In pochi anni AriSLA, la Fondazione Italiana di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica, è diventata uno dei principali organismi in Italia e in tutta l’Europa ad occuparsi esclusivamente di finanziare la ricerca scientifica sulla SLA.
Nata nel dicembre 2008 dall’intuizione e dalla lungimiranza di quattro Soci Fondatori che nell’ambito del non profit rappresentano ancora oggi una garanzia di serietà ed eccellenza (AISLA Onlus – Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, Fondazione Cariplo, Fondazione Telethon, Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport Onlus) AriSLA ha finanziato in questi anni ben 113 gruppi di ricerca. Non si conoscono infatti, nonostante il lavoro ostinato di moltissimi ricercatori, le cause di questa malattia, e non esiste una vera a proprio cura.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica, conosciuta anche come malattia di Lou Gehrig, è una malattia neurodegenerativa progressiva dell’età adulta che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Nei pazienti SLA le capacità cognitive e sensoriali rimangono però nella maggior parte dei casi intatte. Solo in Italia si contano circa 6000 malati e l’aspettativa di vita dopo la diagnosi è mediamente di 3-5 anni.
Ne abbiamo parlato con Stefania Guareschi, responsabile dell’ufficio scientifico di AriSLA, che si occupa di sostenere, promuovere e finanziare la ricerca scientifica sulla SLA in Italia, e con il dottor Alberto Inuggi della Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, coordinatore scientifico del progetto di ricerca tecnologica ALLSpeak, risultato vincitore dell’Ice Bucket Call 2015 di AriSLA.
Stefania, cosa significa avere la SLA oggi?
Significa vivere con una malattia neurodegenerativa rara, caratterizzata dalla degenerazione dei motoneuroni, le cellule responsabili della contrazione della muscolatura volontaria. La SLA nel tempo immobilizza, impedisce di comunicare, fino a compromettere le funzioni vitali come la deglutizione e la respirazione, ma mantiene viva la capacità di provare emozioni e, nella maggior parte dei casi, intatte le capacità cognitive. Di questa malattia così devastante non si conoscono con certezza le cause, la diagnosi avviene per esclusione e, attualmente, non esiste una terapia risolutiva efficace: l’unico farmaco che ne rallenta la progressione di pochi mesi è il Riluzolo. L’incidenza della malattia, ossia il numero di nuovi casi diagnosticati in un anno, è di 1,5-2,4 su 100.000 abitanti, con 3 nuove diagnosi ogni giorno. In Italia sono circa 6000 le persone che vivono ogni giorno con la SLA. Fondazione AriSLA è nata proprio con l’obiettivo di poter dare risposte a queste persone sostenendo la migliore ricerca scientifica del nostro Paese, quale unico strumento capace di poter individuare terapie efficaci e sicure per i pazienti.
Quali risultati ha ottenuto la Fondazione in questi anni?
Ad oggi Fondazione AriSLA ha investito oltre 10,6 milioni di euro in attività di ricerca, supportando 62 progetti e 260 ricercatori su tutto il territorio nazionale. In considerazione della complessità della malattia, ci siamo impegnati a sostenere diverse aree di ricerca: da quella di base per lo studio dei meccanismi legati all’esordio della patologia, alla ricerca traslazionale o preclinica, fino alla ricerca clinica e tecnologica, direttamente orientate al miglioramento della qualità di vita del paziente. Negli ultimi tre anni in particolare la Fondazione ha orientato la propria strategia di investimento in progetti sempre più vicini ai bisogni delle persone con SLA. Tra il 2013 e il 2016, infatti, ben il 36% dell’intero finanziamento è stato rivolto al sostegno di studi clinici e di tecnologie assistive. Ne sono un esempio le due “Ice Bucket Call for Clinical and Assistive Technology Projects” del 2015 lanciate grazie alle donazioni raccolte dall’omonima campagna, promossa in Italia da AISLA Onlus. A guidarci nella selezione dei progetti candidati al nostro Bando annuale è sempre il merito e l’eccellenza e per questo motivo la valutazione avviene tramite un metodo accreditato a livello internazionale chiamato peer-review, il quale garantisce trasparenza e totale imparzialità da parte dei valutatori.
Com’è la situazione della ricerca oggi nel nostro Paese?
La comunità scientifica italiana sta vivendo un momento particolarmente positivo e negli ultimi anni ha avuto un significativo ruolo nella scoperta, ad esempio, di nuove mutazioni che causano la malattia, grazie anche alle numerose collaborazioni internazionali. In particolare 3 progetti finanziati da Fondazione AriSLA hanno partecipato all’identificazione di 5 degli 8 nuovi geni coinvolti nell’insorgenza della SLA, scoperti negli ultimi cinque anni. Per quanto riguarda la ricerca clinica, AriSLA ha promosso l’avvio di quattro trial multicentrici sulla SLA, favorendo la creazione di un network clinico che coinvolge 25 centri di eccellenza su tutto il territorio nazionale, dimostrando come sia possibile fare rete e mettere a patrimonio comune strumenti e conoscenze. L’eccellenza della comunità scientifica che si occupa di SLA in Italia è dimostrata anche dal numero di pubblicazioni sulla malattia: grazie anche agli investimenti di Fondazione AriSLA, che ha contribuito con le pubblicazioni scaturite dai progetti finanziati per circa il 20% della produzione nazionale, l’Italia si è posta negli ultimi 5 anni come seconda comunità al mondo, dopo gli Stati Uniti (Fonte Gopubmed – dati aggiornati a febbraio 2017, ndr).
