Foodora e altre bagatelle sul lavoro che verrà
Domenica, in occasione del Festival del Cambiamento, ho partecipato ad un panel di presentazione di Sharitaly, l’evento principale sulla Sharing Economy in Italia, che si terrà a Base Milano il 15-16 Novembre, e che sarà dedicato a valutare l’impatto delle pratiche collaborative sulla carne viva della nostra società. Non poteva non fare capolino nella discussione l’affaire Foodora, che di condivisione in condivisione aveva generosamente invaso le nostre bacheche Facebook e i nostri spazi virtuali. Il primo sciopero della Sharing Economy, come è stato ribattezzato dai diversi giornali era, e non poteva non essere, l’argomento du jour. E tutto questo al netto che si trattasse di uno sciopero, che fino a prova contraria è una fattispecie ben individuata dal Legislatore Italiano, e che si trattasse di Sharing Economy, argomento che invece il Legislatore non ha ancora normato (anche se ci si sta dedicando con entusiasmo degno di migliori intenzioni). A prescindere dalla formula giornalistica, molto efficace dal punto di vista comunicativo sebbene poco rigorosa in termini scientifici, il tema non può essere svicolato: che sia o non sia sharing economy, che sia o non sia sciopero, quello che si aveva, e si ha, davanti agli occhi era un sopruso bello e buono, un atto di arroganza da parte di una multinazionale contro lavoratori sfruttati e malpagati. Per dirla à la Rino Gaetano.
Peccato che quei lavoratori atipici (fino a quando continueremo a chiamarli così?) non sono più una nicchia da osservare e analizzare, ma una crescente realtà con cui doversi confrontare (e su cui il ceto medio costruisce una parte del proprio benessere, a dirla proprio tutta). Ad oggi nel mondo ci sono milioni persone sono a tutti gli effetti dei platform workers: autisti di Uber, ciclisti di Foodora, tuttofare di Taskrabbit, shopper di Instacart. E non è che l’inizio. L’impatto delle piattaforme è tale che anche i lavoratori di concetto, come si sarebbe detto una volta, a breve non saranno più al riparo dagli effetti della disruption digitale.
Lascio ad altri disquisire su cosa sia sharing e cosa non lo sia, cosa comunque molto importante per cui invito a leggere questo illuminante post del Professor Luigi Corvo, ma il tema, a mio modo di vedere, è capire come queste piattaforme trasformino e modellino il lavoro, definiscano nuovi archetipi che nulla hanno a che fare con le tradizionali tipologie di lavoratore autonomo e lavoratore dipendente, e come tutto ciò si incroci con la crescente automazione destinata inevitabilmente a ridurre il ruolo del Lavoro nell’offerta di valore dell’impresa. Insomma, l’affaire Foodora, aldilà del qui ed ora, ci offre un interessante spunto di riflessione sulle nuove dinamiche del mondo del lavoro e su come il valore generato venga redistribuito sui territori e sulla comunità
In un recentissimo report prodotto dall’Institute for the Future di Palo Alto si cercano di affrontare questi temi e di guardare ai rischi, ma anche alle opportunità, che l’economia on demand riserva, individuando i nuovi “building blocks” dell’economia e del mercato del lavoro del Terzo Millennio: dall’algoritmo che definisce la nostra appetibilità sul market di riferimento (chi lo stabilisce? In base a quali parametri?) , alla capacità di questo lavoro frammentato in microtask di offrire una cornice di senso al nostro agire (come potremmo chiamare lavoro un qualcosa che si articola in mille attività una diversa dall’altra?), fino all’importantissima questione delle competenze e all’aggiornamento delle stesse. Un report che ci offre inoltre uno spaccato illuminante di come gli utenti di queste piattaforme stiano costruendo degli habit, degli orari, dei modelli di vita capaci di massimizzare il loro “esserci” sulla piattaforma riducendo al minimo le esternalità negative.
Un report che lungi dall’essere dal voler essere esaustivo si conclude con una richiesta urgentissima: se vogliamo che le nuove infrastrutture della società, le piattaforme digitali appunto, siano davvero al servizio della collettività, ovvero redistribuiscano il valore generato in maniera equa, non ci resta che progettarle insieme. Tutti. Designer, investitori, lavoratori, istituzioni.
Ah, dimenticavo: di tutto questo parleremo a Sharitaly in un panel dedicato a Sharing (o non sharing) e Lavoro. Vi aspetto.
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