Black Lives Matter anche in Italia: si inizia dalle piazze
Nel weekend di sabato 6 e domenica 7 giugno in numerose città italiane sono stati organizzati sit-in in sostegno del movimento “Black Live Matters” e contro la discriminazione razziale. Negli Stati Uniti le proteste sono divampate in seguito all’omicidio di George Floyd in Minnesota da parte di un poliziotto bianco. Ma mentre oltreoceano le strade sono state rivendicate da un movimento che segue una lunga lotta contro il razzismo sistematico e la violenza istituzionalizzata, un movimento che ha visto il suo apice in figure iconiche come Martin Luther King, Malcom X e Angela Davis, in Italia la presa di coscienza in merito alla discriminazione razziale è ancora ai primi passi. Motivo per cui i sit-in tenutisi nelle piazze delle maggiori città italiane sono state un momento di grande importanza, non soltanto per manifestare solidarietà a chi dal 25 maggio sta protestando negli Stati Uniti, ma soprattutto per porre l’accento sulla situazione italiana.
Milano, Roma, Torino, Bologna sono solo alcune delle città da cui si sono levati cartelli invocanti la fine del razzismo e il diritto di ogni uomo a essere trattato con dignità e rispetto. Si sono tenuti 8 minuti e 46 secondi di silenzio, ovvero l’equivalente del tempo per cui l’ex agente Derek Chauvin ha premuto il ginocchio contro il collo di George Floyd causandone la morte: un gesto di commemorazione simbolico, ma anche un modo pratico per capire quanto possono essere lunghi otto minuti e quanta indifferenza possono contenere.
Le numerose associazioni che hanno sostenuto le manifestazioni hanno poi portato testimonianze di quelle storie che spesso non hanno spazio per essere raccontate, perché quotidiane e perché sviluppate in una narrativa di minoranze che non ha spazi adeguati nella sfera pubblica nazionale. Si è parlato della violenza che anche in Italia ha portato alla morte di numerosi cittadini di origine straniera e di tutti i morti senza nome dimenticati sul fondo del Mediterraneo, ma non solo. Si è parlato di cosa significhi essere italiani, nati e cresciuti in questo paese ma di non poterne fare parte. Dallo ius soli, alla rappresentazioni nei media e nel tessuto sociale, alle difficoltà che i bambini immigrati trovano nel crescere in un sistema che li considera costantemente diversi. Si è parlato di come sia normalizzato “dare del tu” a chi ha la pelle di un colore diverso a prescindere dall’età e di quanto l’Italia non abbia mai fatto i conti con il passato coloniale, con le leggi razziali contro le coppie miste e con gli abusi portati avanti in Eritrea, Etiopia, Somalia e Libia. Si è parlato della situazione dei braccianti e di tutte le vittime dell’odio razziale in Italia.
Poetesse, cantanti, rapper, attivisti di diverse nazionalità hanno raccontato storie piene di sofferenza, ma con rabbia e quasi stupore hanno potuto celebrare quello che è sembrato un inizio, l’inizio della presa di coscienza del privilegio bianco, che porta necessariamente con sé una dinamica di potere che dobbiamo imparare a riconoscere.
Espérance Hakuzwimana Ripanti, autrice e attivista culturale conosciuta su instagram come unavitadistendhal, ha risposto ad alcune domande esplicitano dei concetti comparsi trasversalmente nei numerosi interventi. Innanzitutto abbiamo chiesto a lei il motivo e il senso di questa protesta in Italia che, ha ribadito, “ha scosso le coscienze e ci ha dato modo di prendere la parola per raccontare quello che succede nel nostro paese, in cui non parliamo della stessa violenza che si è vista negli USA, ma dove le istituzioni non permettono alle persone con origini diverse di avere gli stessi diritti degli altri. Questa è l’occasione per prendere coscienza, ma non può che essere l’inizio perché dobbiamo continuare a parlarne e a lottare”.
Per una persona bianca trovarsi al centro di queste proteste risveglia tante domande, ma la principale è “cosa possiamo fare?”. Espérance ha una soluzione praticamente divisa in tre punti, che non lascia scampo al silenzio (come recitano molti cartelli “White silence is violence”). “Innanzi tutto è importante trovare dei posti per ascoltare le voci per non dire “io non ne so niente”. L’atto dell’ascolto è fondamentale per poi empatizzare e capire. Non si capirà mai al 100%, ma si può diventare consapevoli del proprio privilegio. Non è facile vivere sapendo che si ha un privilegio ma solo da li si può partire per un vero dialogo.”
Le donazioni a sostegno di varie associazioni, pratica ampiamente utilizzata anche negli USA come forma di compensazione “è soltanto un lavarsi la coscienza. Inoltre l’Italia ha molto interiorizzato questa cosa del “faccio del bene” perché adotto a distanza o perché sostengo un’ONG, ma l’antirazzismo non è solo quello: non è un’azione che si vede all’esterno ma un processo che va interiorizzato. Non possiamo pensare di essere brava gente e trovare sempre il modo di giustificarci. Dobbiamo smettere di dire che l’Italia non è razzista, perché l’Italia è razzista e prima lo capiamo e meglio è.”
Espérance non è la sola a chiedere alla folla in piazza dove fosse prima di oggi e dove sarà domani, quando il sostegno mediatico a supporto di Black Live Matters andrà scemando. Chi è stato vittima di discriminazione per tutta la vita guarda alle piazze italiane con la felicità di essere finalmente riconosciuto e supportato dalla propria città, ma anche con il grande dubbio su quanto questo cambiamento sia reale. Abbiamo quindi chiesto quali possano essere i prossimi obiettivi per le minoranze italiane.
Innanzitutto torna l’ascolto, che è la base per una vera rappresentazione all’interno delle istituzioni “voglio andare in banca e trovare un impiegato nero, andare a scuola e trovare un’insegnante indiana: non basta essere presenti nella musica e nello sport”. Un altro punto che emerge come primario da cartelloni, interventi e senso comune è lo ius soli. Come dice Espérance “attualmente in Italia ci sono circa 9000 bambini nati e cresciuti qui ma che si scontrano con la burocrazia italiana e si rendono conto fin da subito di essere diversi, di non essere accettati dal loro stesso paese.” Il bisogno di una nuova forma di rappresentazione torna nell’appello a un’etica giornalistica in cui si smetta di definire gli stranieri come “clandestino”, “senegalese” o “nigeriano”: “in questo modo noi non possiamo riconoscerci nei media. Oltre al fatto che nelle redazioni sono tutti bianchi, i media sono anche pensati per un pubblico bianco. Ma io leggo il giornale e voglio trovare articoli che parlino di me con dignità”.
La scelta della forma del sit-in è stata fatta in modo da poter garantire il rispetto delle norme del distanziamento sociale e gli enti organizzatori hanno più volte sottolineato la necessità di mantenere le distanze (segnalate da indicatori posizionati sul pavimento), indossare le mascherine e non lasciare immondizia sul luogo. In alcuni casi, però, il sit-in è poi confluito in un corteo, non autorizzato a Torino, o guidato dagli organizzatori a Milano, dove si è scelto di spostarsi sotto la pioggia scosciante da Piazza Duca d’Aosta a via Zuretti, dove nel 2008 Abdul William Guiebre (Abba) venne ucciso a sprangate.
Nessun commento
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.