Imprenditori
La rabbia del Veneto: “Volevamo meno tasse, non la decrescita irresponsabile”
C’è preoccupazione nel Veneto che produce, e che nel 2017 è cresciuto (un po’) più della media nazionale. Sia chiaro: è difficile far preoccupare chi esporta marmo rosso di Verona, apparecchiature biomediche o specialità dolciarie in mercati difficili come la Cina o il Brasile, superando i concorrenti stranieri e le pastoie di una burocrazia (nazionale, ma anche locale) a volte eccessiva; imprese che richiedono dosi industriali di pazienza, pragmatismo e resilienza.
Ma chi fa business in Veneto è preoccupato, molto preoccupato, e non ha intenzione di nasconderlo. Venerdì il presidente della Confartigianato Veneto, Agostino Bonomo, ha annunciato la mobilitazione degli artigiani della regione contro la “decrescita irresponsabile”. A Verona si pensa a una marcia pro Tav, rievocando il ricordo del corteo degli imprenditori nel 2011, a Treviso. Causa del malessere, sempre più profondo, non sono i burocrati di Bruxelles, i prezzi cinesi, gli strascichi della crisi del 2008 o i dazi di Trump, ma le politiche economiche del governo gialloverde. Che, almeno nella componente “verde” della Lega di Matteo Salvini e Luca Zaia, costituisce un punto di riferimento politico-elettorale consolidatissimo, per la regione e il suo fortissimo tessuto imprenditoriale e artigianale.
Non è una novità di oggi. A fine settembre, ad esempio, l’assemblea di Confindustria Vicenza (settima provincia italiana per numero di aziende manifatturiere) lanciava l’allarme sul rischio incertezza, e sul bisogno disperato di infrastrutture (in primis la Pedemontana e la Tav). E sempre dalla Confindustria Vicenza, è arrivato in questi giorni il giudizio del suo presidente Vescovi: “ci aspettavamo questa bocciatura [da parte di Bruxelles], probabilmente si tratta anche di una bocciatura voluta dal governo per fare dell’Europa un antagonista in vista della prossime elezioni”; e ancora, “al momento questa manovra sta disegnando un’Italia più povera”.
Girando per i centri storici di Padova, Treviso, Verona, tra vetrine che reclamizzano il Black Friday e i primi addobbi natalizi, signore ingioiellate in leggings neri ed eleganti giovanotti con baffi da hipster, si ha la sensazione di un ritorno alla prosperità del passato, quando il Nordest correva come una provincia del Far East. Ma è soltanto apparenza. Basta parlare con i negozianti e i baristi per capire che la primavera economica e occupazionale del 2017 sta cedendo il passo a un autunno piuttosto rigido. Le beghe con la UE, le chiusure domenicali, una certa retorica anti-impresa preoccupano tutti, a prescindere dal colore politico.
Naturalmente le tensioni con la Commissione Europea (che ha bocciato la manovra italiana, e aperto alla procedura d’infrazione) impensieriscono ancora di più coloro che operano sui mercati continentali e internazionali. Vincenzo Marinese, presidente di Confindustria Venezia e Rovigo, dice: «Non è una bella situazione. In primo luogo perché le tensioni [con Bruxelles] possono anche avere natura diplomatica, ma i mercati le osservano: infatti l’aumento dello spread è dovuto anche a questo. In secondo luogo, stiamo iniziando a insinuare un concetto pericoloso: che l’Italia non sia una nazione affidabile, che non punti alla crescita. E questo significa demotivare o disincentivare eventuali investimenti esteri. Noi siamo una nazione che vive sul manifatturiero, ma soprattutto sull’internazionalizzazione. Rischiamo di perdere pezzi importanti di mercato che non possiamo permetterci di perdere, né come tessuto industriale né come Paese».
Ancora, «dal punto di vista del credito stiamo facendo dei passi indietro. Io ho sostenuto, e sostengo tuttora, che con questo spread siamo in pieno credit crunch. Ci sono istituti di credito che stanno rivedendo la loro politica di affidamento. Oggi lo spread incide sui crediti finanziari per le imprese, contrariamente a quanto dice il M5S». Le banche, osserva Marinese, «in questo momento hanno ancora più difficoltà a erogare finanziamenti. E se togliamo quell’ossigeno alle PMI, il credito, le ammazziamo veramente».
C’è poi la questione delle promesse non mantenute. «Non si può vivere di spot pubblicitari. Si parlava di una grande riforma fiscale, ma io questa riforma fiscale non l’ho vista, non ce n’è traccia» conclude Marinese. Inutile dire che questa rimostranza si sente anche parlando con professionisti e partite IVA, a Rovigo come a Belluno, che fatturano poche decine di migliaia di euro.
Molta preoccupazione anche da parte di Carlo Valerio, presidente della Confederazione Italiana Piccola e Media Industria Privata (CONFAPI) Padova. «La politica economica del governo non incontra assolutamente le esigenze del settore produttivo. Si tratta di provvedimenti messi a punto per mantenere degli equilibri politici e rispettare gli impegni assunti con l’elettorato. Impegni che, l’abbiamo detto più volte, erano assolutamente esagerati e irrealizzabili. Perciò ci troviamo in una situazione piuttosto incresciosa in questo momento».
Per Valerio, «abbiamo governanti che si strappano le vesti per difendere a petto nudo i poveri e i deboli della nazione, ma facendo ciò (che è solo di facciata), in realtà stanno ulteriormente indebolendo proprio le fasce sociali più in difficoltà, perché con l’aumento dello spread cresce il costo del denaro e ne diminuisce la disponibilità». L’imprenditore lamenta anche, al pari di tanti altri, il cambio di rotta su alcuni temi cruciali affrontati dai governi passati: «le agevolazioni di Industria 4.0 (poi Impresa 4.0), le nuove regole sul lavoro che offrivano finalmente un po’ di chiarezza, l’alternanza scuola-lavoro… tutto questo sarà praticamente cancellato dalle disposizioni, ancora incerte, di cui sentiamo parlare da settimane».
Stessa opinione quella di Paolo Bettella, presidente funzione credito e finanza dell’Unione Provinciale Artigiani (UPA) di Padova: «la preoccupazione nasce dal fatto che il governo, per recuperare dei denari che gli servono per sovvenzionare il reddito di cittadinanza oppure la rivisitazione della Fornero, vuole tagliare tutte quelle misure messe in campo dai governi precedenti, che sono servite per rimettere in moto l’industria italiana dopo la crisi».
Bettella fa un caso concreto: quello di una sua azienda innovativa che lavora al 98% con l’estero: «Noi stiamo usando tantissimo i bonus per la ricerca e sviluppo del piano Impresa 4.0, bonus che ci permettono di avere ulteriore liquidità perché non paghiamo determinate tasse proprio in virtù di quella R&S; liquidità che stiamo investendo nell’azienda ampliando, assumendo persone». La primavera economica e occupazionale, però, potrebbe presto finire. Il pallino, per gli imprenditori veneti, ce l’ha il governo. E le telofante di allarme che partono dalla Serenissima per Roma, invece che per il ministro delle attività produttive, finiscono per suonare come campanelli d’allarme nelle stanze del Viminale.
Immagine in copertina: Pixabay
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