Immigrazione
Un migrante (italiano) Megadirettore Galattico di Ernst & Young
Dal primo luglio e per quattro anni sarà un migrante italiano, Carmine Di Sibio, il capo di Ernst & Young, che è una delle Big Four, le quattro più grandi società al mondo nella revisione contabile, nella consulenza eccetera, che sono le colonne portanti del capitalismo globale, ben più del gruppo Bilderberg tanto caro ai cazzari nostrani. Mica pizza e fichi, E&Y ha 260.000 dipendenti sparsi in più di 700 uffici di 150 Paesi al mondo e Carmine va pure a Davos, signora mia.
Carmine è un migrante, arrivato a New York a tre anni con i genitori, che avevano deciso di lasciare il loro paesello dell’Irpinia, dove non c’era futuro e non c’era nemmeno un presente.
Le donne e gli uomini di Ernst & Young che dipenderanno da lui sono 75 volte di più dei tremilacinquecento abitanti di quel paesello, Frigento, che è anche il paese da cui è partito mio padre, “minore non accompagnato”, seguito nel tempo da tutti i miei parenti, perché non c’era futuro e non c’era nemmeno un presente.
La casa di famiglia di Carmine, dove i suoi genitori tornano ogni estate e ogni tanto torna anche lui, è nello stesso quartiere di San Rocco di quella dei miei avi e molto alla lontana potremmo magari essere parenti. Rocco è appunto il nome di suo padre, come Rocco era il secondo nome del mio. La sua storia, che è una storia dell’oggi in cui l’Italia cerca di capire il fenomeno migrazione, è contemporaneamente una storia di ieri, quando a migrare eravamo noi e qualche volta c’era appunto lo zio d’America che era diventato qualcuno.
La domanda che dovremmo farci è a quali condizioni un migrante può integrarsi tanto bene da poter arrivare al vertice di un’organizzazione tecnocratica e anche se quell’organizzazione tecnocratica è il mostro capitalistico dei cazzari de noantri o se invece, alla prova dei fatti, è un fantastico ascensore sociale che ha saputo premiare il merito, senza giudicare una persona dalle sue origini.
Carmine ha avuto la fortuna di essere un immigrato regolare, non conosco la sua storia ma immagino che la sua famiglia abbia avuto il permesso di arrivare negli USA per ricongiungimento con altri parenti già presenti. A New York sarà stato aiutato dalle proprie doti, da un pizzico di fortuna e dal fatto che evidentemente a nessuno è mai importato da dove venisse. Inutile sottolineare che senza l’accesso ad un’ottima università non sarebbe mai “arrivato” e anzi non sarebbe mai “partito”.
Mio nonno andava a Boston e ogni tanto tornava a Frigento, dove aveva lasciato la moglie. Richiamato alle armi per la Grande Guerra, successivamente trovò le porte degli Stati Uniti chiuse, le regole dell’immigrazione erano diventate molto rigide e possiamo dire che, fino al fenomeno della migrazione illegale di massa dal confine messicano, quello su cui Trump vorrebbe completare il muro in parte già esistente, le regole sono state fatte rispettare, deludendo mio nonno, ma permettendo a quelli come Carmine Di Sibio di diventare cittadini americani di serie A, non condannati ad un ruolo eterno di paria.
Quando si dice che l’italia dovrebbe diventare un melting pot all’americana o meglio alla United Colors of Benetton, fotografia di Oliviero Toscani, ci si dimentica di notare che è molto difficile che dalla ondata di migranti boat people corrente qualcuno verrà a comandare, per dirla alla Rovazzi.
Carmine Di Sibio non ha goduto della “accoglienza” che piace tanto alle nostre anime buone, dal sindaco di Riace ai CARA, come non ne hanno goduto le ondate di migranti precedenti in Italia, in gran parte entrati o restati illegalmente in attesa di una puntuale sanatoria. Persone che “si sono fatte un mazzo così” conquistandosi il proprio posto più o meno al sole.
Non si comprenderà mai l’ostilità dell’elettore di destra (o diventato di destra per questo motivo!) se non si vuole capire che negli ultimi anni è cambiata la migrazione, che non è più di persone che accettano di “fare i lavori che gli Italiani non vogliono più fare”, con scarsissime possibilità di avanzamento sociale per sé e per i propri figli, ma è di persone senza istruzione, senza skills, come direbbero i colleghi di HR, che sono funzionali ad una politica assistenzialistica che costa al cittadino medio, prima invece abituato a guadagnare dalla presenza dell’immigrato che raccoglieva i pomodori in nero, faceva la colf, il turno di notte, l’operaio in fonderia, la badante o magari la prostituta, sempre a quattro soldi.
Non vedo in Italia la sincera disponibilità, nemmeno nei “salotti della sinistra”, a lasciare posti prestigiosi ai figli di migranti come Carmine Di Sibio, invece che ai propri figli. Cattedre universitarie, primariati in ospedale, alti gradi della Magistratura, quanti saranno dei migranti o dei loro figli fra vent’anni? Pochi temo e lo dico da Milano, dove sono cresciuto benevolmente canzonato qualche volta come figlio di terun, ma senza mai la sensazione di essere “altro” che invece ho provato più volte in provincia, a Torino, in Veneto.
Il migrante delle discussioni politiche da bar è sempre un essere considerato tutto sommato inferiore, a cui non mi sembra che siamo disposti a dare le stesse opportunità che ha dato l’America a Carmine Di Sibio, nel migliore dei casi è come un bambino o un animale da compagnia che va accolto, accudito, ma relegato sostanzialmente in serie B, uno che non diventerà mai come “noi”, anche se “noi” non siamo quelli che dicono “prima gli Italiani”.
Perciò temo che quella di Carmine Di Sibio sia e resterà una bella storia americana.
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