Innovazione

Innovazione e lavoro: Yezers incontra Alessandro Giaume

18 Luglio 2019

Come già spiegato nel nostro articolo di presentazione, Yezers dedica grande attenzione al mondo del lavoro e alle sue trasformazioni. Su questa base abbiamo avviato un ciclo di incontri con personalità esperte nel settore per capirne meglio le dinamiche, ed in particolare il ruolo che possono giocare i giovani. Nel primo incontro – descritto nell’articolo Giovani, lavoro e oltre: una riflessione con Luca De Vecchi e Davide De Luca – abbiamo parlato di disoccupazione giovanile, normativa, pensioni e reddito di cittadinanza, allargando anche la discussione a temi più ampi come la coscienza e la partecipazione giovanile. Per il secondo incontro, abbiamo voluto approfondire il tema dell’innovazione e di come questa stia impattando sul lavoro. Ne abbiamo discusso con Alessandro Giaume, ingegnere e manager con esperienza trentennale nel campo dell’innovazione aziendale e della tecnologia, innovation director presso Ars et Inventio (Business Integration Partners), autore di svariate pubblicazioni nel settore e direttore editoriale della collana “Business 4.0” per la casa editrice Franco Angeli.

E dunque quali cambiamenti stanno avvenendo nel mondo del lavoro a causa dell’avanzare impetuoso dell’innovazione? Secondo Giaume, il nocciolo del problema risiede proprio nell’utilizzo delle nuove tecnologie, che prevedono competenze inedite per essere gestite – competenze che molto spesso si devono costruire da zero, proprio perché interessano campi e applicazioni del tutto nuovi – e che siano in grado di far fruttare i vantaggi da esse generati. Il punto cruciale è che la velocità di questa trasformazione rende difficile l’inserimento dei lavoratori nel mondo che ne deriva: il re-skilling del personale lavorativo, condizione necessaria per sfruttare al meglio le opportunità derivate dalla trasformazione tecnologica, fa fatica a stare al passo della stessa. E se anche velocizzassimo i tempi per affinare le competenze e l’inserimento dei lavoratori in questo framework in continuo mutamento, non sarebbe comunque scontato trovare adeguata offerta per i background professionali ricercati. A ciò si aggiungono ulteriori problematiche specifiche e strutturali del nostro Paese che riguardano le enormi differenze nelle opportunità di occupazione tra le diverse aree del territorio nazionale e la scarsa mobilità della popolazione – disequilibrio non affatto corretto dai centri per l’impiego, che difficilmente sono in grado di ricollocare adeguatamente i lavoratori .

La questione è anche strettamente collegata al mondo delle aziende, che sembrano non essere totalmente in grado di implementare progetti di intelligenza artificiale, o più in generale di innovazione, capaci di renderle competitive globalmente e reattive coerentemente con le richieste di mercato. Secondo Giaume, la soluzione risiederebbe proprio nell’allineare la formazione professionale dei lavoratori con le necessità delle aziende. Infatti, le competenze, seppur fondamentali e non sostituibili, si possono costruire “imparando ad imparare”, attraverso l’unica vera competenza imprescindibile, ossia la capacità di apprendere in funzione del momento e del settore. Le aziende dovrebbero quindi investire più sull’attitudine, sulla capacità complessiva di un lavoratore piuttosto che sulla mera competenza, che rischia di essere troppo limitata e soprattutto velocemente superata.

Ma alla base di tutto si trova una questione culturale più profonda, vale a dire una perdita di valori determinata da un lato dall’allontanamento della società civile dai valori fondamentali e dalle questioni cruciali che in realtà la interessano in prima persona, e dall’altro dall’incapacità della classe dirigente che ha, o avrebbe, la responsabilità di far passare tali valori. In effetti siamo tutti coinvolti, e la “colpa” (volenti o nolenti, attivi o passivi) è proprio la mancanza di responsabilità, caratteristica che deve essere intrinseca in ciascuno di noi e non può essere insegnata o impartita da esterni. Essere responsabili vuol dire in primis esserlo di noi stessi: è questo che in definitiva rende la questione un tema di persone, nonostante il ruolo della tecnologia all’interno dell’azienda. E anzi, tanto più aumenta il tasso di tecnologia, tanto più alta è la responsabilità individuale. Stiamo vivendo un dramma etico che nessuno di noi pare stia affrontando coi giusti mezzi; preferiamo invece affidarci a personalità forti del mondo politico, pseudo-programmi elaborati per risolvere tutti i problemi in una volta, algoritmi pensati per catturare potenziali clienti, in grado di orientare le scelte distorcendo completamente qualsivoglia responsabilità etica.

Cosa serve dunque per rimettere l’Italia nella giusta direzione? E che ruolo possono svolgere i giovani? Una possibile risposta secondo Giaume risiede nell’open innovation, ossia il processo tale per cui le aziende incamerano la tecnologia di altri e la restituiscono dopo aver fornito il proprio contributo, creando un network di do ut des vincente per soddisfare i bisogni di tutti gli attori in campo. L’open innovation, in cui naturalmente le informazioni non sono date per vere a prescindere, ma piuttosto filtrate sia in entrata che in uscita, ha come fondamento la coscienza che l’innovazione sia primariamente un fenomeno collettivo. Per poter essere protagonisti del fenomeno, i giovani devono essere disposti a farsi carico di questo costante flusso di informazioni e di ricevere responsabilità anche in qualche modo “sovradimensionate”, per poter interpretare e prevedere il mercato e gestire la filiera nella sua interezza, con lo scopo di generare valore e aumentare la produttività delle imprese.

In ultima istanza, peraltro in un framework lavorativo preoccupante nel nostro Paese, in cui soprattutto la manifattura (carro trainante dell’economia per molto tempo) è in calo, è necessario avere un’attitudine improntata all’innovazione. Oggi – ma forse in questo l’epoca attuale non è tanto diversa da quelle passate – il successo in ambito economico risiede nella capacità di anticipare i tempi.

 

Giulia Lizzi

Redazione di Yezers

 

Samuel Carrara

Responsabile Editoriale di Yezers

 

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