Il festival dei saperi delle donne
Negli ultimi anni si sta assistendo a una rinascita dei saperi delle donne e di genere. L’ondata dei movimenti dal basso, ultimo dei quali Non una di meno, e la lunga scia delle tradizioni femministe (non solo italiane) che ha radici negli anni Sessanta e Settanta, stanno portando a una nuova stagione di produzione culturale con saggi, graphic novel, libri per l’infanzia. Oltre ai testi scritti, ci sono anche corsi e seminari nelle università, spettacoli teatrali, film e festival. Una delle manifestazioni che si stanno imponendo nella scena italiana, arrivata alla settima edizione, è il Festival delle donne e dei saperi di genere, dal 4 al 20 aprile, a Bari e a Matera. Quest’anno la kermesse è intitolata “Nel segno delle migrazioni” ed è dedicata all’attivista Marielle Franco, brutalmente assassinata lo scorso 14 marzo a Rio de Janeiro. Ci saranno 18 eventi: 3 seminari, 4 dibattiti, 4 film e 7 incontri, come racconta Francesca R. Recchia Luciani, docente di Storia delle filosofie contemporanee all’Università di Bari, ideatrice e organizzatrice del festival, che realizza con un team di collaboratrici.
Professoressa Recchia Luciani, da dove nasce la necessità di un Festival delle donne e dei saperi di genere?
L’esigenza del festival è arrivata nel 2012, quando abbiamo iniziato ad avvertire le scosse che giungevano dall’universo delle donne, con Se non ora quando in Italia e altre iniziative all’estero. Abbiamo sentito la necessità di dare voce qui, nel sud d’Italia, a una nuova fase femminista. Dopo le prime due edizioni dedicate a Ipazia e a Carla Lonzi, già nel 2014 ci siamo rese conto che era necessario allargare il raggio, stabilire un’alleanza tra soggetti discriminati e il nostro alleato principale sono diventate le soggettività queer. Abbiamo scelto la forma del festival perché è un contenitore che dà la possibilità di intersecare i linguaggi. La filosofia è il nostro background, al quale abbiamo aggiunto il cinema, il teatro, la danza, la letteratura, il giornalismo, la performance. Vogliamo interagire con i diversi luoghi del pensiero, lavorare su linguaggi e generi linguistici differenti che però vengono messi in relazione.
In che modo i festival sono importanti per portare conoscenza su temi che spesso passano in secondo piano nel dibattito pubblico?
Il festival arriva a un pubblico molto più ampio di quello al quale arriverebbe un convegno scientifico, un seminario filosofico oppure una rassegna di teatro o cinema. Costringe chi è interessata solo a un territorio a spostarsi anche altrove. È una formula che funziona: negli anni le partecipanti e i partecipanti sono aumentati, le sale sono piene, è molto apprezzata la sezione delle proiezioni. Il pubblico è misto, anche se le donne sono in maggioranza, ma questo lo si vede anche in occasione di altri eventi culturali.
Quest’anno il Festival delle donne e dei saperi di genere si occuperà di migrazioni. Perché questa scelta?
Il tema ci ha scelto, per così dire, perché le migrazioni sono il tema del contemporaneo. Il festival è una reazione all’onda conservatrice che vediamo in Italia e nel resto del mondo. Nell’ottica dei saperi di genere abbiamo deciso di coinvolgere associazioni locali con l’idea di parlare soprattutto delle donne che, a seconda dei luoghi d provenienza, sono prive di voce. Ci interessa ascoltare la voce delle donne e dare voce alle donne e lo faremo con incontri dedicati alle parole. Nell’ultima giornata abbiamo invitato a parlare due animatrici della scuola Penny Wirton di Bari che ha come missione l’insegnamento della lingua italiana ai migranti. Noi non abbiamo paura nelle migrazioni: osserviamo da tempo come i problemi delle società multietniche e multireligiose sono stati risolti in altre parti del mondo, molto prima che da noi. Sappiamo che è astruso pensare di fermare un movimento epocale, con i divieti, i confini e le leggi. Noi crediamo che le leggi debbano orientare a un’accoglienza regolata, non alla chiusura. Per questo abbiamo invitato Tamar Pitch che ha contribuito a far nascere il femminismo giuridico e lavora sul concetto di sicurezza legato alle migrazioni, svelando quello che c’è dietro.
Nel programma ci saranno anche due incontri su questioni di “gender”. Di che cosa si parlerà?
Abbiamo invitato Sara Garbagnoli, dottoranda alla Sorbona, e Massimo Prearo, ricercatore all’Università di Verona, che hanno appena pubblicato La crociata “anti-gender”. Dal Vaticano alle manif pour tous, Kaplan edizioni. Durante l’incontro si affronterà il tema di come viene costruito un fantasma culturale, che è quello che è successo con il “gender”. Si è creato un fantomatico problema che è stato istericamente cavalcato da personaggi ambigui che seminano il panico nelle scuole impedendo a insegnanti, formatori, attiviste e attivisti di fare il loro lavoro. Abbiamo ritenuto fondamentale occuparci di questo aspetto perché la questione educativa è cruciale per costruire una società più giusta e non opprimente.
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