prodotto, ma – vecchia battuta – l’utonto. Non deve funzionare per chi ha i mezzi più aggiornati e performanti, ma soprattutto per il più sfigato, quello col telefonino vecchio, il sistema operativo obsoleto, la connessione scadente. Non deve farsi capire dal più competente, ma dal più stupido, dal più ignorante in materia, dallo straniero, dal presbite e dal distratto.
E tanto più in una app che dovrà garantire il diritto alla salute di tutti i cittadini, utonti compresi.
Un altro precetto cruciale nelle fasi di sviluppo, debug (in cui si cercano gli errori), demo (in cui si mostra il funzionamento), beta (in cui si sottopone con cautela ai primi utilizzatori), lancio (in cui si sottopone al pubblico) non è raccogliere i commenti (il feedback!) di chi strilla più forte o di chi è più esperto ma ascoltare il silenzio di chi non capisce e perciò si allontana.
E così dopo settimane di disquisizioni competentissime su privacy e bluetooth, dopo giorni di discussione sulle pari opportunità delle icone, dopo procedure di installazione e compatibilità e aggiornamento sistemi operativi e proteste delle nicchie nerd e pur con persistenti dubbi sull’efficacia pratica più che su quella informatica, ora finalmente partono le prime esperienze popolari di funzionamento del tracciamento dei positivi tramite app Immuni.
A prova di utonto, la app Immuni rispetta alcuni dei precetti di base: poche azioni, pochi comandi, disegni esplicativi fumettosi, testi semplici.
Però a una piccola verifica sulla “progettazione dell’esperienza” (UXDesign, User eXperience Design) e sulla scelta delle parole (Copywriting & Wording), si ha l’impressione che sia rimasta una pagina non finita, ed è la pagina principale.
Resta cioè oscura la funzione fondamentale: ovvero, come segnalare se si è positivi al virus in modo da poterlo condividere con i propri contatti, e come sapere se si è a rischio contagio.
E cosa fare prima e dopo.
La spiegazione della funzione fondamentale dell’app è stata inserita nel bottone Come funziona. Dice: “Chi risulta positivo sceglie se condividere i propri codici casuali. Gli utenti che sono risultati positivi al virus possono caricare su un server i codici casuali che i loro dispositivi hanno trasmesso nei giorni precedenti, in modo da renderli disponibili agli altri utenti”.
Chiaro, no? Sempre ammesso che qualcuno lo legga.
Perché per il design è essenziale che l’uso di qualsiasi oggetto, compresa una app, sia intuitivo senza dover leggere la guida.
Ma noi l’abbiamo letta e abbiamo capito che se siamo positivi dobbiamo “caricare su un server i codici casuali”. Ricordiamoci questa espressione, ci servirà.
Immaginiamo quindi di aver incrociato una persona poi rivelatasi positiva (escludiamo che fosse un positivo sfuggito alla quarantena, che non userebbe la app): ci aspetteremmo un’area in cui verificare se e dove e quando e per quanto tempo siamo stati in contatto, nel modo più anonimo ma circostanziato possibile in modo da poterci regolare.
Quest’area non c’è, non si vede un bottone. Forse si attiverà da sola? Il telefono squillerà, vibrerà, manderà notifiche, aprirà mappe lampeggianti, suoneranno alla porta direttamente il professor Crisanti o l’assessore Gallera con il tampone in mano? Non è chiaro. Lo scopriremo incrociando le dita.
Ma immaginiamo invece di aver fatto il mitologico tampone e apprendere di essere positivi: in preda all’emozione cerchiamo un bottone ben evidente con una scritta chiara che ci permetta di condividere questa preziosa informazione con chi incrocia il nostro smartphone. Il bottone non c’è.
La funzione si trova invece sotto l’etichetta Impostazioni, dove di solito nelle app si aggiusta qualche dettaglio tecnico o si personalizza l’uso.
E la funzione non si chiama per esempio Segnala se sei positivo, ma Gestione dati e Caricamento dati, tipica espressione tecnica che indica lo spostamento di informazioni da un computer a un database e loro trattamento nel database. Gergo da informatici.
