Immigrazione

In between, minori stranieri al bivio: a 18 anni finiscono le certezze

5 Febbraio 2019

L’epoca delle immagini sta generando, suo malgrado, una nuova grammatica del racconto. Scatti, polaroid, frame. Che si compongono e scompongono a raccontare storie. Ecco che la vita di Surawa Jaithe, 18enne gambiano, rischia di restar confinata a due momenti.

Un campo da calcetto, Gioiosa Ionica, esterno giorno. Ghetto di San Ferdinando, piana di Gioia Tauro, interno notte. Nella prima immagine, Surawa riceve un premio, un piccolo simbolo del suo periodo nello Sprar. La speranza, lo sguardo al futuro, l’idea di potercela fare. Nella seconda immagine, tra le lamiere, di una notte scaldata solo dalle fiamme che hanno avvolto lui – uccidendolo – e la sua baracca di schiavo contemporaneo, di invisibile, di braccia senz’anima, nome e diritti. Surawa è morto così, dalla parte sbagliata del bivio che le due immagini pongono in campo.

Questo progetto nasce su quel bivio. Dove le sorti di tanti, troppi Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) si perde. Dove si sono incontrati una sociologa e un giornalista, che hanno incontrato tre ragazzi, che sono a quel bivio. Tra l’investimento che una normativa internazionale pone in capo agli stati d’accoglienza, e la realtà, che a 18 anni li pone di fronte a una vita per la quale non sono pronti, spesso, come capita a tanti loro coetanei del mondo.

Questo progetto racconterà tre vite, per iniziali, per tutelare i minori. Tre storie differenti, in tre parti. L’arrivo in Italia, l’ingresso nel programma MSNA, il denaro allocato su questi progetti, la reale competenza o meno dei soggetti ai quali questi fondi e questa responsabilità è affidata, il momento del bivio. Tre storie, un contesto, nazionale e internazionale, un bivio. Che producono un’inchiesta narrativa. Dedicata a Surawa e a tutti quelli che abbiamo lasciato soli.
Buona lettura.

di Alessandra Vitullo e Christian Elia

PUNTATA 1 – MINORI STRANIERI AL BIVIO

PUNTATA 2 – MINORI STRANIERI AL BIVIO

illustrazione di Chiara Spinelli 

 

D., X. e Z., giorno dopo giorno, si guardano crescere. Ci sono tanti modi diversi per farlo, tante velocità. La normativa non è mai una madre comprensiva, ma più spesso un padre severo, che applica le stesse regole a tutti, senza eccezioni.

All’alba dei 18 anni, per tutti i minori, migranti o stanziali, il futuro è una stazione senza nome. Sei in viaggio, più o meno di corsa, ma non sai dove arriverai. Per D., X. e Z., però, c’è un tempo di percorrenza stabilito, che non tiene conto delle differenti capacità di passo. Ed ecco che il tempo passato nella tutela dello Stato italiano diventa un investimento, non solo per loro, ma anche per lo Stato stesso. Le opportunità che avranno, come le sapranno sfruttare, diventano già un bivio decisivo, che a ripensarla oggi, a quella età così fragile, mette i brividi.

Sembrano atleti ai blocchi di partenza, mentre il conto alla rovescia del compimento dei diciotto anni si avvicina.

Il minore straniero non accompagnato, alla stregua di tutti i minori italiani, viene tutelato in particolare dalla Legge n. 184 del 1983, successivamente modificata dalla Legge n. 149 del 2001, “Diritto del minore ad una famiglia”. La norma stabilisce le condizioni dell’inserimento del minore nelle “comunità di tipo familiare”. I

l Decreto Ministeriale che disciplina queste comunità prevede che siano le regioni a recepire e integrare, in relazione alle esigenze locali, quelli che sono indicati come requisiti minimi che devono possedere le comunità ospitanti. Ai comuni viene data, invece, la titolarità delle funzioni amministrative riguardanti i servizi sociali a livello locale e le funzioni di programmazione e progettazione da realizzare. Ai comuni spetta, inoltre, l’erogazione dei servizi e delle prestazioni economiche, anche l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza sui soggetti, che costituiscono questo sistema (i servizi sociali e le comunità che ospitano i minori). Successivamente i recepimenti regionali hanno provveduto a declinare le tre differenti tipologie di strutture di accoglienza: comunità di tipo familiare, gruppo appartamento e strutture a carattere comunitario.

Le vite di D., X., e Z. si ritrovano e si intrecciano in quello che dalla legislazione viene definito un ‘gruppo appartamento’, ovvero una struttura ospitante un piccolo nucleo di minori, che vengono accompagnati verso la maggiore età, attraverso programmi educativi e professionalizzanti che dovrebbero spingere il minore ad ottenere un buono grado di autonomia, una volta finita la permanenza nella comunità.