Mattarella durante la giornata per le malattie rare ha affermato I pazienti di malattie rare sono vulnerabili più di altri: lo abbiamo appena inteso. Spesso faticano a ricevere un’assistenza adeguata. Cosa significa per voi assistenza adeguata?
Le parole del Presidente Mattarella sono ampiamente condivisibili e pongono l’attenzione su quanto le persone affette da patologie particolarmente difficili e invalidanti come la SLA abbiano necessità di ricevere assistenza, intesa come una reale e concreta presa in carico della persona, ma anche del nucleo famigliare. Bisogna garantire il miglior percorso di cura ad ogni persona che esprime un bisogno reale di salute, con lo scopo di migliorare la sua qualità di vita. In questo senso, Fondazione AriSLA si inserisce in un modello di intervento che vuole aggredire con efficacia la Sclerosi Laterale Amiotrofica, attraverso un approccio a 360°: a partire dalla ricerca scientifica, per porre attenzione all’assistenza grazie ad AISLA Onlus – l’Associazione dei pazienti con SLA – fino alla presa in carico della persona con SLA attraverso un modello clinico interdisciplinare dei Centri Clinici Nemo.
Il dibattito sull’eutanasia legale si è riacceso in questi giorni per la vicenda di Dj Fabo, tetraplegico e cieco a causa di un grave incidente che ha scelto il suicidio assistito. Vi siete mai trovati come AriSla a confrontarvi con pazienti che desiderassero l’eutanasia legale?
No, ad oggi ci contattano persone affette da SLA che esprimono una grande voglia di vivere: sono persone molto combattive e ci contattano per essere aggiornate sullo stato di avanzamento della ricerca sulla SLA. Spesso ci chiedono informazioni su progetti specifici o sulle modalità di partecipazione ai trial clinici in corso. Per noi, così come per il ricercatore, il paziente rappresenta il principale motore che dà ragione del nostro impegno quotidiano e in quest’ottica anche il confronto con la persona che vive l’esperienza della malattia si rivela un continuo stimolo.
Legacoop Lombardia ha dato il via ad un crowdfunding creato per sostenere quattro progetti meritevoli dal punto di vista civile, sociale, scientifico e culturale. Tra questi ci siete anche voi. Come avete intenzione di utilizzare i soldi che raccoglieranno?
Siamo molto grati a Legacoop Lombardia per averci voluto coinvolgere nella campagna Testimoni di libertà, riconoscendo alla nostra realtà l’impegno profuso a sostegno dell’eccellenza della ricerca scientifica sulla SLA in Italia. Grazie a questa iniziativa, in particolare, potremo sostenere il progetto di ricerca tecnologica “ALLSpeak”, risultato tra i progetti vincitori dell’Ice Bucket Call 2015 di AriSLA e coordinato proprio da Alberto Inuggi della Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.
Dottor Inuggi qual è l’obiettivo del progetto AllSpeak?
L’obiettivo di AllSpeak è trasformare il proprio smartphone in uno strumento di supporto alla comunicazione verbale. L’idea è installare una semplice App ed addestrarla a riconoscere alcune brevi frasi. L’App, tuttora in fase di sviluppo, è pensata per riconoscere tutte, e solo, le frasi addestrate; anche durante le fasi molto avanzate della malattia quando tali espressioni non risulteranno più minimamente comprensibili dall’orecchio umano. A fronte di marcati cambiamenti nella fonazione delle stesse, dovuti al progredire della malattia, tale processo di addestramento potrà essere ripetuto in modo da adattarvisi efficacemente. L’App prevede inoltre la possibilità, a discrezione dell’utente, di poter inviare dati e informazioni ad un sito web a cui potrà accedere il medico curante, per monitorare l’evoluzione delle capacità comunicative del paziente.
Com’è nato un progetto di questo tipo?
AllSpeak nasce dall’unione di diverse professionalità presenti all’interno del nostro Istituto. Io personalmente, durante i miei anni di ricerca al San Raffaele di Milano, ho studiato gli effetti della malattia sul cervello dei pazienti, l’Ing. Badino è un esperto di riconoscimento automatico del parlato ed il Dott. Riva gestisce il centro SLA del San Raffaele e conosce le esigenze dei pazienti. Il gruppo di lavoro può annoverare inoltre una logopedista, un programmatore di siti web, un grafico ed un esperto di questioni etiche. Insieme abbiamo ideato questo progetto, cercando di mettere in primo piano le necessità del paziente.
Quanto e come possono incidere le nuove tecnologie nell’assistenza ad un malato di SLA?
In attesa di una cura efficace, la tecnologia ha esteso la durata di vita dei pazienti, e ne ha migliorato anche la qualità. Oltre ai consueti strumenti per aiutare la respirazione e la deambulazione, diverse soluzioni sono state adottate per aiutare i pazienti a comunicare i propri bisogni. Essendo i muscoli oculari spesso gli ultimi ad essere colpiti dalla malattia, esistono apparecchi che permettono di seguire il loro movimento ed aiutare il paziente a selezionare determinate parole da un foglio o uno schermo di un computer. Il nostro approccio vuole invece essere più intuitivo, cercando di sfruttare la vocalità residua dei pazienti, permettendo a questi ultimi di utilizzare ancora la propria voce.
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.