Noi che ci siamo appuntati l’espressione “caricare su un server i codici casuali” abbiamo capito che la funzione fondamentale è questa. Ma chi non sa di avere “dati da caricare” o da “gestire”, forse non la aprirà.
L’impressione è di una pagina non finita, in cui è rimasta la terminologia di lavorazione inserita dal programmatore, senza essere passata al vaglio dello User experience designer o del Copywriter che sanno precisamente cosa deve succedere in questo punto e sanno come dirlo.
Accade, a volte, che si trovino parti di siti o di app in cui c’è ancora scritto “Lorem ipsum dolor sit amet” o “pippo pluto paperino”, tipici testi provvisori: spesso accade in pagine secondarie o per funzionalità abbandonate o non ancora implementate. Ma questo è il cuore di Immuni, la sua ragione di esistere: e proprio qui sembra che non sapessero cosa scrivere.
Dunque superiamo questa sensazione di provvisorio e apriamo le Impostazioni: il Caricamento dati consiste nella comunicazione di un codice casuale a un server centrale. Ovvero, inviando questo codice comunicheremo qualcosa a qualcuno. Non è spiegato cosa. Forse è il modo per segnalare se si è positivi e va usato solo con tampone positivo? Supponiamo di sì, ma non c’è scritto.
C’è però un’avvertenza in rosso: “Questa funzione richiede l’assistenza di un operatore sanitario autorizzato”. Non c’è scritto, come sarebbe più chiaro, per esempio: “Schiaccia il bottone se sei positivo” oppure “se sei positivo chiama il tuo medico e leggigli questo codice”, oppure “la persona che ti ha comunicato l’esito del tampone ti chiederà di leggere questo codice”.
E poi chi è questo “operatore sanitario autorizzato”? È il mio medico di base? È la persona che mi ha fatto il tampone? E se no, esiste una lista di autorizzati? In quale caso devo contattarlo per avere assistenza? Come devo contattarlo? O viene avvertito automaticamente dell’esito del tampone? O mi contatterà lui?
Non si capisce. Ma vediamo in cosa consiste l’operazione.
Primo passaggio: “Comunica questo codice all’operatore sanitario”. Significa “Se sei positivo schiaccia il bottone per condividere l’informazione”? Non è spiegato in quale caso devo comunicarlo. E come faccio a comunicarglielo se non so come contattarlo?
Ma ipotizziamo che io sia con il mio medico o in ospedale e l’operatore sanitario autorizzato sia qui con me. Gli comunico (a voce?) il codice. In ogni caso il bottone è due passaggi più sotto, non qui: andiamo con ordine.
Secondo passaggio: “Attendi la conferma dell’operatore”. Quale conferma devo attendere? Speriamo che l’operatore sia qui con me o al telefono e mi dia conferma con un cenno del capo. O che la app si illumini, vibri eccetera. Attendo.
Se invece non sono con l’operatore e la conferma non arriva, che faccio?
Passo al punto 3, “Per poter proseguire, verifica l’autorizzazione”.
L’unica persona per cui si è parlato di autorizzazione è il misterioso operatore sanitario. Quindi sto per verificare la sua autorizzazione, nell’attesa della conferma di punto 2? E se proseguo, verso cosa proseguo? Dovrò caricare altri dati, ma quali?
Nel dubbio, una verifica non farà mai male. Che faccio, verifico?
Ma toccando il bottone “Verifica” attivo una verifica sull’operatore o sul tampone?
Boh, io nel dubbio verificherei.
Ma non è che poi mi scatta la quarantena?
E se mi scatta, chi devo chiamare?
L’operatore sanitario autorizzato?
E chi è?
E così da capo, lorem ipsum.
(Questa immagine fa parte delle risorse grafiche ufficiali disponibili per il download nel sito https://www.immuni.italia.it/ ma solo la prima schermata è visibile nella app senza l’assistenza di un operatore sanitario autorizzato)
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