Con questo si intende solitamente riuscire a far ottenere ai minori almeno un titolo di istruzione italiano, e per chi si appresta a compiere i diciotto anni, un inserimento lavorativo e abitativo, che possano sostenere il ragazzo, una volta che dovrà lasciare la casa. In questi tipi di strutture, i minori hanno il solo obbligo di rientrare a dormire, se ciò non avviene, l’operatore di turno ne segnala l’allontanamento alle autorità.

Nella quotidianità di X., Z., e D., questo si traduce in circa quattro ore di scuola il pomeriggio, dove imparano le basi della lingua italiana e qualche nozione di cultura generale.

Le scuole per stranieri si svolgono prevalentemente in orari pomeridiani, o serali, e questo significa per i ragazzi, oltre che una mancata opportunità di integrazione coi loro coetanei italiani, anche avere molte ore libere la mattina. L’orario scolastico è ridotto e l’anno scolastico non dura quanto un anno di una normale scuola pubblica italiana. Ad esempio, è possibile dare gli esami di terza media in più sessioni durante l’anno, proprio per venire incontro alle esigenze dei ragazzi, che stanno per compiere i diciotto anni. Le comunità di residenza, cercano, normalmente, di riempire quest’enormità di tempo libero di cui dispongono i minori, in attività extrascolastiche, o domestiche, come avviene nella comunità di X., D. e Z.

Lo stesso Ministero dell’Istruzione, a gennaio dello scorso anno, nel rapporto: Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa sottolineava come “vi sono alti pericoli di mancato ‘aggancio’ di molti ragazzi, in situazione di grave fragilità, da parte del nostro sistema scolastico e formativo. Tra questi la consistente presenza, in significativo aumento, dei minori stranieri non accompagnati, di cui solo una parte segue percorsi di istruzione/formazione, dato che, in buona parte, una volta arrivati, diventano irreperibili”.

In casa, le giornate di D., Z. e X., si ripetono monotone: alzarsi dal letto controvoglia, o semplicemente restare a dormire, fughe da scuole, o troppe poche ore di lezione. X. trova noiosa la scuola; del resto l’aveva abbandonata anche in Albania, e quindi non capisce l’utilità di ritornarci in Italia. Z., invece, dopo il terribile viaggio per arrivare in Italia, stava ricostruendo il suo equilibrio tramite la preghiera e lo studio dell’italiano, che apprendeva anche ascoltando la musica di Ghali e di Baby K.

Dei ragazzi in comunità, era uno dei pochi a fare i compiti che gli venivano assegnati. Lo prendevano in giro per questo i suoi compagni albanesi, ma Z. ci rideva su, insieme a loro, era talmente integrato, che era normale, infatti, sentirlo imprecare in albanese, o indossare cappellini e magliette rosse dove spiccava l’aquila bicefala dell’Albania.

Per D., invece, che era arrivato fino al terzo superiore in Marocco, ritornare alle medie era a dire poco frustrante. Finirà la scuola in pochi mesi, col massimo dei voti e in poco tempo resterà senza nulla da fare. Trova, infatti, totalmente inutile qualsiasi tipo di attività da svolgere in comunità, lui vorrebbe fare un corso da metalmeccanico, per poter dire a suo padre che, in Italia, sta finalmente lavorando e che quel viaggio e quell’abbandono, sono serviti in fondo a qualcosa. Ma il corso non lo inizierà mai e D. si rinchiuderà lentamente nella sua stanza. Un esilio volontario, orizzontale, sempre sdraiato sul letto, divorando centinaia di serie televisive in arabo, che gli faranno, infine, scordare l’italiano.

Fuori l’orario scolastico, è, infatti, difficile individuare delle attività che corrispondano alle inclinazioni personali dei ragazzi. Attività che possano appassionarli e strapparli da quel gironzolare in strada. Solo X. in questo, è stato fortunato: quel pomeriggio, dove quasi per casualità, ha imbracciato una tavola da skate, che da quel momento diventerà un suo prolungamento. L’istruttore di skate, infatti, ha notato la passione di X., e inizierà a inserirlo come insegnate per i bambini, grazie ai quali X., pur non andando a scuola, comincerà ad imparare l’italiano.

Normalmente le comunità di accoglienza dovrebbero incaricarsi di cercare per i ragazzi dei corsi di formazione, che gli permettano di acquisire familiarità con determinati mestieri, o acquisire nuove competenze. Ma non sempre questo risulta possibile. Possono, infatti, insorgere problematiche di varia natura: a volte i ragazzi sono troppo grandi, o troppo piccoli, per iscriversi ai corsi, a volte il corso dura troppo tempo rispetto alla durata della permanenza del minore nella comunità, a volte i corsi sono già iniziati e non accettano altri iscritti, a volte semplicemente gli operatori/educatori non sono sufficientemente preparati per districarsi tra le trame della soffocante modulistica d’iscrizione, oppure molto più semplicemente i ragazzi non vengono stimolati a sufficienza per comprendere l’utilità di questo tipo di attività e quindi decidono di non frequentare.

Anche l’Unicef, evidenzia che “risulta necessario un investimento crescente di risorse sulla seconda accoglienza dei minori migranti non accompagnati, per garantire percorsi di integrazione efficaci ed omogenei in tutto il territorio nazionale. (…) Allo stesso modo già nei Centri di prima accoglienza va garantito ai minori l’inserimento scolastico, l’accesso alla formazione professionale e l’accompagnamento all’inserimento lavorativo, ed è essenziale che i tutori (anche provvisori), il personale delle strutture di accoglienza e le altre figure di riferimento del minore, informino efficacemente il minore stesso sul suo diritto di partecipare attivamente a tutti i procedimenti giudiziari e amministrativi che lo riguardano e di nominare una difesa tecnica di fiducia nei procedimenti giurisdizionali, come previsto dalla Legge”.

Ma quali sono queste figure chiave che nel sistema di seconda accoglienza dovrebbero garantire la corretta crescita e inserimento del minore straniero arrivato in Italia?

I primi due ruoli essenziali sono quelli svolti dall’assistente sociale e dal tutore. L’assistente sociale, nel caso dei minori stranieri non accompagnati, viene incaricato dalle autorità di trovare una struttura di collocamento per il minore ed ha l’obiettivo di formulare, in coordinamento con le strutture individuate, un progetto di aiuto del minore, finalizzato al miglioramento della situazione in cui si trova. Chiaramente più l’assistente sociale riuscirà a promuovere la collaborazione con le persone di riferimento con cui verrà a contatto il minore (ossia i tutori, gli educatori, gli operatori), maggiore sarà la probabilità di riuscita del progetto per lui indicato. Con il forte flusso di minori che sono arrivati in Italia negli ultimi anni, c’è però da considerare che il numero di minori affidati a un singolo assistente eccede una cifra che possa garantire un adeguato e costante monitoraggio del minore e quindi un efficace svolgimento del piano educativo individuale.

Le responsabilità del tutore, invece, sono quelle già chiaramente previste dalle norme di diritto civile. In concreto, il tutore vigila sulle condizioni di accoglienza, promuovendo i diritti del minore e i sui percorsi di integrazione, educazione, considerando le sue inclinazioni personali. Tra le attività concrete che il tutore può svolgere vi sono la presentazione della richiesta del permesso di soggiorno, curare i rapporti con i servizi sociali, le strutture, o le famiglie, che hanno in carico il minore. Come avviene per gli assistenti sociali, però, anche i tutori, negli ultimi tempi, si sono ritrovati a dover gestire, senza un adeguato supporto, un considerevole numero di ragazzi che arrivano e se ne vanno con tempistiche molto veloci e con i quali purtroppo è impossibile costruire un piano formativo individuale coerente e organico. A questa emergenza molte regioni hanno risposto aprendo bandi pubblici e corsi di formazione, per tutori volontari, a seguito dei quali i tutori nominati molto raramente vengono in contatto col minore che gli è stato affidato.

Ed infine le figure chiave, quelle che vivono ogni giorno a contatto coi i minori: gli operatori e gli educatori. Necessario qui partire da una distinzione: educatori e operatori sono due figure professionali diverse; e molto spesso sono ragazzi anche loro. Gli operatori sono normalmente degli impiegati che non hanno seguito un percorso di formazione, o professionale, specifico per questo tipo di mestiere. Sembrerebbe così quasi una professione che si possa improvvisare, e invece educatori e/o operatori, non devono essere solo in grado procurare un’istruzione, o un lavoro al minore in transizione, ma si devono occupare anche della gestione di malattie epidemiche, che arrivano insieme ai ragazzi, o dei pericolosi traumi psicologici da loro subiti, e che devono essere trattati in una situazione dove culture e lingue non si incontrano.

Ma in questo labirinto di normative, regole e ruoli, questi operatori diventano “famiglia” e queste strutture diventano “case”, dove le vite di D., Z. e X., rimbalzano, come quelle di altre migliaia di minori stranieri in Italia.

Tra questi precari tetti e affetti D., Z. e X., si avvicinano verso il loro compleanno più importante, con passo differente. Chi impaziente, va troppo veloce, chi incoscientemente, rallenta, perdendo tempo; comunque tutti troppo giovani e troppo impreparati per rendersi conto che, una volta raggiunto quel traguardo, per loro non ci sarà più un terreno stabile dove poggiare i piedi.

(fine puntata 2/3)

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